Il difficile termine tripofobia indica la paura, del tutto irrazionale – come è spesso il caso, con questi disturbi – di fori e buchi. Nello specifico, abbiamo a che fare con un timore difficilmente immaginabile, che può anche farsi paralizzante, di vedere pattern di fori che si ripetono lungo una linea o all’interno di una serie. La fobia dei buchi è particolarmente insopportabile nel caso in cui questi siano piuttosto ravvicinati tra loro, nonché molto profondi. Lo stato d’animo di chi ne soffre può variare dal disagio all’ansia, fino al disgusto. I sintomi espressi dal fobico sono panico, nausea e/o brividi. Tutte queste sensazioni sono enfatizzate quando dal foro fuoriesce qualcosa, anche se tutt’altro che minaccioso, come per esempio un seme o un piccolo insetto.
Le cause della fobia dei buchi
La fobia dei buchi si contraddistingue, anche all’interno dell’ampio panorama delle paure irrazionali, per via della forza che la sua morsa esercita sulla vittima. Questa può infatti restare bloccata, in condizioni di terrore e, magari, tremante, dopo aver semplicemente visto un qualsiasi oggetto conforme alle sue paure. La scienza sostiene che la tripofobia derivi da una reazione di difesa, istintiva e inconscia, non strettamente dipendente da chi ne soffre ma ereditata dai primi umani abitanti sulla Terra. La sua causa si perderebbe nella notte dei tempi, quando le cavità naturali o i pattern forati presenti sul corpo di animali tanto pericolosi da potersi rendere letali, come ad esempio i serpenti velenosi, erano associati a una minaccia seria e il cervello dei nostri avi, non troppo differente dal nostro, aveva elaborato questo schema per proteggersi in maniera istintiva.
Un’altra teoria sostiene invece che la fobia dei buchi sia strettamente correlata alla naturale repulsione che tutti proviamo verso parassiti e malattie infettive. I portatori di batteri si nascondono molto spesso in cavità buie o scarsamente illuminate, come le grotte, dei buchi nella roccia. Chiunque si avvicini corre il rischio di restare contaminato e allora l’encefalo, forte di questa esperienza, ha sviluppato, in reazione, un meccanismo che, di fatto, lo terrorizza tenendolo lontano da un pericolo potenzialmente letale.
L’etimologia
Il termine corretto per definire la fobia dei buchi è tripofobia. Lo si utilizza dal 2005. La sua origine è greca, com’è il caso per ogni altra fobia. La parola deriva dall’espressione trýpa, che possiamo tradurre come buco o, in senso più stretto, perforazione. Naturalmente invece phóbos, com’è noto, significa paura. Nella letteratura scientifica, le prime descrizioni attendibili ed esplicative del disturbo risalgono al 2013. Pur essendo la fobia dei buchi già nota, all’epoca, non vi era ancora alcun test di laboratorio capace di descrivere, con buona accuratezza, di che cosa si trattasse.
La fobia dei buchi e i suoi sintomi
I sintomi che manifestano la fobia dei buchi non sono i medesimi per tutti. Ognuno può dimostrare il suo timore del foro in maniera diversa ma, generalmente, le manifestazioni visive più comuni sono brividi, sudore freddo o pelle d’oca. C’è poi chi prova palpitazioni, formicolio, prurito, disturbi oppure distorsioni alla vista. La nausea e il vomito sono i due segnali più chiari che si stia vivendo un irrazionale terrore mentre vertigini, senso di svenimento o respiro affannoso si verificano più di rado. Nella sintomatologia di questa fobia includiamo anche bocca secca, tremori, pianto, intorpidimento e sensazione di testa vuota.
Si può affermare che la tripofobia non sia altro che un forte timore, spesso morboso. Per meglio dire, potremmo definirla come quella repulsione provocata in una persona da numerose figure geometriche ravvicinate, spesso cavità identiche tra loro. Spesso, ma non sempre. A scatenare la paura sono soprattutto i buchi, ma possono anche essere piccoli rettangoli, cerchi convessi o altre particolari forme che si ripetono. In tutti questi casi, parliamo comunque di tripofobia. Raccontarla esclusivamente come un terrore dei fori sarebbe impreciso.
A oggi, la paura dei buchi non è una patologia psichiatrica ufficialmente riconosciuta. Non cerchiamola nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5), poiché non troveremmo alcuna voce. L’APA sta valutando l’inserimento delle fobie nella sesta revisione, di prossima uscita.
Superare la paura
La fobia dei buchi può essere può essere affrontata scegliendo la più congeniale tra differenti opzioni terapeutiche: generalmente si opta per la psicoterapia, applicando specifiche tecniche. È però possibile anche servirsi di farmaci. Chi vuole, se supportato dal proprio specialista, può anche optare per una combinazione delle due soluzioni. Lo scopo deve essere quello di indurre il paziente a razionalizzare la propria fobia, portandolo a reagire ai pensieri ansiogeni e consentendogli di affrontare le convinzioni negative associate alla paura dei buchi.
La cosiddetta desensibilizzazione sistemica è una possibilità che si è mostrata molto efficace. La terapia dell’esposizione comporta una graduale e ripetuta visione di figure, oggetti e superfici che presentano pattern geometrici, allo scopo di affrontare le idee negative associate alla paura dei fori. Il tutto viene naturalmente portato avanti in maniera controllata. Molti specialisti consigliano la terapia cognitivo-comportamentale, magari affiancata da tecniche di rilassamento autogeno quali lo yoga o gli esercizi di respirazione controllata.