I giornali stanno delineando le situazioni delle due donne recentemente decedute nel carcere di Torino. Le informazioni sono del tutto insufficienti per entrare nel merito dei singoli casi ma si possono fare alcune riflessioni su come è stato accolto il grido di allarme che dal mondo penitenziario arriva alla società civile e alla politica e sembra solo lambire il “giustizialismo penale” tanto inefficace quanto costoso sul piano umano, economico, sociale e culturale. Luigi Manconi scrive: “Un sistema penitenziario che si conferma criminogeno e patogeno, che riproduce all’infinito delitti e malattie, regressione mentale e autolesionismo, violenza endogena e scialo di morte e speranza, sembra volersi chiudere ancora di più in sé stesso”.[1] Eppure timidi segnali di garantismo possono rendere il sistema penitenziario degno di un Paese civile (Gervasoni).[2]
Il ministro Nordio in visita al carcere di Torino ha subito precisato che “non si tratta di una ispezione, né di un intervento cruento, ma di assoluta vicinanza», ed ha rassicurato circa il fatto che ”lo Stato non abbandona nessuno” e “i suicidi in cella sono fardelli di dolore”. Come non essere d’accordo ma dai dettagli emerge qualcosa di preoccupante.
Cosa è successo a Torino? La forza del linguaggio nell’evidenziare ma anche nel nascondere e manipolare la realtà si palesa nelle parole usate per qualificare i decessi: suicidio, morte autoinflitta, morte da “cause da accertare”, “sciopero della fame”, “incidenti”. C’è in corso un’inchiesta della procura di Torino e quindi è comprensibile la cautela. Il Manifesto scrive che “Nordio avrebbe chiesto un incontro con gli psichiatri della casa circondariale”.[3]
Più o meno esplicitamente ci si interroga sull’attività di diagnosi e cura degli psichiatri e sulla capacità di autodeterminarsi delle persone decedute. Dovevano essere sottoposte a un Tso o ad alimentazione forzata o sorveglianze particolari? Perché erano in carcere e non in ospedale? La medicina s’interroga sempre su come migliorare le pratiche, specie di fronte a casi infausti. La vita anche in carcere appartiene alla persona e solo a lei, per quanto sia nelle mani dello Stato. Questo non significa negare le responsabilità di ciascuno ma di declinarle nella relazione e nel dialogo che non riguarda solo i sanitari, ma anche magistrati, amministrazione penitenziaria, garanti, avvocati, servizi sociali, società civile.
Si vuole allargare la possibilità di interventi sanitari (coatti) facendo pensare che il problema dipenda dai malati mentali (affermazione smentita dai dati)? Da più ordine, disciplina e rigore in carcere per affrontare il dissenso e le violazioni e magari nuovi Ospedali Psichiatrici Giudiziari o strutture equivalenti dove collocare i più “disturbanti”? L’idea di confinare il male in un solo punto esterno, per creare il “carcere dei sani”, sarebbe un’altra inutile e pericolosa scorciatoia per non affrontare da un lato le contraddizioni e le ingiustizie sociali e dall’altro i noti problemi degli Istituti di Pena (compreso la necessità di un indulto, di completare la legge 81/2014 con la riforma dell’imputabililtà). Una linea che finirebbe per lasciare nell’ombra il senso dei provvedimenti giudiziari (detenzione preventiva, pene inferiori ai 4 anni ecc.) ed una possibile diversa gestione nel corso della loro esecuzione che dià vigore a misure alternative domiciliari e di comunità.
Oppure si tratta di un’occasione, purtroppo tragica, per un’altra concezione della pena e realizzare anche le azioni preventive idonee a prevenire il suicidio e promuovere la qualità della vita. La speranza viene riattivata anche da piccoli segnali, dall’ascolto partecipe, un colloquio, una telefonata, una visita, un permesso, un sorriso e da azioni concrete che diano senso alla vita.
Come noto la sanità deve operare nel perimetro dell’ordinamento penitenziario. Quanto accaduto rende evidente come siano da rivedere le priorità, gli obiettivi, la dinamica delle relazioni e la gerarchia dei poteri in campo.
In sostanza la giustizia deve tenere conto che oggi sono necessarie condizioni diverse per la cura dei disturbi mentali ma anche dei comportamenti problematici e violativi, auto o eteroaggressivi. Di queste condizioni fanno parte la responsabilità, le relazioni, la dignità ed anche una quota di libertà di utenti e di chi si prende cura di loro.
Il dato riportato da Manconi[4] secondo il quale in 10 anni ci sono stati 100 suicidi fra gli Agenti della polizia penitenziaria è assai preoccupante.
Azzurra era in isolamento quando si è tolta la vita. Solitudine e deprivazione relazionale e affettiva sono condizioni di rischio per la salute mentale. Come gestire i rischi in modo diverso e partecipato è un tema generale e confinare e privare della libertà le persone, contrariamente a quanto si crede anche in una parte della psichiatria, aumenta i pericoli. L’avvocato ha dichiarato: “Azzurra da tempo, era una ragazza che doveva essere seguita con particolare attenzione, perché era in una situazione di difficoltà e la sua situazione era nota a tutti”. [5]
Questo interroga tutte le istituzioni su come ci si prende cura delle persone, sotto i diversi profili e bisogni, secondo le specifiche competenze. Su come si attualizza il patto con i cittadini, nella gestione partecipata del sistema pubblico, della sicurezza, dei diritti e doveri.
In questo quadro si possono riutilizzare risorse, che siano del demanio, ex caserme, beni pubblici o confiscati alle mafie (su questo il PNRR prevedeva 300 milioni recentemente cancellati dal governo), e creare Case territoriali di reinserimento sociale e non tanti minicarceri. Serve anche un investimento in formazione, lavoro, socialità, diritti e azioni semplici come documenti di identità, permessi di soggiorno, ed al.
Ascoltare le parole dei detenuti che a Torino, al ministro Nordio, hanno gridato “libertà, libertà” e declinarla nella cura e nella esecuzione della pena potrebbe essere una sfida da raccogliere per innovare il sistema.
[1] Manconi L. Se in quelle celle muore lo Stato. La Repubblica 13 agosto 2023, https://www.repubblica.it/commenti/2023/08/12/news/carceri_estate_suicidi-410890906/
[2] Gervasoni M. Un Paese civile si riconosce dalle prigioni, Il Giornale 13 Agosto 2023 – https://www.ilgiornale.it/news/politica/paese-civile-si-riconosce-dalle-prigioni-2196387.html
[3] Ravarino M. E poi arriva Nordio, accolto dalle proteste. Idea: ancora carcere, Il manifesto 13 agosto 2023, https://ilmanifesto.it/e-poi-arriva-nordio-accolto-dalle-proteste-idea-ancora-carcere
[4] Vedasi Nota 1
[5] La madre di Azzurra, suicida nel carcere di Torino: “Dovevo incontrarla la prossima settimana, ora la vedrò in una bara” di Luca Monaco Repubblica 13 agosto 2023, https://torino.repubblica.it/cronaca/2023/08/12/news/azzurra_campari_suicida_carcere_torinoparla_la_madre_dovevo_incontrarlala_prossima_settimana_ora_la_vedro_in_una_bara-410874259/