La pandemia non fa bene a nessuno ma, per i nostri pazienti, la dimensione di chiusura oggi conferma i loro timori di un mondo ostile e pericoloso e rischia di confinarli in un contatto impossibile con l’altro; il “fuori” incarna paure che non sono più il fantasma generato dalla malattia ma diventano reali e condivisibili. Siamo tutti in balia di un nemico invisibile, un nemico che appartiene alla realtà oggettiva.
Per molti professionisti durante il lockdown è stato impossibile proseguire le attività in presenza all’interno delle comunità ma è proprio nel momento più difficile che dobbiamo attingere alle nostre possibilità di resilienza. La creatività, intesa come capacità di trovare soluzioni nuove, è lo strumento che sottende ogni nostra azione “vitale”, ci spinge ad uscire dal noto per avventurarci in territori inesplorati, ad andare oltre l’ostacolo.
In questo scenario ci siamo posti la domanda di come lavorare “dentro” e mantenere un contatto col “fuori” ed è proprio in questa prospettiva che è nata l’idea del progetto “Diari di Bordo”.
Il progetto si pone un obiettivo ambizioso: creare connessioni, creare una dimensione di gruppo tra persone lontane tra loro ed impossibilitate nell’incontro reale, costruire relazioni a distanza. Abbiamo dunque immaginato un grande gioco, nel senso “winnicottiano” del termine, un gioco serio.
L’idea prende le mosse dal progetto più ampio di “Arte che cura” del gruppo Redancia, un progetto che vuole mettere l’arte al centro.
Ma cosa è “arte” all’interno di un contesto comunitario psichiatrico? E in che modo intendiamo la cura attraverso l’arte?
Noi abbiamo declinato l’arte nell’accezione dell’ “espressione di sé” e della ricerca del “piacere” della creatività e la “cura” nella dimensione dell’ “Interessamento solerte e premuroso per un oggetto, che impegna sia il nostro animo sia la nostra attività” (dal dizionario Treccani). Diversamente dalle cure mediche che si occupano del corpo l’arte, in quanto espressione di sé, diventa per noi un modo per curare l’anima e la creatività un modo di essere nel mondo.
Non siamo dunque alla ricerca di un talento particolare, del paziente-artista capace di mettere su carta l’esperienza della sua malattia, vogliamo un’esperienza inclusiva, che possa essere alla portata di tutti i nostri ospiti e perché no, anche degli operatori. Per vivere in maniera creativa non sono necessari talenti particolari, si tratta di spezzare il circolo vizioso della quotidianità e della noia e cominciare ad immaginare nuovi scenari, perché il tempo passato insieme sia un tempo dedicato e non un tempo sprecato come ben definito da Gianni Giusto, fondatore del gruppo Redancia.
Ecco dunque il nostro gioco, un lavoro che vede coinvolti operatori e pazienti nella creazione di un nuovo modo di comunicare e di far circolare quell’energia creativa affinchè possa diventare contagiosa, e stavolta il contagio è auspicabile!
Il Diario di bordo è uno strumento semplice, un oggetto concreto che viaggia tra le comunità portando con sè la traccia del lavoro che in ciascuna comunità si svolge. Ci piace pensarlo come un attivatore di energie creative perché stimola negli ospiti e negli operatori la curiosità verso l’altro e il desiderio di essere parte di un progetto comune, di essere gruppo.
Ed ecco l’altra importante dimensione della cura: il gruppo.
Il lavoro infatti si svolge all’interno di ciascuna comunità, coinvolgendo, legandosi e valorizzando ogni attività , dalla cucina alla stanza di danza o di arteterapia sempre con l’idea di essere parte di un gruppo esteso, un gruppo che sostiene e che risponde.
Il diario viaggia per posta ed arriva ogni mese alla sua destinazione portando una testimonianza del lavoro svolto come un messaggio, da una comunità all’altra; ricevere il diario significa guardare insieme, scoprire, essere curiosi, sapere di essere nel pensiero dell’altro. Compilare il diario significa farsi coinvolgere, creare speranza, comunicare ed essere riconosciuti, significa avere un luogo dove mettere ciò che nel percorso abbiamo trovato affinchè possa essere visto e condiviso.
I diari diventano l’opera che si crea collettivamente, non c’è un artista ma un gruppo che pensa e che crea, un’opera che è frutto della voglia di mettersi in gioco, di uscire dal mondo chiuso della schizofrenia ed entrare nella dimensione dell’altro per cercare e trovare un contatto.
Il diario è un gioco, l’attivatore della creatività intesa come elemento che rende vivi e vitali contrapposta al vuoto della noia che opprime e genera angoscia.
“E’ nel giocare e soltanto mentre gioca che l’individuo, bambino o adulto, è in grado di essere creativo e di fare uso dell’intera personalità, ed è solo nell’essere creativo che l’individuo scopre il sé” (D.W.Winnicott)
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