Editoriale
Voglio aggiungere alcune considerazioni su quanto scritto dalla dr.ssa Antonello riguardo la questione dei ragazzini violentati dal loro educatore (sic)….
Come per altre situazioni del genere, ultimamente quella struttura manicomiale, l’istituto Polesani in provincia di Rovigo o Vada Sabazia in provincia di Savona, si resta perplessi di fronte ad episodi apparentemente incredibili che ci colpiscono profondamente.
Ben comprendo lo stato d’animo delle famiglie ed altrettanto condivido le considerazioni sulla necessità di formazione continua dei colleghi.
Vorrei però soffermare la vostra attenzione sulle gravi responsabilità di politica sociosanitaria che sottendono tali disastri; si tratta di una costante sottovalutazione del problema psichico e di una banalizzazione dello stesso; di fatto si consente ad incompetenti o velleitari e disturbati personaggi che si propongono senza titoli o quasi di “maneggiare”, perché di ciò si tratta, le menti di soggetti fragili con gravi disturbi dello sviluppo di adeguate difese dell’apparato psichico.
I requisiti che si chiedono per la gestione di strutture sociali, socioeducative o sociosanitarie di tal specie sono spesso scarsi e badano di più agli aspetti strutturali che a quelli funzionali.
Poco o nulla si tiene conto del know how maturato dalla organizzazione proponente e di fatto si favoriscono gli interventi di soggetti che nulla hanno di vocazionale inteso quanto meno come motivazione a curare con competenza.
Quando si fanno le gare ed un esempio è stata quella indetta per l’ex OP di Genova quarto i criteri utilizzati sono esclusivamente quelli del massimo ribasso del prezzo.
Mi ricordava un mio amico manager di lungo corso che nessuna gara industriale utilizza questo come unico criterio perché poi si dovrebbe confrontare inevitabilmente con la scarsa qualità del servizio e con i sovraccosti relativi all’inefficacia dell’intervento stesso.
Allora mi viene in mente che c’è una sottile, ipocrita tendenza a emarginare a alienare a sottovalutare i bisogni degli ultimi mettendo in difficoltà pazienti ed operatori che non essendo sottoposti a una chiara disciplina professionale vengono spesso costretti allo sbaraglio.
Il manicomio inteso in tal senso alberga nelle menti di codesti poco sensibili amministratori e anche in quei specialisti che non sono in grado di rappresentare le necessità dei pazienti.
La coscienza che nasce dall’informazione corretta e dalla partecipazione diretta di pazienti e parenti forse ci consentirà di rompere questo muro di disonestà intellettuale… forse.
Il dibattito consentito da una rivista come il Vaso di Pandora online potrebbe favorirlo, spero che chi legge si senta legittimamente interprete di questo bisogno di corretta informazione.
Le nuove leve di politici ed amministratori sono chiamate ad una sfida di civiltà e di cultura sanitaria.
Concordo con te sull’importanza delle formazioni e delle supervisioni. Ti parlo in prima persona e a nome di un’equipe che lavora quotidianamente con un utenza complessa come quella degli adolescenti. Un’equipe di giovani terapeuti in continua formazione (suoervisioni e formazioni redancia, scuole di psicoterpaia, tirocini, seminari, analisi persoanle, ecc..) e la quale spesso non sembra mai abbastanza. Non solo è necessario ma indispensabile affidarsi ed essere sostenuto da chi ha più esperienza nel campo, da chi ha un’attenzione verso il gruppo di lavoro (costituito da persone, non solo da figure professionali che investono e ricoprono un ruolo), da chi ha due occhi più obiettivi dei tuoi (alle volte annebbiati dalla frustrazione) e può aiutarti a ritrovare la motivazione se persa, a migliorare, a sviluppare una capacità di pensiero se carente. Io mi sono sempre battuta per questi aspetti (con soddisfazione perchè in fondo le mie – dico “mie” in nome del “mio” gruppo- richieste di aiuto sono sempre state accolte) e personalmente mi fa un’enorme piacere che i “senior” di questa professione focalizzino l’attenzione su questo aspetto: lo trovo un segno di grande umiltà, professionalità…e umanità.
D’altronde ciò che trasmettiamo ai nostri giovani e scalmanati ospiti è un senso di fiducia, rispetto, cerchiamo di soddisfare il loro bisogno di essere accolti e compresi…quando tutto questo lo viviamo noi operatori è una sensazione bellissima, che mette in moto quell’impegno, dedizione, passione ed entusiasmo che alle volte va a scemare.
Credo che l’esempio portato da Valeria sia molto significativo, ma non abbastanza rappresentativo della situazione generale che è carente. Quello che so dell’équipe di Tuga 1, è molto poco, perché si tratta di una conoscenza molto recente, ma l’idea che me ne sono fatto è quella di un gruppo affiatato, culturalmente omogeneo di operatori che condividono valori analoghi e che hanno affrontato percorsi formativi difficili, lunghi e costosi, richiedenti impegno, fatica e dedizione, sforzi che non sarebbero incoraggianti per persone spinte da altre motivazioni e che costituiscono di per sé un elemento di selezione, non definitivo però sufficiente. E’ noto d’altra parte che i pedofili preferiscono nascondersi nelle professioni di cura, educative, sportive, e che in genere possono agire indisturbati là dove la coesione dell’équipe è lasca o non c’è affatto; ciò perché la situazione generale delle istituzioni terapeutiche, assistenziali educative è ben lungi dal poggiare su solide basi.
Per quanto riguarda gli episodi di abuso sessuale a carico di minori, io sarei già abbastanza contento se ogniqualvolta qualcuno degli aggressori viene scoperto, non venisse ridestinato, dopo poco tempo e magari in altra veste a compiti analoghi e in posizioni dove potrà riprendere la propria azione distruttiva. Parlo per cognizione di causa.
Ho un figlio gravemente disabile con la sindrome di Potocki Lupski.
Io e mia moglie non siamo più giovanissimi, lo abbiamo avuto in tarda età: la cosa che più ci tormenta è che un giorno debba entrare in una comunità assistita, che si prenda cura di lui se non dovesse diventare autonomo, crescendo.
Notizie come queste, di abusi e maltrattamenti su minori, su disabili affidati a centri che in qualche modo dovrebbero salvaguardarne la fragilità, offrendo un supporto terapeutico e un’assistenza specialistica, diventano un dolore inesprimibile per un genitore che un giorno dovrà, per necessità, rivolgersi a strutture come queste.