Vaneggiamenti di psichiatria sociale
Ho in mente Lucio, 34 anni, un fallimento per il padre e una croce per la madre, invalidità al 100% ed inabilità al lavoro, Raffaello, idem e per di più solo al mondo, Alfonso, caduto per sbaglio, dice lui, da 10 metri, Alessia, con la testa per aria e diversi tentativi di suicidio alle spalle e sulla pelle. Mi chiedo, come faranno, come si può vivere dentro al sistema, come lo chiamano loro?
Faccio due conti con la realtà. A 62 anni, con 10 anni di formazione universitaria e 33 di lavoro sulle spalle ho raggiunto, più o meno, l’apice della mia carriera. Guadagno abbastanza bene, qualcosa in più di 4000€ al mese come dirigente medico del SSN. Faccio poca attività privata in regime intramoenia. Fatturo circa 1500€ al mese di media e me ne restano in tasca, tra tasse e spese, circa 500€. Con un po’ di formazione arrivo comodamente a 5000€ al mese. Se mi avessero detto a vent’anni che sarei arrivato a 10 milioni di lire al mese avrei pensato ad uno sbaglio.
Ed effettivamente lo sbaglio c’è!
L’economia europea ha trasformato le nostre abitudini. Una cena oculata al ristorante 50€, una pizza e poco più per 30€, solo di immondizia, a studio dove produco a dire tanto 5 buste di carta e qualche bottiglia di plastica l’anno, spendo 1000€.
Non continuo con i conti. La lamentela del caro gas e luce.
Ma voglio parlare di scadenze. Bollette, dichiarazioni, assicurazioni, bolli, revisioni. Continue scadenze.
E i trasporti pubblici? Nella mia città decisamente peggiori di quando ero bambino e adolescente. Con gli autobus potevo comodamente girare la città. Anche acquistare i biglietti è molto più difficile, pertanto, quando accade di prendere un mezzo pubblico, spesso sono costretto a non pagare, rischiando multa e figuraccia.
Poi ci sono mille altre questioni. La stessa cosa, ad esempio, se la compro 2 mesi prima la pago 10 volte di meno che se la compro quando mi serve. Devo decidere prima di cosa avrò bisogno, di dove vorrei andare un fine settimana, o l’ora in cui sarà meglio partire. Altrimenti devo mettere mano al portafoglio e pagare la stessa cosa molto cara.
Insomma, dove voglio arrivare?
Nel corso degli anni ho avuto fortuna e sono cresciuto, da tanti punti di vista. Ho imparato ad usare tutti gli strumenti tecnologici, anche grazie ai miei figli ho sempre aggiornato le mie conoscenze, ho abbandonato la mia discoteca di cd, comprati e scelti uno ad uno, e fatto un abbonamento a Spotify, dove trovo tutto, talmente tutto, da non sapere più cosa sto cercando. Lo stesso per la tv, i film, le notizie e il calcio. Spendo la stessa cifra che spendeva mio zio quando mi portava allo stadio in tribuna, ma adesso sto comodamente, da solo, sul divano di casa. Il mio wifi, salvo qualche problema alle password e 30€ al mese, mi permette di vedere la partita quando voglio, talmente quando voglio che spesso mi dimentico che c’è.
Con il telefono posso fare moltissime cose. Sto scrivendo questo articolo e intanto ricevo lettere, cerco il regalo di compleanno di mio figlio, invio un bonifico per lo sport di mia figlia. Faccio tutto da solo. Comodamente. Ho il conto online, niente fila in banca, e poi paypal e tante tante altre diavolerie. Ho la testa strapiena di cose da fare. Talmente piena che certe volte mi chiedo come faccio a reggere tutto, a non impazzire.
Per distrarmi leggo le notizie del giorno. Continua la guerra in Ucraina, l’inflazione sale, le borse sono in fibrillazione perché Hamas è entrata in Israele e ha ammazzato un migliaio di civili, gente di passaggio, o che dormiva. E allora Israele ha iniziato a sparare razzi ovunque, sulle città, sui palazzi, staccano la luce e l’acqua. Devono pagarla cara quelli della Striscia. Ma chi la deve pagare, e perché?
Le notizie non mi distraggono affatto. Allora stacco.
Quando stacco, vacanze, un viaggio, il telefono lo lascio acceso, perché non si sa mai, ma spesso, per fortuna, mi accade di guardare dritto avanti a me, fissare l’orizzonte o il cielo stellato. Mi piace restare in silenzio e non fare niente. Qualche volta parlo da solo. E mi piace sentire la mia voce che rompe il silenzio. Come un campo a maggese, diceva Khan.
Ah, per finire. Perché parlavo di Lucio, Raffaello, Alfonso, Alessia?
Non ho perso il filo.
Perché nella vita, per pagare tutti i miei conti, faccio lo psichiatra. Il mio lavoro consiste nel rimettere in carreggiata persone che si sono perse. Ma se la strada è un autodromo di formula uno, se la vita è la corsa sfrenata di un freccia rossa, come ce li rimetto io in corsa? Sono certo che se dovessi metterli a cavallo, o su una barca a vela, o su una bicicletta, potrebbero farcela. Sono sofferenti, ma sono ragazzi intelligenti e cercano di recuperare. Ma così è impossibile. Altro che psicofarmaci e psicoterapia. Neanche un miracolo li riacchiappa se non cambiamo qualcosa noi. I cosiddetti sani.
Caro Federico il tuo articolo mi ha molto colpito e mi sembra straordinario perchè hai reso in modo chiaro, a partire dalla descrizione della tua quotidianità, qualcosa che penso da tempo e che come sociologa ho descritto in modo diverso facendo una critica alla categoria della normalità, oppure alla società sempre più individualista e competitiva. Ti ho sempre apprezzato per la tua capacità, non comune, di partire da te anche in molti interventi che ho avuto la fortuna di ascoltare. Ed è proprio vero che noi, i cosiddetti sani di cui parli nell’articolo, dobbiamo lavorare insieme per provare a cambiare il circuito di formula uno. Utopia? forse! ma dall’utopia possono venire fuori percorsi inimmaginabili prima.
Antonella Cammarota
Articolo bellissimo. grazie