Il caso cinematografico dell’anno, com’è noto, è il convincente debutto alla regia di Paola Cortellesi: C’è ancora domani. Il film racconta la vita delle donne italiane nel secondo dopoguerra e mette in evidenza temi come la violenza di genere e il patriarcato. La forza strepitosa della pellicola non sta solo nel “mostrare un tempo non passato, ma lo specchio di ciò che c’è ancora oggi” per dirla con le parole di Luisa Garribba Rizzitelli, recensitrice per HuffPost Italia; bensì anche nel mettere in scena uno sguardo tendenzialmente ottimista, nonostante tutto, verso il futuro.
Il successo del film è stato clamoroso. A metà dicembre – quando il lungometraggio è ancora in programmazione in numerose sale – è già la seconda pellicola più vista dell’anno nel Paese (alle spalle della sola Barbie di Greta Gerwig, irraggiungibile entro il termine dell’anno solare) nonché la produzione italiana di maggior popolarità negli ultimi 3 anni (Checco Zalone fece meglio con il suo Tolo Tolo) e il quattordicesimo miglior incasso di sempre al cinema, sul territorio della penisola. Al di là dell’aspetto artistico, il film lascia in bocca un sapore dolceamaro all’uscita dalla sala, sebbene sia l’ottimismo a prevalere. La potenza narrativa dell’opera è tale che anche il semplice recarsi a vederla diventa un’esperienza.
Uno spaccato comunque prezioso della nostra storia
Delia, la donna protagonista di C’è ancora domani, interpretata dalla stessa Cortellesi, non racconta soltanto la sua storia. Come specificato dalla regista, la vicenda è completamente frutto della sua inventiva. Ciononostante, di vite come quella trasposta su schermo ce n’erano a decine di migliaia nel 1946, anno in cui è ambientata la pellicola. Non è un’esagerazione dire che quello portato su schermo sia il ritratto della maggior parte delle donne italiane di quell’epoca. Paola Cortellesi rappresenta su schermo una quotidianità ancora molto attuale. Non si limita a ripercorrere il dramma della condizione femminile negli anni ’40, bensì anticipa le lotte e i movimenti contro il patriarcato che abbiamo imparato a conoscere in tempi ben più recenti.
Il fato di Delia si capisce in una manciata di secondi. Dopo qualche inquadratura neorealista, che attinge a piene mani da un immaginario cinematografico ben noto a tutti gli italiani, la sveglia della donna è un ceffone rifilatole dal marito per motivi futili. Come molte sue coetanee coeve è lei che lavora in casa, e spesso anche fuori. Tutto l’incasso lo rimette all’uomo di casa, che gestisce e amministra le finanze familiari, godendone naturalmente per primo. A un certo punto il gender gap viene esplicitamente tirato in ballo, in una scena che, nella finzione cinematografica, risale al ’46 ma che nella realtà potrebbe ancora essere attuale nel 2023. Delia spiega a un giovane garzone come ricucire un ombrello, dimostrandosi enormemente più capace di lui. Per tal motivo, non si capacita di come sia l’inesperto a guadagnare di più per fare meno.
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L’insegnamento di C’è ancora domani
La grandezza di Cortellesi sta nel riuscire a mettere in scena tutte le donne del mondo e, contemporaneamente, anche tutti gli uomini. Partigiane, madri costituenti, prime elettrici… Ivano, il marito di Delia interpretato da Valerio Mastandrea, e gli altri maschi che compaiono nel lungometraggio – compresi quelli che sembravano diversi – erano i proprietari de facto delle proprie mogli, indipendentemente da chi fossero e che cosa facessero. Nella società di 75 anni fa, era la normalità.
La lezione finale è chiara. La determinazione di Delia nell’andare a votare richiama il senso civico di tutti gli spettatori in sala. A cominciare da quelli che hanno smesso di recarsi alle urne. La donna cui Paola Cortellesi attrice presta voce, espressione e corpo (sebbene ben più pallido e smagrito del solido) è un simbolo di speranza. Lei riesce ad andarsene da quella situazione invivibile, che le toglie il fiato. E proprio questo vuole insegnarci il film: non demordiamo perché c’è ancora domani.
C’è ancora domani, possiamo essere ottimisti
Gli aspetti più tragici messi a schermo sono anche i più importanti. Guardando l’opera si ride e ci si diverte, in quanto alcune scene sono veramente tragicomiche, e si gode a piene mani della bravura degli attori. Il cast è infatti illuminato anche all’infuori degli interpreti principali. in un’epoca nella quale il femminicidio è all’ordine del giorno, è impossibile mantenersi distaccati e sorvolare su questa tematica.
Ancora oggi, proprio come nel 1946, gli uomini sono figli delle disparità del sistema patriarcale. Stereotipi e luoghi di genere finiscono per cristallizzarsi nella cosiddetta mascolinità tossica, derivata dal machismo più becero. Le donne, che vivono sulla loro pelle abusi e soprusi di questo tipo, non hanno sempre la possibilità – economica o emotiva – di andarsene da queste terribili dinamiche di violenza. La collettività può fare molto. Ricordarsi del coraggio delle donne che hanno lottato per conquistare alcuni diritti può essere una spinta per alimentare il coraggio e seguire le loro orme. La situazione odierna è mesta, proprio come lo era nello ieri della vicenda raccontata sul grande schermo. Non dobbiamo però perderci d’animo. In fondo, c’è ancora domani.