Ho letto il ricco contributo sulla sublimazione, proposta di recensione del libro di Rossella
Valdrè, da cui ho tratto la “spinta” (termine banalmente ovvio, forse, e, bizzarrie della mente, insieme straordinariamente complesso) ad aggiungere qualche pensiero sul tema.
In un recente libro scritto con Trabucco (Nati prematuri, 2014) abbiamo iniziato l’avventura citando una domanda che Laura Ambrosiano pose nel 2009: “Come accade che l’individuo accetti il rischio di vivere pur dinanzi a dimensioni oscure che lo travalicano, dinanzi a ‘O’, la cosa in sé inconoscibile?”.
La domanda, a cui Ambrosiano e Gaburri hanno cercato risposte raccolte soprattutto nella loro ultima fatica (Pensare con Freud, 2013), si articola, a mio parere, a partire dalla riflessione di Bion intorno alla “spinta ad esistere”, spinta che costringe i genitori a far nascere, pur essendo questa misteriosa spinta alla sopravvivenza della specie completamente indifferente nei confronti del singolo essere umano.
Non voglio ritornare in queste brevi righe sul ruolo fondamentale assegnato al caregiver nel fornire al piccolo dell’uomo una “base sicura” (Bowlby), l’holding (Winnicott), la capacità di costruire pensieri (funzione alfa) e pensare i pensieri (Bion), la funzione di mentalizzazione (Fonagy), ovvero gli strumenti affettivi e pensanti per proteggerlo/ci dall’angoscia dell’ “avventurarsi nella vita”, come scrivono Ambrosiano e Gaburri, e tentare di attrezzarlo/ci nei confronti dell’angoscia della morte.
Peraltro, nel percorso che Meltzer e M. Harris (ricordato da Valdrè e dalla recensione) hanno compiuto, stimolati da Bion, nel definire il conflitto estetico, ritroviamo un’isola di significato che attiene al conflitto tra piacere sensuale-sessuale e la presenza del tragico come condizione ineludibilmente umana: la travolgente bellezza della madre, dei seni, contrapposta all’enigmaticità, all’allarmante incomprensibilità di ciò che in essa è contenuto. Tuttavia, affermano i due autori (1988) “la ricerca della conoscenza, il legame K, il desiderio di conoscere, …nel miscuglio di gioia (L) e odio (H) salva il rapporto”, e, quantomeno provvede alla sopravvivenza della mente.
Freud poneva nel principio del piacere (e nell’evitare il dolore) il progetto umano, peraltro irrealizzabile perché continuamente in conflitto con le esigenze della civiltà, le sue leggi esterne e interiorizzate (super-Io); in sintesi, con il sentimento di colpa. Ovvero le pretese pulsionali, il loro tentativo di dominio e soddisfazione si incontrano-scontrano nel dramma della civilizzazione.
Con Bion, Meltzer e Harris la sessualità si incontra con il desiderio di conoscenza, e, come accenna brevemente Freud nel “Disagio della civiltà”, con l’operato della Sublimazione.
Sappiamo che per Freud le opere geniali di Leonardo sono il frutto della rinuncia a mete sessuali (mete originarie), inibizione che permette il transito verso il desiderio di ricerca.
Ritornando ad Ambrosiano e Gaburri e alla domanda che la recensione pone “Cosa accade alla sublimazione in era postmoderna?” sento importante riflettere sul lavoro dei due analisti, sull’innovativa rivalutazione del concetto di sublimazione. Scrivono: “Quando avverte la spinta impersonale della pulsione, l’individuo può respingerla o accoglierla: nel primo caso ricorrerà alla rimozione o, in situazioni di maggior angoscia alla scissione e al diniego; nel secondo caso si impegnerà a trasformare la spinta in motivazioni personali, avviando cosi la vita psichica” (2013).
Propongono (ricordando la tesi di Conrotto) la presenza di una componente masochista che consente, come dicono gli autori (op.cit.), di starci, ovvero di accettare di vivere una vita che non abbiamo chiesto, di tollerare e trasformare parte della pulsionalità (impersonale) che tenta di governarci in tenerezza, e in sublimazione, ovvero, come scrivono gli autori: “La sublimazione sarebbe una trasformazione della sessualità da godimento dell’oggetto a desiderio di conoscenza”.
Bion ci invita a cogliere i pensieri selvaggi, che si affacciano al nostro spazio psichico, che giungono imprevisti e misteriosi, così come la natura (?) invita il corpo a contenere le creature che lo abiteranno, i bambini, spiegabili scientificamente quanto emotivamente accolti da stati emotivi assai diversi.
La sublimazione, credo, non è unicamente paralisi della spinta pulsionale (il non avere accesso alla madre del Leonardo di Freud, il Triebverzcht), piuttosto, in sintonia con Ambrosiano e Gaburri, consente che si possa utilizzare la sua energia per progetti altri, che ricercano fini diversi, arte, pensiero, creatività. Triebschicksal, che, come ricorda il lacaniano Alain Miller (2006), “indica trasformazione, movimenti, vicissitudini”.
Aggiunge: “Fare filosofia, matematica, dipingere, ma anche vedere un dipinto o ascoltare una conversazione filosofica può soddisfare la pulsione”. In questo senso il Triebschicksal, nella forma della sublimazione, ci permette di ottenere, prosegue Miller, clandestinamente una certa soddisfazione.
Conclusioni che si avvicinano alle affermazioni finali di Ambrosiano e Gaburri (op.cit.) , al lungo percorso che li porta a concepire la sublimazione come autocura.
Questi brevi pensieri non mi invitano ad affrontare altri temi fondamentali, la relazione tra Sublimazione e timore della passività, il rapporto con il padre, il bioniano modello narcisismo-socialismo, sublimazione e gruppo di lavoro.
Alla prossima.