Buenos Aires 17-19 novembre 2018
di Andrea Narracci, Sara Bartolucci, Filippo Moscati
Nei giorni precedenti al congresso alcuni di noi hanno partecipato al Gruppo di Psicoanalisi Multifamiliare tenuto dalla Dott.ssa Eva Rotenberg e dai suoi collaboratori presso L’Hospital de niños a Buenos Aires e al GPM che ha luogo presso la Comunità Terapeutica “Ditem” e condotto dalla Dott.ssa Maria Elisa Mitre ed i suoi colleghi.
Entrambe le esperienze sono state molto emozionanti ed arricchenti. Il primo gruppo si tiene in una stanza “malandata” del reparto di dermatologia dell’ospedale pediatrico; si riuniscono il giovedì all’ora di pranzo molti bambini, pazienti del reparto, con i loro genitori. I bambini, di età variabile, e la conduttrice, Eva, siedono al centro della stanza intorno ad un tavolo in cui c’è l’occorrente per disegnare, e i genitori, con gli altri operatori, siedono in cerchio intorno a loro. La dott.ssa Rotenberg ha un atteggiamento maggiormente direttivo rispetto ai gruppi che avvengono con soli adulti, probabilmente per la necessità di un contenimento maggiore per i bambini e per il contesto socio-culturale delle famiglie che sembrano provenire da realtà complesse e di povertà. E’ stato molto toccante appurare quanto i bambini abbiano bisogno che i genitori diano voce al proprio dolore, alla verità di ciò che avviene in casa e come da questo dipenda la possibilità di esprimere loro stessi la sofferenza. E’ stato davvero importante vedere come i bambini si sentano protetti dall’autenticità di racconti, anche violenti, dei familiari nel contesto specifico del Gruppo Multifamiliare perché dà loro la possibilità di dare veridicità al proprio dolore e ridurre la somatizzazione, che nel loro caso è dermatologica (dermatite atopica, alopecia, ecc.).
Il gruppo della “Ditem”, invece, appartiene ad un contesto molto differente trattandosi di una comunità terapeutica per adulti. La conduzione del gruppo è corale e si differenzia dalla nostra per la gestione delle prenotazioni dei partecipanti. Infatti, per lo più, sono i conduttori stessi a dare la parola ai partecipanti se notano un particolare coinvolgimento emotivo o delle connessioni rispetto al tema e la prenotazione per prendere parola passa in secondo piano. Il gruppo a cui abbiamo partecipato ha assunto un clima emotivo molto intenso con i conduttori che si muovevano per la stanza “a captare” le emozioni dei pazienti, dar loro parola e spesso per avvicinarsi fisicamente ai partecipanti in segno di conforto e sostegno. Il focus sul “qui ed ora” e la conduzione attenta al mantenimento di un filo conduttore tra gli interventi sembrano porre in secondo piano il raggiungimento di un processo di “pensiero primario “nel gruppo, da noi ricercato attraverso l’ attenzione alla prenotazione e alla possibilità di narrazioni indipendenti.
L’esperienza dei due gruppi nei giorni precedenti ci ha permesso di entrare ancor più in connessione con i colleghi d’oltreoceano e ha dato avvio a delle riflessioni molto stimolanti. La sera precedente il congresso è stata organizzata la presentazione della pubblicazione delle Opere di Jorge Garcia Badaracco, curata da Maria Elisa Mitre e avvenuta presso la Comunità Terapeutica “Ditem”.La dott.ssa Mitre ha il grande merito di aver perseguito con decisione tale obiettivo e di averlo, infine, raggiunto. Possediamo, ora, le “Opere Complete” e potremo dedicarci, con passione, al loro studio e alla loro traduzione. Da esse, infatti, si potrà ripercorrere l’itinerario del pensiero di J.G.Badaracco , lungo il quale troveremo molto ancora da approfondire. Durante la presentazione si è molto discusso della capacità di J.G.Badaracco di ideare e fondare una nuova epistemologia, in base alla quale tentare la riformulazione di un modo di pensare e di agire nei confronti della malattia mentale. Ciò comporta un’inversione di tendenza di quanto avvenuto fino ad oggi ed un nuovo modo di intervenire in ambito psichiatrico. Si tratta , infatti, di lavorare tra operatori con differenti professionalità e formazione, con un insieme di famiglie, composte da pazienti e familiari alla ricerca del senso degli eventi e, soprattutto, di ciò che si può fare per migliorare la vita di pazienti, familiari e operatori.Il Congresso, strutturato in sessioni di due o tre lavori ed uno spazio successivo per la discussione, è iniziato con un lavoro presentato dalle più giovani e strette collaboratrici di Maria Elisa Mitre, Katerine Walter e Mariana Fuxman, che consisteva in un video contenente le interviste di pazienti che avevano soggiornato presso la comunità diurna Ditem.
Le testimonianze dei pazienti hanno sottolineato l’importanza di aver trovato, nella comunità terapeutica, un ambiente caratterizzato da un clima particolarmente accogliente, che aveva permesso loro di “fermarsi”per riflettere sulle difficoltà incontrate nella vita e, quindi, su come riuscire a ricominciare. Il secondo lavoro è stato presentato dal Gruppo di lavoro di Madrid guidato da Esther Bustamente e Tania Martin, che raccoglie i contributi di circa trenta gruppi operanti nella provincia di Madrid, che ha raccontato le vicissitudini della fondazione e dello sviluppo del cosiddetto “Gruppo Grande”. E’ stata sottolineata l’importanza di condividere le decisioni da parte di tutti i membri, tollerando le differenze di opinioni ma puntando, comunque, ad una “ricomposizione” basata sul rispetto reciproco. E’ emerso quanto questo possa risultare difficile perché, proprio come accade con i pazienti e le loro famiglie, a volte, c’è chi non accetta di rinunciare di avere ragione e non riesce a uniformarsi alle decisioni del gruppo. Inoltre, hanno evidenziato come i pazienti proteggano e si prendano cura dei conduttori nelle situazioni di difficoltà tra gli operatori e durante il gruppo.
Il terzo lavoro è stato presentato da due operatrici, un’assistente sociale e una psicologa, che hanno aperto un gruppo di psicoanalisi multifamiliare (GPMF) in un Centro Diurno (CD), in un paese sulle Ande a 1700 chilometri da Buenos Aires (BsAs). Si è trattato del racconto di un’esperienza pionieristica, in una situazione in cui il CD è l’unica alternativa al ricovero in ospedale, e da cui emergeva quanto fosse stato importante introdurre l’idea che i problemi non risiedono solo nel paziente ma nelle relazioni tra il paziente e i membri della sua famiglia. In seguito, abbiamo ascoltato il lavoro di Stefano Goretti, un giovane italiano che lavora in Spagna, che ha costruito un parallelo tra l’importanza di elaborare i vissuti, dal punto di vista fenomenologico, e la possibilità concreta che questo si verifichi nel GPMF. In particolare, lo psichiatra ha evidenziato come le esperienze traumatiche spesso comportinodei contenuti dissociati ed aspetti scissi irraggiungibili se non si ricorre alla possibilità di farli riemergere utilizzando la potenza evocativa del gruppo. Racconta il caso di F., un paziente conosciuto in Ditem.
In seguito, è intervenuto il Dott. Eisestein che ha raccontato la sua esperienza in una cittadina a trecento chilometri da BsAs, in cui, tramite il gruppo, riesce ad inserire degli elementi di “pensabilità” a proposito della sofferenza mentale, altrimenti inavvicinabili, in una realtà in cui esiste solo una psichiatria basata sulla diagnosi e sul “silenziamento” dei sintomi. A questo punto è intervenuto J. L. Lopez Atienza, di Bilbao, che ha portato il video di un gruppo che testimoniava, oltre la notevole perizia tecnica, la grande partecipazione emotiva della coterapeuta Maribel. Il modo di lavorare di questi due terapeuti è motivo di riflessione perché utilizzano il GPMF al termine di un percorso in cui prima si occupano del paziente individualmente, in seguito lo inseriscono in un piccolo gruppo e, infine, in un GPMF, coniugando, quindi, la terapia individuale, del piccolo gruppo ad orientamento analitico e del GPMF.In seguito è intervenuto Fernando Burguillo, che ha parlato di come, a volte, i sentimenti di esclusione, anche molto dolorosi e provati personalmente, possano far parte del bagaglio di uno psicoanalista multifamiliare.
ella prima giornata, dunque, si è molto discusso del tema sollevato da Lopez Atienza e da altri autori, riguardo la centralità delle tematiche intergenerazionali e dell’ opportunità che la partecipazione al GPMF offre, soprattutto ai genitori, di elaborare lutti e traumi non elaborati. Lopez Atienza insisteva, nel suo lavoro, sul fatto che i genitori di pazienti cronici riescono ad essere solo genitori e che hanno difficoltà a ripensare a come sono stati figli. Il loro è un vissuto di “crisi permanente” e di allarme che, con il passare del tempo, struttura in modo profondo l’identità genitoriale come una trappola di interdipendenza patologica da cui non hanno scampo. Genitori e figli vivono nel terrore di un dolore infinito. I colleghi, infine, pongono un interrogativo: come lavorare con i vissuti di impotenza dei terapeuti di fronte a tale cronicità?
Nella seconda giornata, sono intervenuti per primi due giovani psicologi francesi che hanno vissuto un periodo di formazione presso la CT “Ditem”.
Hanno raccontato delle difficoltà incontrate nel prendere contatto ed inserirsi nel tessuto dei rapporti presenti in CT e di come le loro difficoltà, la separazione e la nuova individuazione, li avessero aiutati a sintonizzarsi sulle difficoltà di ambientamento dei pazienti, anch’essi impegnati a lasciare le proprie famiglie e a scoprire di poter sperimentare nuovi modi di essere sé stessi nell’alveo delle nuove relazioni costruite in CT. In particolare, l’accoglienza del gruppo multifamiliare ha permesso, ai giovani colleghi così come ai pazienti, un contenimento della possibile disorganizzazione a seguito della separazione ed una ristrutturazione dell’identità di ognuno che era stata alterata dal senso di estraneità provato nel nuovo ambiente.
Successivamente è intervenuto il dott. Federico Russo, che ha affrontato, attraverso l’uso di foto, video e di un testo scritto, aspetti della sua vita, personale e professionale e di come si fosse giovato dell’incontro con la Psicoanalisi Multifamiliare (PM) di JGB per averne beneficio su entrambi i piani. Il tutto per ribadire quanto la partecipazione emotiva al GPMF e le conseguenti “vivencie” a cui si è “sottoposti” nel gruppo, siano in grado di influire positivamente, sugli operatori, oltre che sui pazienti e i familiari, cioè su tutti i partecipanti indistintamente. Il dott.Russo evidenzia come le cerimonie di passaggio della vita siano dei grandi gruppi multifamiliari, se il clima è ben curato da chi “ospita”, e dunque possiamo vedere il Gruppo Multifamiliare come una reale cerimonia sociale in cui avvengono rispecchiamenti e nuove identificazioni, in cui il sistema di interdipendenze patogene viene messo in crisi.
Un gruppo di giovani ed entusiasti operatori madrileñi, che lavorano in un Consultorio per famiglie con bambini in difficoltà, hanno proposto la ricchezza del loro modo di lavorare e la vivacità della loro giovane età, con un video ed un sapiente commento ad immagini, di per sé, già esaustive. Questo per ribadire le enormi potenzialità della Psicoanalisi Multifamiliare e portare alla commozione i suoi vecchi interpreti!La commozione si è fatta sentire anche a proposito dei due interventi successivi: quello del gruppo di operatori coordinato da Eva Rothenberg, che si occupa di famiglie in cui sono presenti figli piccoli che soffrono di patologie dermatologiche gravi e quello del gruppo di operatori coordinato da Eduardo Mandelbaun, che opera in una zona periferica di BsAs, il quartiere di S. Isidro. Eva e i suoi giovani colleghi ci hanno parlato di come funziona il gruppo con i genitori, mentre i figli piccoli, al centro della sala, giocano e litigano tra loro e, soprattutto, che, mano a mano che i genitori riescono a tirare fuori i loro, a volte drammatici, problemi, i figli incredibilmente migliorano nelle loro sintomatologie, con buona pace dei dermatologi che li seguono. Queste sintomatologie sono il segno di una crisi che per un bambino comporta l’opportunità di mostrarsi, farsi ascoltare e conoscere e per i genitori la possibilità di riconoscere il figlio come altro da sé. Nel gruppo multifamiliare possono realizzarsi tali opportunità.
Eduardo ci ha aiutato a “calarci” nel clima delle periferie più estreme di una grande megalopoli, in cui la violenza sembra rendere le persone grandi, i genitori, anche se ancora molto giovani, ormai privi di speranza; speranza che viene evocata dagli interventi di figli, anche di meno di dieci anni, che, a volte, vengono al gruppo da soli e, poi, riescono a trascinare le madri e il resto della famiglia.A questo punto c’è stata la sessione cosiddetta “dei nonni”, a cui hanno partecipato Gabriel Dobner, Alberto Jones e Andrea Narracci.
Gabriel ha ancora una volta ripercorso i grandi legami tra lo sviluppo della tradizione psicoanalitica argentina, nella sua specifica originalità, visto che gli argentini sono di cultura europea ma hanno il privilegio sia di farne parte che di poterla osservare da lontano, dall’altra parte di un oceano e l’esperienza ormai leggendaria di Jorge Garcia Badaracco che, sulla base della sua formazione psicoanalitica europea, si mise a parlare con gli schizofrenici e i loro genitori in un periodo in cui molto pochi al mondo ritenevano che ne valesse la pena.Alberto ci ha raccontato degli sviluppi della sua bella esperienza di conduzione di un GPMF all’interno di un Ospedale Generale, dove è possibile incontrare la sofferenza prima ancora che si trasformi in una diagnosi e di come possa risultare proprio la famiglia, se “messa nelle condizioni”, dalla partecipazione sistematica al gruppo, ad esprimere le sue straordinarie capacità terapeutiche, attraverso la descrizione di un cammino terapeutico del paziente e dei suoi familiari.
Andrea ha portato un’ipotesi su cui lavorare, corredata da un esempio clinico: alla base del determinarsi delle “interdipendenze patologiche e patogene”, prima ancora che si manifesti una difficoltà del genitore a separarsi e una del figlio ad individuarsi, ci sia la capacità del figlio di intuire, anche inconsapevolmente, la presenza di una sofferenza del genitore. E’ possibile che questo non venga riconosciuto consapevolmente e che il figlio inizi a pensare la propria vita come non separabile da quella del genitore, percepito come sofferente. Gabriella Bar de Jones ci ha parlato dello sviluppo dell’uso della Psicoanalisi Multifamiliare in contesti di migrazione, di quanto possa essere utile non solo per elaborare il trauma della migrazione ma anche per comprendere i problemi che ne hanno determinato l’origine o che, comunque, hanno avuto una grande rilevanza nel determinarla, facendo riferimento anche alla propria esperienza di migrante di origine francese.
Nella parte conclusiva del Congresso, infine, è stato presentato il lavoro dal titolo: ”Esercizi di complementarietà”, a cura del gruppo di lavoro del Laboratorio italiano di Psicoanalisi Multifamiliare (LiPSIM), coordinato dal dott. Russo e dal dott. Narracci, che aveva per tema l’individuazione dei principi di riferimento che contraddistinguono la PM. Alla presentazione di questo lavoro è stato dato grande riscontro in una riunione ristretta, che si è tenuta il giorno successivo al termine del Congresso, a cui hanno partecipato i membri della “Red Internazional”, la rete Internazionale, che sta cercando di raggiungere un punto di convergenza su questo tema complesso da parte, come detto, dei rappresentanti di ognuna delle reti nazionali in cui la Psicoanalisi Multifamiliare è presente. In questa riunione è stato esaminato e discusso anche il documento presentato dal “Gruppo Grande” madrileño. Presto sarà preso in considerazione anche il documento redatto degli argentini e si cercherà di giungere ad una sintesi che tenga conto delle “vie nazionali” della Psicoanalisi Multifamiliare ma che cerchi anche di individuare gli elementi di base che la caratterizzano.