Vaso di Pandora

Arte, tecnologia, sogno.

La terapia psicodinamica delle psicosi con il disegno speculare progressivo e con altre tecniche di integrazione sensoriale

di Maurizio Peciccia*, Simone Donnari**

*Dipartimento di Filosofia, Scienze Umane e Sociali, Università di Perugia; Istituto di Psicoterapia Psicoanalitica Esistenziale Gaetano Benedetti; Cofondatore Associazione Sementera Onlus, Perugia.

**Istituto di Psicoterapia Psicoanalitica Esistenziale Gaetano Benedetti; Cofondatore Associazione Sementera Onlus, Perugia; Responsabile Centro Atlas

Vi sono molti casi di psicosi in cui la frammentazione psichica paralizza sia la capacità di sognare che quella di parlare.

In queste situazioni abbiamo sviluppato con Gaetano Benedetti una tecnica di comunicazione attraverso le immagini denominata disegno speculare progressivo terapeutico (Peciccia e Benedetti, 1989) che somiglia allo “squiggle game” di Winnicott (1953, 1971) ma se ne differenzia in alcuni punti.

Nello “squiggle game, Winnicott tracciava uno scarabocchio e poi il bambino lo trasformava “facendone qualcosa”. Altre volte il bambino disegnava una forma che poi Winnicott sviluppava o completava.

Il disegno speculare progressivo prevede un primo tempo in cui paziente ed analista tracciano contemporaneamente su due diversi fogli un disegno spontaneo; segue poi una secondo momento in cui, sempre simultaneamente, il paziente completa e trasforma il disegno dell’analista, mentre l’analista completa e trasforma il disegno del paziente.

Paziente e analista, ricopiando l’uno i disegni dell’altro, ripetendo i medesimi gesti della mano e sviluppandoli nel dialogo grafico, entrano nel mondo altrui attraverso porte inconsce condivise e scoprono la comunicazione intensa che si nasconde dietro il muro autistico. La tecnica del disegno speculare progressivo sembra identica allo squiggle game se non che il dialogo in immagini e le risposte -del terapeuta ai disegni del paziente e del paziente ai disegni del terapeuta- non avvengono sullo stesso foglio, come nel caso della tecnica ideata da Winnicott, ma su più fogli,  trasparenti, che possono essere alternativamente sovrapposti e separati dai fogli sottostante dell’altro.

Questa modifica tecnica presenta alcuni vantaggi rispetto allo squiggle game.

Il primo è la possibilità di utilizzare il metodo con pazienti psicotici. L’Io molto fragile può avvertire invasivo l’intervento dell’analista che nello squiggle game modifica il disegno del paziente intervenendo direttamente sul suo foglio con proprie proiezioni, Le trasformazioni nel disegno speculare progressivo avvengono invece su un foglio trasparente, che è temporaneamente sovrapposto, unito, e successivamente separato dal disegno sottostante del paziente. Il disegno e quindi il mondo interno del paziente è, in questo modo, pienamente rispettato.

La sovrapposizione dei disegni che si ottiene attraverso la trasparenza dei fogli, realizza un’unione tra i disegni del paziente e dell’analista e ciò rappresenta simbolicamente l’unione psichica del loro mondo interiore. La successiva separazione tra i disegni del paziente e del terapeuta evidenzia il distanziarsi delle loro interiorità dopo il contatto simbiotico, il riemergere in superficie dopo l’immersione nella realtà psichica dell’altro.

Il disegno speculare progressivo esprime, anche tecnicamente, il tentativo dell’analista di integrare sé simbiotico e sè separato per contrastare la scissione psicotica [1].

L’alternanza tra sovrapposizioni (condensazioni) e separazioni di un indefinito numero di fogli trasparenti arricchisce il processo analitico di una serie di immagini, del paziente e del terapeuta, disposte in sequenze associative. Queste nuove linee associative, queste connessioni simboliche sono i fili attraverso cui ricucire le reti e i legami associativi frammentati dalla psicosi.

I nuovi fili associativi collegandosi in trame intrecciate di immagini, parole e affetti, creano una stoffa relazionale e configurano una alternativa possibile al delirio, che tenta di riparare, spesso inutilmente, la lacerazione tra l’Io e la realtà. Le immagini del paziente e dell’analista si articolano in narrazioni grafiche, animate dai tipici meccanismi del sogno, che si attivano negli scambi duali grafici e verbali.

Seguendo associazioni visive spontanee i due partecipanti al processo artistico ed analitico utilizzano il processo primario come forma di comunicazione basata sull’immagine. I disegni speculari progressivi rispecchiano i disegni dell’altro e li sviluppano: gli elementi grafici dopo essere stati duplicati sono infatti spostati e condensati con altri elementi grafici. Questo processo porta alla creazione o alla modifica di dettagli più o meno significativi della scena che, grazie al ripetersi continuo di  duplicazioni, spostamenti, condensazioni, separazioni, acquista il movimento e la progressione tipica delle pellicole cinematografiche.

Paziente e terapeuta inseriscono gradualmente, in questo film di immagini, leggere modifiche, piccoli cambiamenti indici dell’affetto che scorre tra i due co-creatori della scena grafica. Poiché i disegni sono simili tra loro -ciascun disegno è infatti una copia lievemente trasformata del disegno precedente- se si osserva rapidamente l’intera successione di immagini, è possibile ottenere l’illusione del movimento, come avviene nei sogni ed al cinema.

Anche quando le figure sono visti lentamente, quindi in assenza di movimento apparente, è possibile riconoscere, nei disegni co-creati dalla coppia, una storia, una narrazione con una sua continuità ed un suo codice comunicativo visivo.

Pazienti psicotici con gravi disturbi della comunicazione verbale possono entrare in questa modalità comunicativa recuperando l’utilizzo del linguaggio verbale. Spesso il recupero del linguaggio verbale si accompagna alla comparsa di rappresentazioni grafiche dei “soggetti transizionali” (Benedetti e Peciccia, 1989; Benedetti 1991, 1992)

“Con il termine soggetto transizionale intendiamo un soggetto fantasmatico che ha i tratti del paziente e del terapeuta e che origina nel corso della psicoterapia dall’identificazione e dalla contro-identificazione, dal transfert e dal controtransfert… dall’introiezione e dalla proiezione. Lo sviluppo del soggetto transizionale nella psicoterapia delle psicosi deriva dalla fusione tra paziente e analista e ha la potenzialità di guarire (Benedetti & Peciccia, 1989).

Il soggetto transizionale non deriva solo dalle identificazioni reciproche ma anche da un equilibrio tra processi di identificazione e differenziazione, di unione e di separazione tra paziente e analista (Peciccia e Benedetti, 1996).

Il soggetto transizionale riconducibile all’oggetto transizionale di Winnicott e all’oggetto-sé di Khout produce fenomeni che “…si svolgono intensamente ad un livello del tutto inconscio, fino al punto da indurre contemporaneamente, nell’analista e nel paziente, l’emergere di sogni da me detti gemellari” (Benedetti 1991, p 281).

Il soggetto transizionale è “una figura che riunisce in sé i due versanti del paziente e dell’analista…  che può anche essere una proiezione visiva del paziente, una voce allucinata, una produzione del delirio, un’opera artistica ma anche un sogno o una fantasia dell’analista…Il soggetto transizionale, che agisce talora indipendentemente dal terapeuta e dal paziente, è dunque il terzo soggetto accanto al paziente ed all’analista.”   (Ibid., p.110-111)

La teoria del soggetto transizionale formulata alla fine degli anni ‘80 è molto vicina a quella enunciata da Ogden nella metà degli anni ‘90 del “terzo analitico intersoggettivo” denominato anche “terzo soggetto analitico” o “terzo analitico” (Ogden, 1994).

“Il terzo analitico è un concetto che è diventato per me, nel corso degli ultimi dieci anni, una parte indispensabile della teoria e della tecnica su cui mi affido in ogni seduta analitica”  (Ogden, 2004a P.167)

“La situazione analitica così come la concepisco, è composta da tre soggetti che conversano inconsciamente tra loro: il paziente e l’analista come soggetti separati ed il “terzo analitico” intersoggettivo,…. un soggetto in comune costruito congiuntamente ma asimmetricamente dalla coppia analitica” (Ogden, 2004b P.863).

“Dal momento che l’esperienza dell’analista del (e nel) terzo analitico è prevalentemente inconscia, egli deve fare uso di metodi indiretti per ottenere un maggiore accesso consapevole a questo aspetto della relazione analitica. L’esplorazione analitica delle sue esperienze di reverie rappresenta uno di questi metodi indiretti (Ogden,1997, P.161). Fin dall’origine i sogni dell’analista (le sue reverie nella situazione analitica) non sono soltanto dell’analista o del paziente, ma appartengono ad un terzo soggetto inconscio, che non è singolarmente né il paziente nè l’analista ma entrambe (Ogden, 2004b, p.862).

Anche Benedetti, come Ogden, pensa che l’esperienza e la consapevolezza del soggetto transizionale, nel paziente e nell’analista siano diverse ed asimmetriche: principalmente perché l’analista ha un sé simbiotico integrato con il sé separato mentre, nel paziente, questi due stati del sé sono scissi. Così può accadere spesso che il paziente psicotico, espelle nella realtà esterna esperienze del “soggetto transizionale” che non sono ancora elaborabili. In questi casi il “soggetto transizionale” si manifesta attraverso allucinazioni o deliri.

“Non di rado il soggetto transizionale è percepito, dal paziente psicotico, come un fenomeno extrapsichico, per esempio come una voce, che, in quanto allucinazione, reca ancora tutti i tratti di una psicopatologica terza realtà tra paziente e terapeuta ma che, a differenza dei consueti fenomeni psicopatologici, è già portatrice di un processo di guarigione … Questa voce, talvolta fornisce al paziente interpretazioni ancora migliori di quelle che vengono in mente al terapeuta” (Benedetti,1992. P.79).

Sia Benedetti che Ogden riportano casi in cui il soggetto transizionale ed il “terzo analitico sono esperiti anche dall’analista in uno spazio extrapsichico, come allucinazione uditiva (Benedetti, 1991), o come delirio somatico (Ogden 1994).

Per Benedetti il soggetto transizionale si manifesta non solo attraverso allucinazioni o deliri progressivi ma anche attraverso fantasie, associazioni, disegni, sogni terapeutici e sogni “gemellari” del paziente e dell’analista ( Benedetti, 1991, 1992).

I sogni gemellari sono sogni che paziente e analista sognano la stessa notte e che hanno un contenuto simile. Di solito sono collegati ad angosce profonde emerse la seduta precedente il sogno. I “sogni gemellari” presentano anche elementi di asimmetria, che differenziano il sogno dell’analista dal sogno del paziente, e che raffigurano possibili alternative alle situazioni angoscianti del paziente.

I sogni terapeutici per Benedetti:

“non si incontrano nel rapporto con tutti i pazienti e neppure in tutte le fasi dell’analisi. I sogni terapeutici talora vanno al di là della portata della fantasia in stato di veglia dell’analista e danno con le loro risposte impreviste la chiave per aprire certi impatti dove tutto sembra precluso“ (Benedetti,1980, p.251). Nei sogni, nelle fantasie, nello spazio condiviso con il paziente, l’analista oscilla tra simbiosi-con e separazione-dal paziente e quindi, attraverso sogni e fantasie terapeutiche, egli ripara la scissione del paziente.

Con il tempo il paziente riesce ad accogliere internamente i pezzi di sé che aveva espulsi esternamente assorbendo, dal terreno comune che condivide con l’analista, la capacità di oscillare tra simbiosi e separazione e quindi di avere fantasie e sognare.

La fantasia terapeutica per Benedetti è:

“un’attività produttiva della mente dell’analista che tende a portare avanti per via di immagini i messaggi distruttivi del paziente continuamente trasformandoli, innestandoli in altri più aperti a prospettive di vita” (Benedetti , 1980, p.248).

Premessa essenziale per la fantasia e per i sogni terapeutici è:

“il dolore dell’analista nell’identificazione parziale con la morte del paziente. Il dolore dell’analista fa percepire la morte del paziente come qualcosa che riguarda noi tutti e che solo casualmente è accentrata sul paziente” (ibid. p. 247).

L’analista offre, attraverso la propria vita immaginativa, creativa ed onirica, la propria persona, il proprio essere, per costruire, insieme al paziente privo di una sua esistenza autonoma, il soggetto transizionale che è il primo nucleo a partire dal quale, attraverso progressive identificazioni, il paziente edifica la propria identità frammentata. Attraverso il soggetto transizionale il paziente sogna con l’analista i sogni che da solo è costretto a cancellare o ad espellere e può iniziare ad esperire le fluttuazioni tra stati di separazione e di simbiosi del sé che altrimenti lo terrorizzano. Il soggetto transizionale attiva nel campo duale analitico, sogni gemellari e sogni terapeutici, disegni speculari e disegni progressivi basati su una dinamica di simmetrie e asimmetrie relazionali. Questa attività del soggetto transizionale si inserisce nella trama dell’inconscio duale, nel sogno condiviso da paziente ed analista e permette l’integrazione, nello spazio intersoggettivo, dei frammenti psichici che il paziente aveva inizialmente espulso fuori di sé.

Il soggetto transizionale di Benedetti, il terzo analitico di Ogden, sono protagonisti del campo condiviso dalla coppia analitica, il paziente assorbe da questo spazio la capacità di sognare ricucita dal soggetto transizionale. La fragile ragnatela del delirio, con cui il paziente cercava di riparare lo strappo tra l’Io ed il mondo esterno diventa, nel soggetto transizionale, un tessuto più robusto che collega i mondi interni del paziente e dell’analista. I fili che intessono questo tessuto transizionale sono fatti di reverie analitiche, di sogni condivisi, di immagini positivizzanti e, come vedremo nell’esempio clinico di disegni speculari progressivi particolarmente utili per comunicare con pazienti il cui linguaggio verbale è frammentato.

Grazie al soggetto transizionale, il paziente può esperire, indirettamente, fluttuazioni separazione-simbiosi non catastrofiche ed iniziare, in uno spazio intersoggettivo, l’integrazione tra stati simbiotici e stati separati del sé. Le fluttuazioni separazione-simbiosi, filtrate dal soggetto transizionale, generano sogni che non divorano il paziente, ma che lo nutrono. Nel soggetto transizionale sé simbiotico del paziente e sé simbiotico dell’analista si uniscono come un ponte. Il sé simbiotico tende infatti, per la sua natura priva di confini, a collegarsi in rapporti speculari di simmetria con l’altro (s=o). Il sé simbiotico dell’analista però, diversamente da quello del paziente, non è scisso ma è integrato con il sé separato.  Questo offre al paziente la possibilità di avvicinare stati di separazione e stati di simbiosi del sé per integrarli indirettamente nel soggetto transizionale. Questa integrazione inizialmente avviene all’esterno di sé grazie alle attività immaginative ed onirico-simili del soggetto transizionale di cui l’analista ha maggiore consapevolezza. L’analista oscilla tra sogno e coscienza, tra simmetria ed asimmetria, tra lo stato nubiforme del sé simbiotico, che si fa un tutt’uno con il paziente, e lo stato localizzato, puntiforme, separato del proprio essere nettamente differenziato dal paziente e dalla sua storia. I sogni, le immaginazioni, i disegni speculari progressivi, attraverso cui la diade transizionale analista-paziente si muove nei paesaggi di morte e nelle rovine dell’anima, sono forme di fluttuazioni evolutive tra stati di simbiosi e di separazione del sé.

Il disegno speculare progressivo ha molte affinità con il sogno perché si basa su meccanismi di duplicazione, spostamento e condensazione. Offrire al paziente uno spazio interpersonale di immagini dove poter disegnare e sognare in coppia, crea l’opportunità di liberare la coscienza del sofferente dall’invasione del sogno.

Sin dalle origini della psicoanalisi, il processo psicotico è stato paragonato ad un sogno che, bloccato nell’inconscio, cerca un luogo esterno -che può essere la propria coscienza, il mondo esterno, o la mente degli altri- dove poter essere sognato, nella speranza, spesso vana, di ottenere una auto guarigione. Questo processo è stato efficacemente sintetizzato da Racamier (1976) con il termine di “dream out”.

Nel disegno speculare progressivo paziente e terapeuta co-costruiscono, fotogramma dopo fotogramma, nello spazio interpersonale duale, un luogo, uno schermo comune, dove poter muovere, unire, separare, animare, sognare immagini ed affetti estromessi dal mondo interno. Lungo le sequenze di disegni, si confrontano rappresentazioni della simbiosi e della separazione. Nei disegni speculari progressivi si alterna simmetria ed asimmetria, specularità e trasformazione. Ogni immagine è il duplicato della precedente lievemente modificato da spostamenti e condensazioni. Questo crea successioni di immagini simili alle serie di fotogrammi di una pellicola cinematografica.

Le successioni di disegni speculari progressive scaturite dalla relazione terapeutica possono essere interiorizzate come una nuova pellicola, che dallo spazio esterno dell’incontro, si riflette interiormente, si piega a proteggere il sé. La nuova membrana intersoggettiva si innesta e si amalgama con la pellicola lacerata e bucata del paziente riparandola. Immagini scisse del sé, dell’oggetto e dell’oggetto-sè si collegano e  trovano continuità e movimento. Mondo interno e mondo esterno, soggetto ed oggetto, corpo e psiche, presente, passato prossimo e passato remoto entrano in contatto.

L’anima diventa allora terreno fertile dove possono essere accolti i semi: i propri sogni ed i sogni altrui. Fecondata dal nutrimento dell’incontro l’esistenza ritrova il contatto con le proprie radici e si progetta nel futuro, svelandosi alla storia, al senso e al significato del proprio essere nel mondo.

Sviluppi del disegno speculare progressivo e altre tecniche di integrazione sensoriale (Simone Donnari)

La teoria di Peciccia e Benedetti secondo cui la psicosi implica una divisione tra sé separato e sé simbiotico è stata la struttura del mio approccio verso i pazienti psicotici. Il disegno speculare progressivo può essere utilizzato nella terapia individuale o in gruppo.

Discuterò ora degli sviluppi che hanno avuto luogo in questo approccio da quando le nuove tecnologie si sono aggiunte alla gamma di media disponibili per la creazione di immagini in terapia. e di come, nel Centro Atlas di Perugia, le tecniche arteterapeutiche a mediazione tecnologica sono state sviluppate e adattate a vari contesti clinici.

Nel gruppo terapeutico manteniamo sempre un rapporto di 1 terapeuta / 1 paziente, quindi è un gruppo costituito da coppie terapeutiche. Le sessioni di gruppo comprendono il disegno speculare progressivo e altre attività a mediazione tecnologica. Durante la sessione di disegno le coppie si siedono insieme in cerchio e disegnano contemporaneamente, ma lo scambio di disegni avviene solo all’interno della coppia.

Negli ultimi 15 anni molti strumenti tecnologici di integrazione sensoriale sono diventati disponibili per lo sviluppo di nuove tecnologie e console di gioco. Mi sono interessato all’uso di questi nuovi strumenti per sviluppare tecniche che possano creare esperienze sinestetiche  sensori motorie che potrebbero rendere più efficace l’intervento terapeutico.

Mi sembra che la principale innovazione offerta dalle nuove tecnologie sia l’opportunità di disegnare e interagire con le immagini semplicemente usando il proprio corpo, senza la necessità di imparare ad usare tastiera, joystick o altri strumenti. Semplicemente muovendosi o emettendo suoni, il paziente può facilmente disegnare e, così facendo, integrare molti percorsi sensoriali. Durante questi anni ho scoperto che le popolari console di gioco offrivano un prezioso e inaspettato supporto terapeutico, ma secondo me sono stati gli effetti dell’applicazione delle videocamere digitali (videoarte terapia) che hanno avviato un processo innovativo.

Videoarte terapia

Sin dal 2001 ho iniziato ad introdurre una videocamera nel setting della terapia di gruppo con disegno speculare progressivo. L’operatore è uno dei terapeuti. Le fotocamere digitali consentono all’operatore di modificare e tagliare il video in tempo reale. Sono dotate di software incorporato che offre la possibilità di eseguire dissolvenze incrociate e mixare i fotogrammi durante le riprese. Così è stato possibile realizzare un video durante la sessione di terapia e mostrarlo ai pazienti immediatamente dopo. Il montaggio in tempo reale evita il montaggio post-produzione e rende possibile guardare il video subito dopo la sessione di terapia.

Quando termina l’attività di gruppo di creazione di immagini avviene la ‘fase di distanziamento’ descritta da Rubin (1987). Durante questo passaggio il creatore crea una distanza tra se stesso e l’immagine che ha creato. “Le potenti emozioni contenute nel prodotto visivo possono ora essere viste con una certa misura di distacco” (Rubin, 1987). Durante questa fase, mostrare il video della sessione rafforza il processo di allontanamento e offre al sé del paziente l’opportunità di svolgere il “ruolo di osservatore”. Mentre prende le distanze dal proprio lavoro, il partecipante condivide anche la sua produzione con il gruppo, restituendola al gruppo in cui si è svolto il processo di disegno. Questa fase può essere chiamata “restituzione” e ho descritto altrove (Donnari, 2011) il grande potenziale del video come strumento di restituzione.

Nella mia esperienza, l’uso abituale delle videocamere per documentare la terapia può non essere apprezzato dai pazienti, o essere vissuto in maniera persecutoria. Quando invece sono usate nel modo descritto, ho scoperto che i pazienti frequentemente esprimono apprezzamento per l’opportunità di rivedersi nel video, dando immediatamente un senso alla presenza della videocamera. L’opportunità di guardare il video immediatamente dopo la sessione di terapia offre al paziente la possibilità di passare dal ruolo di attore (sé simbiotico) a quello osservatore (sé separato). Ad esempio, la dissolvenza incrociata di un dettaglio del disegno con l’immagine del volto del suo autore nel video può trasmettere fortemente un messaggio di identità nella fase di allontanamento. Nel tempo abbiamo scoperto che i pazienti si abituano alla presenza della videocamera e la percepiscono come uno strumento artistico, proprio come pennelli o colori. La videocamera può registrare immagini delle precedenti sessioni di terapia, consentendo in tal modo effetti di dissolvenza incrociata dai corpi ai disegni e alle immagini, consentendo al video di diventare una vera integrazione visiva tra i movimenti del corpo e i simboli creati nei disegni.

Gli effetti di dissolvenza incrociata tra disegni vecchi e nuovi possono creare una variazione sul tema della fusione tra vecchio e nuovo, che è un’altra delle tipiche dinamiche del sogno, descritte da Freud (1900), a cui abbiamo fatto riferimento in precedenza. Mi sembra che il mezzo del video consenta di accettare facilmente esperienze di unione e separazione tra il corpo del paziente e i simboli presenti nei suoi disegni. Attraverso il video editing, un’immagine può essere lentamente trasformata in un’altra tramite il “morphing”, una trasformazione visiva che crea un’animazione a partire da disegni statici. Questo effetto è potente e accattivante perché introduce un equivalente visivo al movimento onirico. Morphing di immagini separate significa guardare la prima diventare gradualmente la seconda, che è come una traduzione visiva dei meccanismi di condensazione e separazione che si sperimentano nei sogni. Mi sembra che queste dinamiche aiutino nel lavoro di guarigione della frattura tra il sé separato e quello simbiotico “allenando” il paziente a oscillare tra simbiosi e separazione.

Nella terapia individuale, le immagini fatte dal terapeuta e dal paziente sono animate attraverso il video e diventano una sorta di “sogno comune” della coppia terapeutica. Il video mostra in modo non verbale emozioni non sempre comprese o percepite durante l’azione e sottolinea il significato simbolico dell’esperienza con un linguaggio onirico capace di commuovere.

Animazione del disegno speculare progressivo

Abbiamo scoperto che i tablet e i dispositivi touch-screen sono strumenti utili anche nel campo della terapia con disegno speculare progressivo (Donnari, Peciccia et al., 2013). I disegni possono essere realizzati direttamente sul tablet o caricati su di esso, quindi i numerosi strumenti digitali offerti dal tablet possono contribuire all’interazione paziente-terapeuta con le immagini. I simboli possono essere isolati dall’immagine e quindi animati e spostati. Il paziente può azionare lo spostamento, la condensazione e molti altri meccanismi onirici solo con le dita. Ad esempio, con il dito sul touchscreen il paziente può disegnare l’immagine di una farfalla. Quindi può spostare la farfalla in una parte diversa dello schermo (spostamento), oppure può unire la farfalla con un altro disegno, ad es. un fiore (condensazione), e può facilmente trasformare il disegno e i suoi simboli. Non è richiesta alcuna conoscenza per applicare questa tecnica, che è estremamente facile e intuitiva. Le immagini possono essere proiettate simultaneamente su un grande schermo mentre vengono disegnate.

Nella terapia individuale, il paziente disegna liberamente con le dita sul dispositivo touchscreen. Collegando questo dispositivo a un grande schermo che fa parte del setting della terapia, il disegno del paziente è immediatamente visibile e ingrandito. L’immagine sullo schermo diventa la cornice del setting terapeutico. Il paziente e il terapeuta sono circondati dall’immagine e mentre l’immagine viene disegnata sono immersi nel feedback visivo dell’esperienza. L’animazione del disegno è immediatamente disponibile su tablet touch-screen. Paziente e terapeuta possono interagire attivamente con parti del disegno, creando esperienze di spostamento e condensazione mediante morphing, che, come discusso in precedenza, ci sembra attingere ai meccanismi del sogno. Pensiamo che questo rappresenti un modo efficace per passare dalla simbiosi alla separazione senza sollevare ansia nel paziente. In questo modo gli strumenti di imaging video e digitale hanno migliorato l’effetto di integrazione precedentemente descritto del disegno speculare progressivo.

Il Puzzle del Sé

Un’altra tecnica specifica che ho sviluppato si chiama “il puzzle del sé”. Centinaia di immagini e fotogrammi video creati in diversi setting terapeutici vengono elaborati da un software e quindi utilizzati per creare un’unica immagine “puzzle” del viso del paziente. L’immagine elaborata rappresenta il volto del paziente realizzato con piccoli pezzi. Ogni pezzo è un disegno o un fotogramma video realizzato durante le sessioni di terapia del disegno speculare.

Tutte le diverse tecniche terapeutiche descritte mirano a creare spazi protetti, inizialmente esterni al paziente, in cui i frammenti del sé possono essere posizionati in modo da renderli disponibili per essere “sognati” all’interno della relazione terapeutica. I pazienti psicotici durante il loro complesso percorso di riabilitazione possono incontrare diversi specialisti professionisti in diversi contesti terapeutici e possono essere costretti dalla loro frammentata esperienza di sé a proiettare fuori di sé frammenti di se stessi e del loro mondo interiore. Possiamo immaginare questi frammenti divisi come pezzi di un puzzle sfocato in attesa di essere messi in ordine e diventare per il paziente uno specchio di un’identità integrata e coerente. “Risolvere il puzzle” fornisce al paziente un’immagine integrata di sé che può essere interiorizzata come un simbolo sicuro e costante. Le nostre tecniche digitali sono in grado di aiutare il paziente a iniziare a “sognare fuori di sé insieme” al terapeuta, integrando sia la simbiosi che le esperienze di separazione.

Realtà aumentata e integrazione sensoriale

Come discusso, riteniamo che la tecnologia possa amplificare le dinamiche di simbolizzazione di disegni e sogni. Inoltre può essere attraente per i pazienti e motivante per gli operatori. Molti pazienti sono “nativi digitali” (Prensky, 2001), quindi sono abituati ai nuovi media tecnologici. In una cornice terapeutica può essere utile utilizzare gli stessi strumenti che i pazienti spesso usano da soli nel quotidiano. Recentemente ho ideato un nuovo strumento tecnologico chiamato Painteraction , sviluppato presso il Centro Atlas (Donnari, 2015, Pazzagli et al., 2018). Painteraction permette di tradurre i movimenti del corpo in disegni che sono proiettati su un grande schermo di fronte al terapeuta e al paziente. Le immagini del corpo proiettate sullo schermo si condensano poi con i disegni iniziati dai movimenti del corpo. La relazione tra paziente e terapeuta viene realizzata indirettamente sullo schermo. Lo schermo diventa uno spazio terzo intersoggettivo. Il paziente può essere facilitato ad accettare l’immagine del proprio corpo, un’esperienza che viene spesso evitata in quanto può essere fonte di ansia. Sia il terapeuta che il paziente possono vedere se stessi sullo schermo mentre producono fasci luminosi e suoni muovendo i propri corpi. La sessione può iniziare da un’immagine che ha un significato affettivo per il paziente. Ad esempio, il paziente può disegnare su carta un albero senza foglie che testimonia la sua sensazione di solitudine. L’immagine dell’albero può essere riprodotta sullo schermo dai movimenti del corpo del paziente e del terapeuta. Nello schermo a questo punto i corpi del paziente e terapeuta risulteranno essere immersi nell’immagine dell’albero realizzata. Sullo schermo è possibile vedere una fusione del proprio corpo con le proprie immagini e simboli significativi. Il paziente può sperimentare se stesso come attore perché è colui che realizza il disegno e allo stesso tempo come osservatore perché può vedere se stesso in relazione con il terapeuta nello “specchio” dello schermo. 

Crediamo che le tecniche di integrazione multisensoriale e sensori motoria dell’arteterapia descritte mirano a ricostruire le rappresentazioni di sé e degli altri e possono facilitare lo sviluppo di un senso differenziato di sé nei pazienti psicotici. Alterazioni di integrazione sensoriale nelle persone con diagnosi di psicosi sono state evidenziate da diversi autori (per una review dell’argomento vedere Velasquez et al., 2011 e Postmes et al, 2014). La ricerca neurofisiologica contemporanea mostra che i circuiti neurali di integrazione multisensoriale sono responsabili della distinzione tra il sé e l’altro (Ebisch et al. 2013, Gallese e Ebisch, 2013) e che questi circuiti sono collegati con i circuiti di identificazione del sé e dell’altro (Sistema dei neuroni specchio). 

Dimostrazioni di alterazioni neurofisiologiche in aree correlate alle funzioni di identificazione sé/altro (per una rassegna della materia vedi Mehta et al. 2014), e di differenziazione sé/altro negli stati psicotici, (Ebisch et al.2013) offrono basi neurali per quelle teorie psicodinamiche (Auerbach & Blatt, 1996; Benedetti e Peciccia, 1995; Mentzos, 1991) che suggeriscono una mancanza di integrazione tra simbiosi e separazione nella psicosi. Inoltre, aprono la possibilità a ricerche empiriche che stiamo sviluppando (Ardizzi at al., 2016) sull’efficacia delle arti terapie e di altre terapie psicosociali in diversi contesti clinici.

Bibliografia
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