Vaso di Pandora

Chiese chiuse? Non c’è più religione

Un articolo di Enzo Bianchi sul Corriere della Sera del 5 Dicembre 2022 definiva così la deriva del Cattolicesimo: una implosione. Secondo la sua interessante disamina, la Chiesa sarebbe avviata verso un inesorabile declino testimoniato dalla “crescita esponenziale di chiese chiuse, chiese vuote, assemblee nelle quali appaiono solo più teste bianche”. Il messaggio evangelico appare sommerso dalle contraddizioni di un apparato che attraversa scandali di tipo finanziario e giuridico ed abusi che violano la dignità della persona.

Dopo tale umiliazione, una riforma spirituale del Cattolicesimo imporrebbe secondo Bianchi, l’umiltà di spogliarsi finalmente e definitivamente del “potere temporale”. Una povertà che diviene una ricchezza spirituale ed una alternativa alle lusinghe della mondanità che relega l’uomo ad una vita priva di significati. Ma è un problema solo della confessione cattolica?

Non pare: a leggere i bollettini delle diverse chiese appartenenti alle varie declinazioni del Cristianesimo, lo stesso problema pare affliggere le Chiese Protestanti storiche, e persino nella Chiesa Ortodossa vi è una profonda crisi di identità ed una difficoltà ad approcciare i giovani. Una situazione quindi largamente diffusa, che pare attraversare la spiritualità occidentale in tutta la sua interezza. Come può la psicologia tentare di rispondere a questa tendenza? Fin dai primi albori della sua nascita, la psicoanalisi si è interrogata sul complesso rapporto tra l’uomo e il cielo sopra di lui.

Se Freud cercò di evidenziare quanto l’umano influisse sulla concezione del divino, parlando di proiezione dei vissuti collegati alle figure genitoriali sull’immagine che abbiamo di Dio, Jung arrivò a parlare di un vero e proprio istinto religioso insito in ognuno di noi, a prescindere dalla religione e dall’epoca di appartenenza. Una necessità che quindi sembrerebbe essere connaturata alla nostra specie, e radicata nella nostra biologia: ma come è possibile allora che stia accadendo ciò che Enzo Bianchi evidenzia nel suo articolo?

Per comprenderlo, è innanzitutto essenziale fare chiarezza su cosa si intende rispettivamente per fede e per religione. Se la fede indica una adesione intima, emotiva dell’uomo a un messaggio che egli reputa provenire da una divinità, la Religione è piuttosto il modo in cui l’essere umano sceglie di relazionarsi con la divinità portatrice del messaggio a cui ha aderito attraverso una serie di pratiche rituali e di preghiere.

Nelle sue tre supposte derivazioni etimologiche dal latino la parola religione infatti fissa i termini di un rapporto tra due soggetti, ovvero tra uomo e divinità (re-legere; re-eligere; re-ligare). Si delinea una relazione nella quale sono presenti il concetto di cura, di scelta e di legame.
Potremmo dunque ridefinirla come la scelta di prendersi cura del legame con la Divinità mediante una determinata e specifica struttura fatta di celebrazioni rituali e regole ben definite.

Jung aveva sottolineato che il problema irrisolto del Cristianesimo consisteva nella esclusione del Male in quanto parte essenziale dell’esperienza religiosa: secondo il padre della Psicologia Complessa, il concetto agostiniano del male come privatio boni, ovvero semplicemente come assenza di bene, ha impedito all’essere umano di contattare la sua parte oscura e di interagirci. Il tutto quindi porta a una scissione tra il bene, rappresentato nella figura del Dio d’amore predicato da Gesù, e il male in quella del diavolo, che tuttavia non viene visto come il punto di vista alternativo a quello di Dio, ma come qualcosa da rimuovere, nascondere e in definitiva accantonare.

L’esperienza dell’unione del chiaro e dell’oscuro si configura e si risolve per Jung all’interno del Sé (il centro della nostra psiche di cui Cristo è il simbolo più potente) riducendo la distanza tra i due opposti e riconoscendo il diritto del diavolo a far legittimamente parte di una Quaternità che dovrebbe sostituire la Trinità attuale.

Posizioni forti, “eretiche”, che costarono a Jung anche l’amicizia personale con Padre White, pastore con cui era in dialogo da anni, ma che risultano interessanti per leggere ciò che accade oggi al Cristianesimo. Se le religioni sono tra le altre cose anche uno strumento potente di protezione dalle esperienze che sovrastano il nostro Io (come il contatto con il Sacro o la Psicosi, ad esempio) potremmo pensare che nel Cristianesimo sia avvenuta una scissione sempre più netta tra gli aspetti di fede e quelli propri della religione, disaffezionando in maniera crescente i credenti.

Essi, infatti, nell’esperienza sempre più burocratica e razionale della religione (fatta di codici, precetti, preghiere standardizzate di cui si ignora il profondo significato e soprattutto di una teologia a volte troppo “alta” che non parla il linguaggio dell’inconscio) hanno progressivamente perso quella che Rudolph Otto considerava il Fascinans e il Mysteriosum, ovvero il sublime e l’aspetto di definitiva “non conoscenza”che caratterizzano, insieme al timore, l’esperienza religiosa.

La psicoanalisi fornisce strumenti di riflessione profonda che possono rimettere in connessione le necessità spirituali dell’uomo. Nell’esperienza di percorsi psicanalitici approfonditi emergono spesso i pensieri sul significato della vita e sui bisogni spirituali spesso dimenticati. La via dunque verso una nuova Chiesa o spiritualità non può prescindere dal tentativo costante di integrazione tra le pratiche religiose e le umili (direbbe Bianchi) riflessioni spirituali che comprendano la navigazione a vista del credente sia nella luce che nell’oscurità della nostra anima.

Note Bibliografiche
1

Otto R., (2017). Il sacro. Ed. SE, 2009.

2

Jung, C.G. Aion. Ricerche sul simbolismo del Sé. Opere vol 9/2, Bollati Boringhieri, 1997.

3

Jung, C.G. Risposta a Giobbe, trad. Alfredo Vig, Milano: Il Saggiatore, 1965; Torino: Bollati Boringhieri, 1992.

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Commenti su "Chiese chiuse? Non c’è più religione"

  1. Certamente la crisi dell’esperienza religiosa non nasce soltanto dalle debolezze e contrasti interni della Chiesa: una istituzione come tante, non la migliore nè la peggiore ( ma naturalmente, da essa ci si aspetterebbe, velleitariamente, la perfezione).
    Di fatto la religione come visione metafisica del mondo è in crisi da un pezzo. Ciò, fin dalle critiche gnoseologiche avanzate da Autori come Hume e Kant, i quali in termini diversi indicavano l’inadeguatezza della ragione umana a cimentarsi con quesiti universali come “Chi ci ha creati? Perchè stiamo al mondo?”, e che toglievano base alle c.d prove dell’esistenza di Dio, quel Dio di cui poi Nietzsche ha celebrato il funerale.
    Complicato l’apporto della psicanalisi: come evidenzia giustamente questo articolo, c’è una posizione junghiana fondamentalmente religiosa pur se non ortodossa, ma prima di lui un Freud che ci annunzia “l’avvenire di una illusione”, in ottica decisamente laico-razionalista.
    Non si tratta oggi di essere atei militanti. Resta comunque il rispetto per una grande avventura dello spirito che ha dato forma a cose come la Divina Commedia o il Giudizio Uni versale di Michelangelo. Resta la meraviglia e la soggezione di fronte a un Universo incomparabilmente più grande di noi, la cui infinitezza (e infinita complicazione) era stata preconizzata da un Giordano Bruno, e fonte per noi formichine di grande rispetto ma anche di angoscia: fonte dunque di un sentire religioso nel senso lato condiviso anche da un Einstein.
    Potremmo ipotizzare che è stata la risposta a questa angoscia a condurci storicamente alla antropomorfizzazione del divino, con molteplici figure umanoidi come i numerosi Dei spiccatamente umani della classicità greco-romana, o la Trimurti indù o la nostra Trinità. Il culmine di questa operazione lo ha raggiunto proprio il cristianesimo, con Dio che si fa uomo pur restando Dio!
    Quindi forse l’immaginare un Dio umano, da Giove a Odino a Jahvè fiero tiranno a Gesù Dio incarnato (Paradiso, ultimo canto: “mi parve pinta della nostra effigie”) è rinnovata nostalgia di onnipotenza, volta a fronteggiare e illusoriamente dominare, tramite questa grandiosa autorappresentazione, l’immensità di un Universo che ci trascende in mille modi: immensità non a caso negata da ideologie a lungo dominanti che lo consideravano limitato e definito, inquadrabile in schemi come il Cielo delle
    stelle fisse o l’Empireo.
    Religione dunque ancora possibile e forse destinata a non deperire del tutto, purchè fatta non di costruzioni metafisiche ma di umiltà, consapevolezza della nostra piccolezza e di qualcosa che inevitabilmente e per sempre sfuggirà a quella esplorazione razionale che è strumento prezioso ma inevitabilmente limitato? Che forse trova il suo riferimento teorico meno inadeguato nel panteismo d i Spinoza?
    Ma se questo è il suo futuro, non mi pare compatibile con quel rinnovato segno di sottomissione a una gerarchia costituita e decisamente umana che è la frequenza alla Messa, prescritta e gestita da “presbiteri” che condividono ogni nostra contraddizione e fragilità. .

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  2. Riflessione interessante e sicuramente piena di spunti su cui riflettere: io penso che noi uomini siamo necessariamente portati a immaginare categorie “umane” con cui rappresentare il divino, poiché a mio avviso l’esperienza del sacro è così irrappresentabile che descriverla in senso razionale sarebbe come chiedere a una mente di pensare un colore che non esiste.Jung citava sempre un mistico svizzero che dopo aver avuto una visione del volto di Dio passo quarant’anni cercando di descriverlo e alla fine, stravolto dalla follia per ciò che aveva visto, tutto ciò che riuscì a rappresentare fu una serie di cerchi che si intersecano. Credo che probabilmente il tentativo di razionalizzare il messaggio divino sta portando a una profonda crisi a cui spero sei un rinnovamento: dal mio punto di vista trovo interessanti ad esempio le posizioni del teologo Shelby Spong il quale sottolinea come dobbiamo abbandonare un approccio teistico del divino per favorirne uno relazionale.secondo lui Dio non sarebbe un Essere ma l’Essere in quanto fenomeno in sè. Penso che la teologia e la psicoanalisi abbiano delle grandi sfide che le aspettanp nel cercare di dare delle risposte che possono attribuire un senso a questa esperienza del sacro, ma a me piace pensare che come diceva l’anonimo monaco scrittore del trattato di mistica “La nube della non conoscenza” forse una delle migliori modalità per fare conoscenza di Dio è approcciarlo con l’amore e l’esperienza piuttosto che con la razionalità

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