La maternità surrogata, spesso indicata anche con le espressioni “utero in affitto” o “gestazione per altri” (GPA), è un tema molto caldo, soprattutto in tempi recenti, essendo entrato al centro del dibattito politico italiano.
L’argomento, estremamente delicato e che va a toccare moltissimi aspetti societari collaterali, è oggetto di reazioni forti e contrastanti, sia a livello individuale che collettivo.
Se molti vedono in questa pratica – che consente a persone che non possono avere figli di diventare genitori attraverso il coinvolgimento di una terza persona – un’opportunità, molti altri la percepiscono come una minaccia a valori etici e morali profondamente radicati.
Ma perché la maternità surrogata genera così tanta paura e diffidenza?
In questo articolo proveremo ad esplorare le possibili ragioni psicologiche e sociali di tali timori, cercando di comprendere come queste emozioni influenzino il dibattito pubblico e privato su un tema tanto delicato.
Cos’è la maternità surrogata e quali sono i diversi tipi?
Prima di entrare nel merito delle emozioni che suscita, è utile chiarire cosa sia la maternità surrogata e quali forme possa assumere. La maternità surrogata prevede che una donna (la madre surrogata) porti a termine una gravidanza per conto di altre persone (generalmente chiamati genitori committenti). Questa pratica si divide in due categorie principali:
- Maternità surrogata tradizionale: la madre surrogata è anche la donatrice dell’ovulo, per cui ha un legame genetico con il bambino.
- Maternità surrogata gestazionale: la madre surrogata non è geneticamente correlata al bambino, poiché l’embrione viene creato utilizzando l’ovulo e lo sperma dei genitori committenti o di donatori esterni.
Nel linguaggio comune, “utero in affitto” ha spesso una connotazione negativa, mentre “gestazione per altri” viene percepito come un termine più neutro, usato spesso per evitare l’associazione con concetti di sfruttamento.
La paura dell’ignoto e la dissonanza cognitiva
La maternità surrogata tocca temi molto sensibili come il ruolo della donna, la famiglia e la genitorialità, che per molti costituiscono pilastri di identità e appartenenza. La paura legata alla maternità surrogata, perciò, è spesso una risposta emotiva a ciò che non si conosce o non si comprende a fondo. In psicologia, l’ansia dell’ignoto si verifica quando ci si confronta con pratiche o situazioni che si discostano dalla norma, generando una reazione di rifiuto.
Inoltre, il concetto di maternità surrogata può generare dissonanza cognitiva, ovvero uno stato di disagio che deriva dalla coesistenza di pensieri o valori contraddittori. Da un lato, molte persone supportano l’idea di aiutare coloro che non possono avere figli biologicamente, ma dall’altro temono che tale pratica possa trasformare la maternità in una “transazione economica”, sminuendo il valore umano della genitorialità.
Maternità e ruolo della donna: una visione tradizionale in crisi
L’immagine della donna come “madre naturale” è profondamente radicata in molte culture, e la maternità surrogata rappresenta una sfida a questa concezione. La percezione tradizionale della maternità prevede che sia legata esclusivamente alla donna che porta il bambino in grembo e lo partorisce. Tuttavia, la gestazione per altri mina questa immagine e mette in discussione il legame biologico come fondamento della maternità.
Per molte persone, la maternità surrogata sembra “snaturare” il ruolo della donna e la sua funzione riproduttiva. Inoltre è diffusa l’associazione delle madri surrogate a figure vulnerabili, vittime di forme di sfruttamento o coercizione, specialmente in contesti socioeconomici svantaggiati. Questo timore può sfociare in un rifiuto della pratica stessa, nella convinzione che la maternità sia sacra e non negoziabile.
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La percezione del corpo come “oggetto”
La maternità surrogata può anche suscitare inquietudine per via dell’implicazione economica. Quando si parla di “utero in affitto”, emerge la percezione del corpo femminile come oggetto da “affittare”, una visione che può apparire disumanizzante. Le persone possono temere che la maternità surrogata spinga a “commercializzare” il corpo della donna, riducendolo a una funzione riproduttiva. Questo timore è strettamente legato a problematiche di etica del corpo, che da sempre sollevano dilemmi nel contesto della medicina e delle biotecnologie.
La visione del corpo femminile come “mercificato” non solo alimenta l’idea che la pratica possa risultare alienante per le donne coinvolte, ma porta anche al rischio di amplificare le disuguaglianze sociali ed economiche. Le donne che decidono di diventare madri surrogate potrebbero essere viste come spinte da necessità economiche e non da una libera scelta, sollevando il dibattito sulla reale libertà e consapevolezza in queste decisioni.
Timori sociali e giudizio morale
L’essere umano tende a conformarsi alle norme sociali e culturali. La maternità surrogata, però, rappresenta una deroga a quelle norme, specialmente in contesti culturali dove il legame biologico è considerato essenziale per la formazione di una famiglia. Di conseguenza, i timori che sorgono non sono solo individuali, ma riflettono paure collettive, radicate nella morale sociale.
Quando qualcosa diverge dalla norma, si sviluppa facilmente un giudizio morale, che porta alla stigmatizzazione della pratica e delle persone coinvolte. Le coppie o i singoli che scelgono di avere figli tramite maternità surrogata possono trovarsi a vivere sensi di colpa o paura del giudizio sociale. Questa pressione esterna può pesare significativamente a livello psicologico, aggiungendo complessità emotiva a un percorso già impegnativo.
Superare i pregiudizi: verso una comprensione empatica
Superare i timori associati alla maternità surrogata richiede un impegno a livello di empatia e comprensione. Come per molte altre pratiche considerate “controverse”, l’informazione e il dialogo sono elementi essenziali per ridurre l’ansia e il pregiudizio. L’educazione al tema, basata su fonti scientifiche e testimonianze dirette, può aiutare a comprendere meglio le motivazioni e i processi che portano alla maternità surrogata.
Gli psicologi suggeriscono che il primo passo per affrontare le paure sociali sia quello di riconoscere i propri pregiudizi e valutarli alla luce delle esperienze altrui. L’esercizio dell’empatia e la sospensione del giudizio possono aiutare a creare un clima di dialogo sereno e costruttivo, in cui ogni storia possa essere ascoltata e compresa nella sua complessità.