Vaso di Pandora

Le stazioni fantasma di Berlino

Approfittando di un lungo weekend, ho colto l’occasione per visitare una delle più importanti capitali europee, ricca di storia: Berlino. Mentre ascoltavo i racconti delle guide, mi sono immerso in un’epoca particolarmente complessa del Novecento: la divisione tra Berlino Est e Berlino Ovest durante la Guerra Fredda. Tra le molte storie narrate, una in particolare mi ha colpito profondamente: quella delle “stazioni fantasma”.

La divisione di Berlino

Si tratta di stazioni della metropolitana che, all’improvviso, si ritrovarono tagliate fuori dalla normale rete urbana nella notte in cui il famigerato Muro di Berlino venne eretto. Il governo della DDR le sigillò per evitare che cittadini presi dal panico, separati dalle loro famiglie o perseguitati politicamente, tentassero di fuggire verso l’Ovest. Nel tempo, queste stazioni abbandonate diventarono spazi desolati, dagli ingressi sigillati con i mattoni e dagli interni fatiscenti.

Successivamente, dato il progressivo peggioramento delle condizioni di vita a Berlino Est, oltre alle barriere alle entrate si dovettero chiudere gli stessi soldati di pattuglia in dei gabbiotti di metallo perché non disertassero, saltando sui treni durante il passaggio. Così, i cittadini dell’Ovest viaggiavano attraverso questi tunnel vuoti, attraversando una realtà sospesa e congelata nel 1961 prima di proseguire la loro giornata in sicurezza dall’altra parte della città. Solo con la caduta del Muro le stazioni vennero riaperte, restituite a un uso normale, e oggi fanno nuovamente parte del consueto sistema di trasporto berlinese.

Le stazioni fantasma della psiche

Mentre ascoltavo questa storia, mi è venuto in mente un aforisma di Jung: “Tutto ciò che accade nel macrocosmo avviene anche nei recessi della nostra anima.” Ho iniziato a riflettere su come, spesso, gli avvenimenti storici in parte riproducano in grande stile i movimenti e i fenomeni che avvengono al nostro interno. Anche noi, infatti, in un certo senso a volte abbiamo delle “stazioni fantasma” nella nostra psiche: luoghi un tempo vivi e attraversabili che, per traumi o eventi difficili, sono stati chiusi, sigillati, e resi inaccessibili persino alla nostra consapevolezza. La dissociazione, in situazioni estreme come la violenza o i grandi traumi (quelli che nel linguaggio EMDR vengono definiti traumi con la “T” maiuscola), isola intere parti della nostra psiche. Questi spazi diventano punti morti, interrotti, dove i nostri “passeggeri” interiori non riescono più a transitare, bloccando così il naturale flusso dell’esperienza e dell’emotività.

Il mondo interiore del trauma

Donald E. Kalsched, psicologo analista, nel suo interessante libro “Il mondo interiore del trauma” descrive il meccanismo che si innesca alla base della dissociazione come il “Protettore – Persecutore”: una figura interna che, proprio come un governo autoritario, limita i nostri diritti e le nostre libertà in nome della protezione, spesso celando sè stesso dietro una maschera di affidabilità o di bontà. Ad esempio, una ragazza abusata potrebbe vedere ogni uomo come un potenziale aggressore, mentre una persona traumatizzata dalla guerra potrebbe continuare a percepire i membri di una nazione ormai in pace come minacce da eliminare.

Questo meccanismo, che si propone di proteggere, finisce paradossalmente per danneggiare, tagliando fuori pezzi vitali della nostra esistenza e sostituendoli con un’illusoria sicurezza. Nei sogni, continua l’autore, questa figura può apparire in duplice veste: come immagine minacciosa (ad esempio un demone) ma anche come figura potente, numinosa (ad esempio un eroe o un dio di qualche mito). Il Protettore – Persecutore non è visto infatti solo da Kalsched come un’entità malvagia, ma come una manifestazione della sofferenza e della resilienza della psiche, un simbolo della lotta interiore tra la paura della vulnerabilità e il desiderio di guarire.

La caduta del muro di Berlino

Ad ogni modo, sappiamo come è finita la storia del Muro di Berlino: chi stringe troppo il pugno con la sabbia dentro, ne causa inevitabilmente la fuoriuscita, e così a furia di stringere il cappio, il governo della DDR vide i suoi cittadini letteralmente fuoriuscire da Berlino Est, abbattendo pacificamente il muro che tagliava la città durante una manifestazione pacifica. Con la caduta, la libertà però portò nuove sfide: bisognava ora integrare due sistemi sociali, economici e politici diversissimi, e questo è stato fatto ancor oggi solo parzialmente, e non senza sofferenza e difficoltà. Nonostante ciò, almeno nessuna guardia di frontiera spara più a chi vuole passare attraverso la Porta di Brandeburgo.

Allo stesso modo, chi elabora un trauma spesso si trova a dover ridefinire un’intera esistenza basata su paradigmi che non funzionano più, e questo cambiamento può essere così spaventoso da far desiderare i vecchi meccanismi di difesa, che in cambio dell’Eros – per dirla con Freud – offrivano sicurezza.

Il lavoro del terapeuta, quindi, è quello di aiutare a creare una nuova percezione di sicurezza, cercando di favorire il passaggio da un Sé Persecutore a un Sé Redentivo, ricordando con tatto e delicatezza che oggi c’è un adulto al comando, pronto a proteggere il proprio bambino interiore. Come ci ricorda Nancy McWilliams, forzare troppo l’acceleratore con chi ha subito traumi può diventare una nuova forma di violenza. Non basta abbattere il muro: è necessario restaurare pazientemente tutte le stazioni fantasma, affinché il flusso dei nostri passeggeri possa riprendere con calma e armonia.

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