Da un secolo o poco più letteratura, poesia, arte hanno abbandonato ciò che è descrizione conclusiva, definitoria, realistica anche se non necessariamente fedele alla realtà. I parametri di questa venivano comunque rispettati, ciò che caratterizzava nell’800 la forma romanzo e il realismo figurativo.
Si sono poi fatta strada l’allusività, le metafore, la simbologia. La coerenza formale è divenuto un optional. Questo, forse anche in reazione al grande sviluppo delle scienze “dure” e della tecnologia, che almeno in apparenza si fondano (si fondavano?) su un pensiero consequenziale e ordinato, e sulla verificabilità.
Tuttavia, la ricerca di un ordine controllato e di una consequenzialità, messa in atto già ben prima dell’epoca cartesiana, entrava perfino nella poesia, con prescrizioni e forme come la rima o la forma – sonetto; non a caso, anche queste abbandonate nella attuale creatività.
E’ questa temperie culturale che ci ha aiutato a rivedere il nostro rapporto con la follia, cessando di privilegiare in assoluto ordine e ragione; senza questo cambiamento, non sarebbero stati possibili i cambiamenti operativi verificatisi nella assistenza psichiatrica. Il paziente mentale ha cessato di apparirci come totalmente alieno; senza che i concetti di salute o di sofferenza mentale abbiano perso senso e valore, la sua inquietudine è la nostra inquietudine, per rifarci al termine scelto da Fernando Pessoa in un’opera che volutamente rinunzia alla forma – racconto in favore di notazioni e intuizioni espresse in libertà.
C’è la crisi della identità personale, la difficoltà di sapere chi siamo realmente; il disaccordo con noi stessi; il rapporto ambiguo con il principio di realtà, vissuto come limitativo e frustrante ma rassicurante, fondato com’è anche sulla capacità di dare un nome alle cose; la funzione di compromesso svolta dalla creatività artistica e dal libero fantasticare; il faticoso rapporto con le proprie emozioni.
Ci si può interrogare sul possibile significato psicopatologico personale di certe creazioni letterarie e artistiche, magari quelle di un Rimbaud o di Verlaine; ma in realtà non è questo il punto, come appare chiaramente pensando ad antichi Autori come Torquato Tasso. Egli ha avuto crisi psicotiche necessitanti anche di ricovero; ma ciò non gli ha impedito di adeguarsi a forme poetiche standardizzate e, sul piano dei contenuti, alla conformistica adesione all’ideologia della controriforma. Altri tempi. Lo scrittore di oggi può sostenere che “passare dai fantasmi della fede agli spettri della ragione è solamente un cambiare di cella”. Cambiato il concetto di verità. Si persegue la libertà, anche dalla ragione classica; ma essere liberi può significare anche perdersi, o comunque confrontarsi con l‘angoscia.
Tutto ciò ha creato i presupposti per l’apertura di nuove strade al nostro operare, divenuto più faticoso e complesso ma più gratificante.