Articolo apparso anche su http://www.psychiatryonline.it/node/8601 in data 10 Aprile 2020
Innanzitutto devo prestare attenzione al rischio di intellettualizzazioni, magari colte e seducenti ma un po’ “fighette” (scusatemi il termine aspro che richiama la mia adolescenza) , vere azioni per evitare il confronto con un nuovo perturbante (1911 S.Freud: Il Perturbante), anche con un nuovo non conosciuto, potenzialmente terrorizzante. Devo invece avere rispetto anche della paura e dello smarrimento, mio e degli altri, che questa situazione comporta.
In realtà l’evoluzione della nostra specie ci ha dotato di un’emozione come la paura che è tanto più alta quanto più qualcosa di ignoto (ora la pandemia da Coronavirus) ci colpisce improvvisamente ed in questo caso in modo così collettivo.
Paolo Legrenzi (2020) in “La misura giusta della paura” pubblicato sull’inserto di Domenica 24 ore del 29/03/2020 si chiede e ci chiede come evitare il panico di massa senza tuttavia sottovalutare, in modo altrettanto dannoso i “pericoli oggettivi”: ad es. ricorda come, secondo l’OMS, il cambiamento climatico causerà dal 2030 al 2050 almeno 250000 morti ogni anno anche attraverso ripetute pandemie.Siamo preparati per questo, anche in riferimento al nostro specifico professionale senza indulgere nei nostri “ pre-costituiti” non di rado autoreferenziali?
Tutti noi credo, anch’io che sono un vecchio del 1947, non abbiamo vissuto l’esperienza della guerra, dei bombardamenti, della violenza quotidiana diffusa e della paura di non sopravvivere alla guerra, noi ed i nostri cari, gli amici… gli altri. Io ho vissuto il tempo delle BR, delle “stragi di stato”, degli anni di piombo, della guerra del Vietnam, dei milioni di morti nella guerra in Africa tra Hutu e Tutzi, ma quelle esperienze, pur terribili e per me molto dolorose, non ebbero la forza massificante della pandemia, non modificarono radicalmente il mio vivere quotidiano come avviene con la quarantena.
Come scriveva Francesco Pecoraro in “La vita in tempo di pace” (2013), io non ho vissuto quell’esperienza della guerra che, per esempio vissero, giovani sopravvissuti, i miei genitori. Peraltro ho sentito paura rileggendo nell’introduzione: “ridicolo il paradigma che ci contempla come signori della natura… mentre siamo noi che con i nostri stessi tessuti, con la nostra carne, il nostro sangue, fungiamo da pascolo per migliaia di specie, miliardi di esemplari”. Sono quindi diverso da quei giovani di allora e per aiutarmi ed aiutare, per continuare a curare, debbo partire dall’accettazione di questa prima volta.
Diego Napolitani in “Identità: un’ossessione” (2011) introduce il concetto di Normopatia come forma di appartenenza ai pre-costituiti (gruppalità interni ,non solo famigliari ma qui ancor più socioculturali) che rendono più facile rinunciare alla propria individualità per fare parte intellettualmente e soprattutto emotivamente del più rassicurante gruppo-massa.Consiglio, a questo proposito, la lettura di “Psicolgia delle masse ed analisi dell’Io” di Sigmund Freud (1921) e “Massa e potere” (1960) di Elias Canetti, testi più che mai attuali. In un momento come questo è ancor più arduo sostenere quei “momenti di alterificazione” – scrive Diego – perché presuppongono “una sfida, un rischio” mentre sentiamo forte il bisogno di “stare nella normalità alienata”.
La paura della pandemia da Coronavirus, come la paura della fame, dell’indigenza – molti ora temono di non avere le risorse economiche per sopravvivere-fino alla paura di morire sono tutti terribili “virus” che possono facilitare, in ognuno, in me, il dominio delle gruppalità interne e ancor più la fascinazione del pensare, sentire e agire di massa, magari in attesa di un Totem, di un leader carismatico che ci salvi tutti. Penso con timore alle derive autoritarie come dimostra in questi giorni la presa del potere autoritaria in Ungheria con Orban.
Questo rischio lo richiama anche Sergio Benvenuto (2020)in un lavoro edito in questi giorni su “Le parole e le cose”: “nasce nella massa, fragile, minacciata da una catastrofe (esterna/interna), la necessità di stringersi intorno ad un capo messianico ,ad un pensiero più che mai forte che si spera faranno i miracoliIn realtà la paura di morire, la paura di non sopravvivere economicamente, soprattutto se non riconosciute, possono infestare la nostra soggettività.
L’identità antropologica, alla quale si riferisce ancora D. Napolitani, può essere messa in crisi da una “conversione verso l’essere massa non pensante”, perché diviene troppo doloroso sostenere una solitudine individuale, per non soffrire troppo nel essere altri, alieni; può prevalere allora la chiusura dell’individuo nei confini mortificanti di una normalità che può arrivare a configurarsi in una vera Normopatia (pensate per tutte alla identità tedesco-ariana durante il Nazismo e che… forse, di tanto in tanto, tende a riemergere tra i tedeschi rassicurandoli, forti nei loro terribili miti arcaici). Dobbiamo sperare di “fare esperienza” e di ricordare poi, facendo tesoro di quanto stanno vivendo – la nazione Italia, l’Europa, il mondo – ma senza illusioni che ora possono farci sentire bene ma che in realtà sono ingannevoli perché, come scriveva chi?… Marx? Freud? Eistein?, la memoria umana, quella memoria che dovrebbe favorire nuovi modi di pensare ed operare ,è sorprendentemente breve negli umani. Ricordo come nel 1932 Eistein, in una loro lettera, chiedesse a Freud :“ Vi è una possibilità di dirigere l’evoluzione psichica degli uomini in modo che diventino capaci di resistere alle psicosi dell’odio e della distruzione?” Freud così rispose a Einstein: “ probabilmente sappiamo così tanto dell’inconscio dell’essere umano che sarebbe possibile ricondurre eventi terribili come la guerra ,l’assassinio, la reazione ai flagelli-aggiungo-alle loro motivazioni inconsce… ma è triste pensare ai mulini – i mulini di Dio – che macinano talmente adagio che la gente muore di fame prima di ricevere la farina”.
Non confondo questo rischio di chiusura massificante con la necessaria ed utile quarantena che stiamo vivendo e che potremmo addirittura vivere come una nuova esperienza, se sapremo salvare i nostri pensare e sentire individuali e di gruppo, anche attraverso questo metterci in rete dialogante.
Possiamo aiutarci e aiutare a vivere il tempo come movimento: è importante perché – come scrive Camus nella Peste- “in quarantena, questo particolare esilio nella propria casa, si rischia di divenire impazienti nel presente, nemici del passato e privi di avvenire”.
Qualche prima impressione su quanto sta avvenendo con le persone che continuo ad avere in cura via Skype o whatsApp, e su queste esperienze, per me nuove e per altri colleghi credo già sperimentate: spero possiamo dialogare e apprendere reciprocamente, senza “tuttavia costruire narrazioni che creino certezze” perché queste certezze vanno a braccetto con i blandi consigli di salute mentale, condivisi ovunque in questi giorni.
Come aiutare quindi i nostri pazienti ed aiutare noi stessi a non perdere identità e individualità, senza tuttavia difenderci nell’intellettualismo? Condivido “Lettera ai colleghi psicoanalisti, a proposito dell’attuale pandemia “(2020) edita ora sull’European Journal of Psychoanalisis, a cura M.Coelen ed al.: essi scrivono che complessivamente “i pazienti si sentono stranamente bene”… in realtà per me non male quasi tutti e qualcuno proprio meglio.
Sperimento come Il cambiamento del setting sia sorprendente perché con Skype o WhatsApp io entro nelle case dei miei pazienti e non riesco a non curiosare un po’: alcuni posizionano il tablet in modo da ricreare la situazione sul lettino e io vedo il corpo, le scarpe come al solito ma in più magari vedo, attraverso una finestra in fondo ai loro piedi una bella casa verde pastello e a dx del loro – non il mio – divano un quadro che mi sembra bello, altre volte non bello .
Chi vedo di fronte, lo vedo più faccia a faccia del solito …..: sono cambiamenti e sento che è importante che li riconosca in me ed in loro e soprattutto cerchi di capire cosa succede nel mio spazio controtransferale: vedo anche il rischio di un mio spazio transferale non curioso ma difensivo, magari infastidito da queste novità.
Non di rado mi sembrano più a loro agio che da me, e poi ci sono questi nuovi intermediari…il telefonino, il tablet,il computer :su queste variazioni dello spazio della cura ,spero di essere veramente aiutato dai colleghi e dal nostro dialogare.In fondo ,e penso a tante situazioni critiche, vissute negli anni con i miei pazienti e nel lavoro istituzionale , situazioni di emergenza, di fratture psicotiche, di un totale essere altrove, di paralisi delle menti…., il focus è sempre quello di far nascere e/o preservare uno spazio e tempo mentali perché la vita possa animarsi e le nostre cure possano vivere con agilità ,mai schiacciata dal peso del pessimismo autogiustificatorio per nulla fare. P. C. Racamier (1972), con il quale ho avuto la fortuna di lavorare e imparare, a partire “Dallo psicoanalista senza divano” mi insegnò come gli strumenti della cura potessero cambiare ,adattarsi con duttilità e leggerezza – quella di Italo Calvino (1988) – a ciò che succede intorno a noi e alle esigenze della gravità clinica; mi insegnò però che quello che poteva comunque salvare il nostro Setting e quindi la specifica natura psicologica del nostro operare, fosse la tutela dello spazio e del tempo della cura, spazio e tempo mentali soprattutto.
Prima di tutto in noi… quello spazio terzo, che informa il setting della relazione terapeutica , che non dovevamo, non dobbiamo , mai permettere che si collassi.Valentino Ferro in Webinar per il Centro Studi per la Cultura Psicologica (3/4/2020) ricorda come “il lavoro psicoterapeutico sia un lavoro che apprende profondamente dall’esperienza, un lavoro scientifico ma anche di bottega mentale e pratica clinica” ; richiama “Lo Psicoanalista senza divano “,le proposte di trattamenti specifici per i gravi disturbi di personalità introdotti tra i tanti da Kernberg, Fonagy . Io sono tornato così a ricordare gli interventi per terapie dialogiche a domicilio con pazienti gravi- non visite assistenziali ma terapie dialogiche- insegnatemi da Giovanni Jervis a Reggio Emilia negli anni ‘70 .
LE NARRAZIONI: “Antonio”, un professore in pensione ,mi dice:“non sto male perché mi sento meno solo, diverso, in questa solitudine; io faccio la vita di sempre ,prima solo ed ora con tanti altri “sfigati”.Quelle centinaia di bare ,erano comunque persone che hanno lasciato delle tracce in sopravvissuti che li pensano…..io non esisto per l’immaginario collettivo ,io che non ho osato vivere….non so se riuscirò a cambiare dopo quest’esperienza” .Maria (1)Una giovane anoressica, dottoranda in farmacologia , che lavora ora in un centro regionale adibito alla somministrazione dei farmaci per il Coronavirus, non usa guanti , non porta la mascherina: non ha alcuna paura – come capita ai pazienti anoressici che vivono sempre a fianco della morte negandola – ed è anche molto brava sul lavoro.Siamo al terzo incontro via whatsapp , in studio ci eravamo incontrati per i due colloqui iniziali : il problema del controllo del corpo “ nemico” è per ora molto forte ed esso non è certo un amico del quale avere cura per cui…..Maria(2) ha sospeso per due settimane le sedute che avvengono con frequenza settimanale,poi ha chiesto di riprendere ma per telefono senza le nostre immagini….45 minuti al telefono: per me è più difficile così ….ma io non amo mai e da sempre le lunghe telefonate.
Con Skype o WhatsApp mi sembra non trovarmi male….sento abbastanza garantito il setting anche se con quelle modifiche delle quali ho sopra scritto.Maria è una paziente storica ed è venuta per due volte alla settimana per molti anni, poi è scesa ad una perché si sentiva e viveva proprio meglio e perché ha spese sanitarie molto alte per i due figli adottati.“La visione è troppo invadente”- dice-“ ma nel solo sentire ho un po’ il terrore che la terapia non sia fatta in due, ma da sola……dovrebbe mettere della musica per ricordarmi che c’è”.Penso che senta la mia difficoltà nell ‘ accettare queste telefonate di 45 min e che mi stia dicendoSulla mia “lontananza”…..forse mi dice che bisogna cambiare musica.“Nelle sedute c’è anche quando qualche volta si addormenta ,lei comunque c’è…forse si difende così ma c’è. ….. nelle sedute ci sono tempi di silenzio….ne ho bisogno.
Qui-dice- parliamo di più” (sento che coglie questa mia fase di transizione e d’altronde al telefono non si sta a lungo in silenzio).
E poi forse così ho una conferma che lei c’è :In realtà parla molto e passa ad un sogno :Lei : ” ero in macchina con il marito che mi lascia a ? Per andare al mercato a comprare gli alimentari( il sogno è ambientato ora in quarantena durante un’uscita permessa ma non proprio così lontano come fanno loro)… trovo un banco di salumi e compro un etto di prosciutto…salame non ne ha il salumiere che mi propone un altro insaccato. Quanto?quaranta eu …sento che sono un’esagerazione ma pago e lui mi dice che in realtà vuole 54 eu….è un’esagerazione ! così gli ridó il cibo e chiedo indietro i soldi.Il salumiere mi restituisce due biglietti da venti , rosicchiati, sbrindellati…mi arrabbio perché non li prenderebbero da nessuna parte e me ne vado”Io :“Se ne va senza cibo e con soldi non utilizzabili ( penso a quello che mi sta dicendo nel transfert attraverso il sogno). Forse mi sta dicendo che le sedute-soldi sono sbrindellate e non sono utizzabili,non nutrono. È così resta senza cibo/terapia”Lei :”sono meno piacevoli, un po’ mi sostengono “ma..Io: “ ma in modo sbrindellato” e spero di poter essere presente in questa terapia per me non facile in modo più continuo….dando del cibo che meritano i soldi spesi, emotivamente e nei fatti, imparando e tollerando di imparare tutti e due, e soprattutto io, dall’esperienza , come cerca con ostinata speranza di ricordarmi Bion (1962).Maria(3): “ Non sono sbroccata ,tengo duro….ho già vissuto L’esperienza di chiusura quando ero ricoverata ..mi sono fatta le ossa.Io: “era peggio? “.Lei: “Si ,ora ho i contatti, Skype, WhatssApp e poi S. Abita vicino e così lo vedo: allora ero chiusa e basta!”Io:” quando si ha sofferto tanto e poi se ne viene fuori. Beh si è fatta gli anticorpi”.Lei: “ora posso leggere, cucinare. Pensi!( aveva sofferto di un Disturbo dell’alimentazione molto grave e distruttivo)Io:” non c’è più la “bestia” che allora divorava tutto anche la “mela”( mente/testa).Mi dice poi che le sedute così le piacciono…..faccio così ,e non solo ora ,anche con le mie amiche.Antonio(2)( un passato recente di abuso di cocaina ed alcool con notevole disforia):”per quanto mi riguarda ,mi fa bene, mi è servitoIo:?Lui:” mi concentro meglio, porto a termine le cose( compone musica e gestisce alcuni siti)… la nostalgia c’è, beh ogni tanto la farei… bevo un po’ (penso che anch’io sto bevendo. Alla sera un po’ di più e con gusto). La noia, dottore, un po’ di nostalgia per i ritmi di allora. “Penso che stia meglio con se stesso da un po’ di tempo ma ancora il “vuoto” faccia paura, faccia paura che torni non potendo e non volendo ricorrere agli antichi “ rimedi”, ma i passaggi all’atto non ci sono e spero, speriamo tutti! Auguro di sperare senza vergogna, di saper riconoscere e così anche rispettare queste nuove paure -paura anche di morire-( ma sono realmente così nuove o sono piuttosto “perturbanti?) ,auguro di saper riconoscere i modelli di adattamento ,le resistenze, che nascono ora , che nascono nelle nostre terapie. Io spero di riconoscere quelle che nascono in me…,.così legato ed in modo struggente alla vita: in realtà avere scritto queste cose un po’ così, un po’ con-fuse, mi fa bene, mi fa bene aver messo a fuoco paure e difficoltà/resistenze anche nelle nuove modalità di far terapia .Riconoscere queste emozioni durante gli incontri con i miei pazienti, riconoscere come possano animare i giochi relazionali della cura , mi permette di mettere in movimento l’immaginario e la fantasia , antidoti potenti alle mie resistenze e paure .Sento e credo che questo possa aiutarmi a lavorare e vivere “ in tempo di pandemia e quarantena”.
Vado verso la conclusione :a)da un lato con la domanda ,direi provocatoria ma sensata, dei colleghi della “ Lettera ai colleghi psicoanalisti.
A proposito dell’attuale pandemia: “Che significa fare analisi ora, in una situazione del genere?Perché si dà per scontato che sia un bene o addirittura una necessità farla? I nostri servizi non sarebbero più utili altrove? -e infine – “Se vogliamo che le persone si interroghino in modo approfondito, non dovremmo, specialmente in tempi disperati come questi, interrogarci noi stessi in modo altrettanto serio?” b) dall’altro con la conclusione di Valentino Ferro nella sua videoconferenza: “Non so se ne usciremo migliori, come in modo entusiastico molti affermano, a mio avviso ne usciremo provati ma spero più consapevoli dei nostri limiti e delle nostre vulnerabilità”.
Infine termino con le parole di un “non psi”: Carlo Bonomi scrive sul Manifesto del 4/4/020: “preciso che oltre all’angoscia della solitudine, ci salverà l’interesse a metterci in comune. Non è stato così nella pandemia, il riscoprire la comunità stretta di infermieri e medici a cui ci affidiamo? Per poi accorgerci di quella comunità di cura larga che va dai contadini agli operai, ai bottegai, alle cassiere dei supermercati, ai camionisti che ci garantiscono luce, calore, cibo a domicilio, tutti lavoratori dell’ultimo miglio che ci erano invisibili. Mettersi in comune… porta a riscoprire… la cultura della rappresentanza, le forze sociali, la società di mezzo: la comunità di cura larga evoca pratiche che rimandano al vuoto della rappresentanza – attuale -… che ha trasformato la dialettica sociale in rituale stantio.
Covid 19 riporta il rappresentare all’essenziale.”Ecco io accetto del tutto questo invito a riscoprire il senso del rappresentare , dalla nostra esperienza professionale all’esperienza, ben più importante e diffusa ,delle forze sociali che costituiscono- come scrive Bonomi- la società di mezzo.Riscoprire ed operare in questo senso forse -e scrivo forse-ci potrà salvare da quella che Paolo Rumiz, su Repubblica del 2/4/2020, chiama “inerzia imbambolata che ora fa finalmente veramente spavento, schiacciati come siamo dalle forme estreme ,veramente mortifere come i più pericolosi ed aggressivi dei Virus, di un Capitalismo violento e totalitario, nemico di ogni cultura della rappresentanza.
BIBLIOGRAFIA
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Calvino I.(1988) Leggerezza in Lezioni Americane.Milano:Garzanti ed.1988 pp5-30.
Canetti E.(1960) Massa e Potere . Milano: Adelphi ed.1981
Camus A.(1947) La Peste . Milano:Bompiani ed. 1986
Coelen M.(2020) Lettera ai colleghi psicoanalisti,a proposito dell’attuale pandemia. European Journal of Psychoanalisis,marzo 2020
Ferro V. Il lavoro psicoterapeutico da remoto ai tempi del Covid-19.Interconnessioni fra setting esterno ed interno.
Freud S.(1919) Il perturbante in Opere.Torino: Boringhieri ed.1977 pp81-114.
Freud S.(1921)Psicologia delle masse ed analisi dell’Io.Torino: Biblioteca Boringhieri Boringhieri ed. pp 41/42
Legrenzi P. (2020) La misura giusta della paura in Inserto 24 ore ,29/03/2020.
Napolitani D.(2011) Identità : un’ossessione . Milano:Riv.di Gruppoanalisi ,vol.XXV n.1.2011
Pecoraro. F.(2013) La vita in tempo di pace.Milano:Salani ed. 2013
Racamier P.C.(1972) Lo psicoanalista senza divano.Milano:Cortina ed.1982
Rumiz P. (2020) Ragazzi unitevi per salvare la nostra Europa. Repubblica 2/4/2020