Commento all’articolo apparso il 21 novembre 2016
Leggendo il titolo di questo articolo chissà perché immaginavo avrebbe approfondito il tema della scarsa capacità di noi adulti di funzionare come punto di riferimento per i ragazzi, in quanto sempre più impegnati a mantenere e consolidare la nostra “adultescenza”.
Invece ho appreso con stupore che il porto sicuro che i ragazzi non trovano piu’ cui l’autore fa riferimento è il gruppo dei pari che si è trasformato da luogo contenitivo e rassicurante in cui poter sperimentare la coesione, il sostegno reciproco, la condivisione e la tolleranza, a luogo fortemente competitivo, promulgante lo scontro, la discriminazione, l’omologazione a dispetto della differenziazione.
In altre parole un luogo in cui per sopravvivere diviene indispensabile difendersi dall’altro.
Riflettendo non mi pare che questi due aspetti siano poi così distanti e slegati tra loro, ma al contrario li trovo intimamente correlati.
L’adolescenza può essere pensata, come affermava Winnicot, “una scoperta personale durante la quale ogni soggetto è impegnato in un’esperienza: quella del vivere; in un problema: quello di esistere”.
Questa lunga fase di scoperta segnata da cambiamenti somatici e psichici è finalizzata ad un assetto nuovo ed originale del soggetto, teso inevitabilmente tra il timore del nuovo vissuto come potenzialmente lesivo della propria integrità e la creatività e lo stimolo che comporta l’affacciarsi a nuove esperienze e nuove possibilità.
Numerose ricerche recenti affermano inoltre che in questa fase i cambiamenti psichici cui assistiamo sono sottesi da importanti modifiche “organiche” della mente: il PRUNING, cioè la potatura di una gran quantità di sinapsi, pare essere l’aspetto più caratteristico della duttilità e plasticità del snc in questo periodo della vita.
Sembrerebbe a prima vista un controsenso, perché proprio nel momento in cui un soggetto deve affrontare problemi più complessi e tumultuosi rispetto alla precedente etá infantile parrebbe intuitivo necessitare di un implemento della sua potenza cerebrale e non del suo depauperamento.
In realtà il pruning, che trova la sua espressione più drastica a livello della corteccia parietale, appare come un fenomeno utile a migliorare l’efficienza, a sfoltire ciò che non serve, a modificare l’assetto dei principali sistemi neurali e dei loro differenti neurotrasmettitori al fine di ottimizzare le risposte dell’individuo.
Parallelamente si assiste all’aumento dell’attività del sistema domapinergico, coinvolto nella percezione e ricerca del piacere e della gratificazione, che inibisce inoltre l’attività della corteccia prefrontale con conseguente riduzione delle capacità critiche di valutazione dei rischi ed incremento di comportamenti impulsivi, ivi comprese la ricerca e l’utilizzo di sostanze stupefacenti ed alcool come immediata gratificazione della spinta alla ricerca del piacere stesso.
Anche il sistema serotoninergico viene largamente coinvolto in questa fase della vita, tant’è vero che deprivazioni e gravi separazioni non solo nell’adolescenza, ma già anche nell’infanzia, comportano un’importante inibizione dell’attività stessa ed una dimostrata correlazione statisticamente significativa con l’aumento di comportamenti aggressivi nell’adulto.
Se da un lato abbiamo questa grande potatura dall’altro assistiamo all’ampio sviluppo della sostanza bianca la cui funzione è quella di migliorare ed ampliare i collegamenti tra le diverse aree cerebrali e rendere la trasmissione del segnale più efficiente.
Il ragionamento, il senso morale, la capacità di pensiero astratto e di giudizio razionale, il senso di sé sono solo alcune delle importanti abilità che si sviluppano in questo periodo della vita.
Possiamo sintetizzare affermando che apprendiamo nell’adolescenza molti degli schemi comportamentali che adotteremo da adulti.
L’adolescente si trova quindi “sospeso” tra un passato inattuale ed un futuro appena abbozzato, intrappolato in una disarmonia traboccante che percepisce in prima persona e che gli viene anche rimandata dalla società.
Ciò comporta il necessario superamento delle eventuali identificazioni avvenute nei periodi di vita precedenti; non mi riferisco ad identificazioni mimetiche frutto di introiezione di aspetti parziali dell’altro, bensì a modelli, ideali, comportamenti di persone significative che hanno rappresentato un sicuro e valido punto di riferimento.
Due sono quindi i compiti fondamentali: l’individuazione e la separazione.
Già di per se complicati, difficoltosi e faticosi, lo divengono maggiormente se i minori di trovano in situazioni sociali sfavorevoli e multicarenziali.
Ciò comporta, peraltro con numeri drammaticamente crescenti, il trovarsi ad accogliere delle vere e proprie urgenze adolescenziali che richiederebbero una reale presa in carico corale e trasversale, che tenga presente, tra le altre cose, la rottura del funzionamento famigliare come fattore slatentizzante la crisi stessa.
In un periodo della vita ove fisiologicamente diviene traballante il “porto sicuro” famigliare per fare spazio ad un “porto sicuro” proprio, i ragazzi oggi sperimentano un profondo isolamento e sempre più spesso sono lasciati soli e faticano a costruire relazioni stabili e sicure sia con la famiglia sia con i pari.
E più ciò si acuisce più diviene preminente l’attaccamento alla vita virtuale che ha una delle sue espressioni più tragiche a mio parere nel fenomeno degli Hikikomori, che letteralmente significa “stare in disparte, isolarsi” ed è un termine giapponese usato per riferirsi a quei giovani che hanno scelto di ritirarsi dalla vita sociale, spesso cercando livelli estremi di isolamento e confinamento. Tali scelte sono causate da fattori personali e sociali di varia natura. Tra questi la particolarità del contesto familiare in Giappone, caratterizzato dalla mancanza di una figura paterna e da un’eccessiva protettività materna, e la grande pressione della società giapponese verso autorealizzazione e successo personale, cui l’individuo viene sottoposto fin dalla prima infanzia.
Il fenomeno, già presente in Giappone dalla seconda metà degli anni ottanta, ha incominciato a diffondersi negli anni duemila anche negli Stati Uniti e in Europa.
Sperando di aver portato brevemente qualche punto di riflessione e ricerca concludo dicendo ciò che per me rappresenta l’adolescenza.
L’adolescenza è una sfida: una sfida a se stesso, alla società, al futuro.
È necessario a mio parere che ci siano degli adulti (che siano stati adolescenti, ma che siano cresciuti sufficientemente) in grado di capire e raccogliere questa sfida.
Non raccoglierla vuol dire aumentare il disagio e trasformarlo a volte in gravi psicopatologie, ma vuol dire soprattutto perdere quell’enorme patrimonio creativo che ogni adolescente è, e che è in ogni adolescente.