Può capitare che un paziente, in cura per una qualsiasi patologia, neghi costantemente la propria condizione. Quando ciò avviene, anche a fronte di sintomi chiari e inequivocabili, potrebbe trattarsi di anosognosia. Questo particolare disturbo porta alla completa incapacità di maturare una qualsiasi consapevolezza della propria condizione. Chi soffra di questo disordine selettivo può non rendersi conto, o apparentemente rifiutare di accettare, la presenza di una condizione medica o di un deficit, anche se evidente a chiunque altro. Scopriamo che cosa sia l’anosognosia, chiamata talvolta anche nosoagnosia, cosa comporti, come si manifesti e quali siano le tematiche connesse a una condizione così particolare e incomprensibile per chi non ne sia toccato.
Definiamo l’anosognosia
Il termine anosognosia deriva dalla lingua greca e significa, letteralmente, mancanza di conoscenza sulla malattia. Questa parola è stata coniata da Joseph Babinski, nel 1914, mentre osservava alcuni dei suoi pazienti che ignoravano, o sembravano ignorare, l’esistenza della paralisi da cui erano colpiti. Fino ad allora non vi era alcuna consapevolezza verso questa condizione. Si sospettava che un paziente nosoagnostico stesse soltanto operando una sorta di autoconvinzione per darsi la forza di andare avanti, nonostante la situazione.
Oggi, 110 anni dopo la prima identificazione, abbiamo conoscenze più approfondite in merito. Sappiamo che l’anosognosia è un disturbo neuropsicologico dovuto a una lesione cerebrale specifica o diffusa. In particolare nei pazienti cerebrolesi sono stati osservati deficit di autoconsapevolezza, in relazione ad un’ampia varietà di disturbi e fenomeni. Tra questi si evidenziano:
- deficit neurologici senso-motori: come per esempio cecità corticale, emianopsia, emianestesia ed emiplegia;
- deficit cognitivi: afasia, negligenza spaziale unilaterale, amnesia, sindrome disesecutiva e deficit cognitivi generalizzati, come nel caso della malattia di Alzheimer.
L’anosognosia è un disordine selettivo. L’individuo che ne soffre può essere inconsapevole e negare la presenza di alcuni deficit, ad esempio l’emiplegia, ma non di altri, come l’afasia, qualora soffrisse di entrambi. Per i deficit neurologici unilaterali è asimmetrica. Nei pazienti cerebrolesi destri riguarda l’emisoma di sinistra ed è maggiormente frequente. Si riscontra spesso anche in pazienti con lesioni cerebrali traumatiche (TBI). L’anosognosia si manifesta per deficit comportamentali che sono, in generale, più consapevoli rispetto a quelli cognitivi e motori. Il paziente non ha più capacità di riconoscere un deficit neurologico o neuropsicologico. Ad esempio, può negare il proprio deficit motorio, sostenendo che va tutto bene, anche se, in realtà, un lato del corpo è completamente paralizzato. Poiché questo disturbo può avere un forte impatto sulla vita del paziente, e sulle sue capacità di gestire le attività quotidiane, è necessario conoscerlo e valutarlo.
Due tipi di anosognosia
Siamo a conoscenza dell’esistenza di due differenti forme di anosognosia. Esse si distinguono a seconda del diverso diniego della patologia che causano nel soggetto:
- la anosognosia verbale corrisponde a una negazione verbale, dunque sicuramente a parole ma non altrettanto certamente nei fatti, di condizioni patologiche. È particolarmente legata all’insorgere di un’emiplegia;
- la anosognosia comportamentale è diametralmente opposta. Causa un mancato riconoscimento del proprio disturbo, come ad esempio una porzione di corpo paralizzata, a livello, appunto, comportamentale. Il paziente, di fatto, pur riconoscendo, spesso, a parole il suo problema, vive come se esso non esistesse, sebbene sia visibilmente limitato da questa sua condizione.
Sintomatologia
Il soggetto affetto da anosognosia presenta una ridotta consapevolezza nell’identificare, o giudicare realisticamente, le proprie capacità e deficit. È totalmente inconsapevole della propria condizione e manifesta la profonda convinzione di essere ancora in possesso delle abilità perse. Di fatto, non si capacita delle lesioni cerebrali subite. Secondo lo psicologo Bruce Crosson, esistono tre livelli di consapevolezza: vi è quella intellettiva, che si riferisce alla possibilità di un paziente di descrivere i propri deficit o compromissioni di funzionamento, senza però identificare le potenziali conseguenze in termini di difficoltà nell’esecuzione di un compito. Esiste la consapevolezza emergente, che riguarda il riconoscimento delle difficoltà nel momento in cui si verificano. Siamo a conoscenza di quella anticipatoria, che riguarda la facoltà di prevedere le difficoltà che possono sorgere a causa di deficit.
La consapevolezza emergente e quella anticipatoria emergono durante, o immediatamente dopo, la performance o un tentativo di eseguire un compito. Talvolta si parla anche di un livello ulteriore di consapevolezza. È stato ribattezzato metacognitivo e si riferisce alla capacità dei pazienti di riflettere sulla propria condizione e sulle convinzioni relative a loro stessi. È però escluso dalla tripartizione di Crosson, che è il riferimento quando si parla di sintomi dell’anosognosia.
Castelli mentali e anosognosia
Quando una persona vicina all’anosognostico, tipicamente il clinico o il cargiver, fa notare l’incongruenza tra percezione e capacità, il paziente si difende facendo uso della confabulazione. Sostanzialmente, costruisce in modo fantastico falsi ricordi, anche molto ricchi di dettagli, riferiti a situazioni ed avvenimenti irreali. Non sta mentendo, perché, di fatto, cerca di rispondere alla domanda dando un senso a ciò che accade, o al fatto avvenuto. È come se stesse costruendo un puzzle. Il soggetto giungerà a mettere insieme pezzi diversi, collegando informazioni, date, luoghi e persone che, in realtà, non c’entrano nulla tra loro ma che, per lui o per lei, hanno un significato ben preciso. La mancata consapevolezza della propria condizione porta all’edificazione di castelli mentali e all’invenzione, di sana pianta, di episodi inesistenti. È come se la sua mente danneggiata volesse forzatamente giustificare la negazione della situazione.
Può interessarti anche: “Test proiettivi: cosa rivelano sulla personalità“