Vaso di Pandora

Requiem per Giulia Cecchettin: quei bravi ragazzi e il triste teatrino degli slogan

(Immagine di Niccolo’ Pizzorno)

Devo ammetterlo: il brutale omicidio di Giulia Cecchettin mi ha profondamente turbato, non tanto per la dinamica in sé – purtroppo dolorosamente già vista in numerosi femminicidi degli ultimi tempi – quanto per l’aspetto “normopatico” (da normos, normalità, regola, e pathos ovvero sofferenza) di tutta la vicenda, ovvero per tutte quelle caratteristiche della vicenda che parlano di una realtà tanto, troppo simile a quella in cui viviamo, che improvvisamente si tramuta in un incubo. La faccia pulita di Giulia con il suo bel sorriso, l’espressione acerba del suo assalitore, i festeggiamenti per una laurea che non avverrà mai e tanti altri, piccoli particolari, rendono questa vicenda degna di ciò che Freud definiva senza mezzi termini l’esperienza di gran lunga più traumatizzante che l’essere umano potesse mai vivere, ovvero quella del Perturbante.

Il padre della psicoanalisi con questo termine intendeva infatti identificare un tipo particolare di esperienza, ovvero quella che noi riteniamo familiare e nella quale ci sentiamo al sicuro, che si tramuta improvvisamente in un incubo cogliendoci completamente di sorpresa. Si tratta della terribile cornice ad esempio degli abusi sessuali intrafamiliari, o dell’esperienza vissuta dagli ostaggi israeliani in mano ad Hamas e dai bimbi palestinesi sotto le bombe: l’esperienza, in definitiva, che avviene quando qualcuno irrompe con forza negli spazi che si ritengono più sicuri e vi porta morte, dolore e distruzione. È questo senso di familiarità e di alterità condensato nella stessa persona o nella stessa situazione a causare un profondissimo turbamento nella psiche sia del bambino che dell’adulto, minandone in profondità le certezze e le basi: proprio come nel film di Scorsese che da il nome a questo articolo, un gruppo di amici di infanzia che ride e scherza in modo addirittura infantile è capace all’improvviso di uccidere in modo brutale, anche un conoscente di vecchia data, per motivi assolutamente futili. Questo è il senso profondo del disagio che la morte di Giulia ci porta, ovvero l’idea che anche il vicino della porta accanto possa diventare un brutale aggressore o una vittima innocente.

Devo tuttavia – e questa è la parte difficile del mio discorso – purtroppo constatare che l’omicidio della giovane studentessa ancora una volta non ha causato una seria e profonda riflessione sulle dinamiche psicosociali che portano tanti giovani (prevalentemente di sesso maschile) a pensare di poter disporre così facilmente della vita dei loro coetanei, specie se donne. Il triste teatrino a cui si assiste in queste ore è fatto di slogan, inneggiamenti all’odio di genere, identificazione di tutti gli uomini con Barbablù e persino (e la cosa triste è che ciò viene anche da alcuni rappresentanti politici di spicco) improbabili proclami mirati alla distruzione della “cultura tossica del patriarcato” (sic!!).

Noi junghiani rabbrividiamo sempre un po’ quando percepiamo atteggiamenti che hanno alla loro base un termine che finisce con un “-ismo”: fascismo, fondamentalismo, machismo, femminismo sono tutti sinonimi a mio avviso di un dubbio ipercompensato (Jung 1921), di una morale che per non farsi travolgere dal contatto con la nostra parte oscura si è irrigidita e si è trasformata in moralismo, perdendo la sua carica vitale – l’Eros, direbbe Freud – e diventando una legge letterale, proprio quella che l’ha uccisa (“Tu sei la mia ragazza”). Non credo sia utile fare della morte di Giulia una campagna d’odio contro un nemico invisibile ma penso sia dovere di tutti noi, in special modo dei professionisti della salute mentale, interrogarsi sul perché siamo ancora una volta qui a piangere una ragazza innocente.

Dobbiamo fare quindi proprio appello a quell’Eros che manca, ragionando innanzitutto a livello sociale sulla mancanza di educazione emotiva nei giovani: una scuola che pensa più a finire il programma che a stimolare una riflessione esistenziale su quanto studiato, che crea software che calcolano la media di ogni studente in tempo reale, decimali compresi, ma che a quanto pare non trova spazio per l’educazione civica, è uno dei primi campi dove intervenire.

L’alfabeto emotivo ed affettivo si impara leggendo, confrontandosi, scoprendo la mente dell’altro, incentivando la trasmissione di valori frutto della grande tradizione umanistica che ci contraddistingue, e che la società odierna improntata al “volere è potere” e al “tutto e subito” rischia definitivamente di distruggere. Solo ad esempio tra le pagine de “Il Signore di Ballantriae” di Stevenson o nel suo immortale capolavoro “Lo strano caso del dottor Jekill e mister Hyde” possiamo scoprire che l’Ombra è in grado di distruggere non solo tutto ciò che amiamo ma anche noi stessi, ma per farlo bisogna che si venga educati al Simbolico.

Senza i simboli noi non possiamo pensare, senza conoscere nuove parole noi non possiamo ampliare le nostre riflessioni: è così che un “sei mia” diventa letterale, che la vittima si reifica, che una donna diventa un oggetto ornamentale privo di psiche propria.  Tutto ciò però non basta: è fondamentale l’attenzione psicologica all’individuo, al suo disagio individuale e relazionale. Recalcati (2019) individua in quelle che chiama “le nuove malinconie” non l’angoscia per un “oggetto” perduto che ci fa soffrire, ma la iperpresenza di un oggetto che non ci permette l’assenza.

Questo comporta lo spasmodico tentativo di trattenere tutto ad ogni costo, sia che si tratti di una situazione di vita, di una sostanza, sia che si tratti di una persona, proprio perché la semplice idea dell’assenza è assolutamente intollerabile. Proprio per questo, milioni di persone tendono continuamente a riempire la loro quotidianità di qualsiasi cosa gli impedisca di sperimentare quel vuoto tanto temuto; non a caso, una delle maggiori cause dell’uso compulsivo dei social è la cosiddetta F.O.M.O., ovvero Fear Of Missing Out, paura dell’esclusione, dalla vita sociale, da ciò che accade, da ciò che conta: paura di non esserci. E quando allora una persona, una donna, che dice: “No” incontra in un soggetto la percezione psicopatica che senza di lei si possa scomparire, cosa accade?

Purtroppo, quello che è successo a Giulia e a troppe come lei. L’onnipotente presenza dell’oggetto vuole che piuttosto lo psicopatico sia la causa prima persino della sua sparizione, così da legarlo indissolubilmente a lui.

Queste poche righe non possono assolutamente pretendere di dare una spiegazione esaustiva di quanto accaduto, tuttavia spero possano essere un invito ad abbandonare “la caccia agli stregoni” – ingiusta e infame verso tutti gli uomini che nonostante la loro inevitabile Ombra non torcerebbero un capello a nessuna donna – e a concentrarsi su ciò che può essere davvero utile: educazione emotiva e civica, maggior tutela legale per le donne oggetto di minacce e stalking, e soprattutto un profondo e costante sforzo verso l’Individuazione che ognuno di noi, uomo o donna, deve costantemente fare.

Come afferma Jung infatti: “Il conflitto proiettato all’esterno, per essere sanato deve ritornare nella psiche del singolo, da dove inconsciamente era nato […] Questo è senza dubbio il significato dell’insegnamento di Cristo, secondo cui occorre che ciascuno si prenda su di sé la propria croce. E quando uno deve già farsi carico di sé stesso, come potrà ancora straziare l’altro?” (2007 p.370).

Note Bibliografiche
1

Freud, S. Il perturbante (a cura di Cesare Musatti) Roma Theoria 1993.

2

Jung, C.G. Opere XIV-II Torino Bollati Boringhieri 2007.

3

Jung, C.G. Tipi psicologici Torino Bollati Boringhieri 2017.

4

Recalcati, M. Le nuove melanconie: destini del desiderio nel tempo ipermoderno Milano Cortina 2019.

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