La parte più ampia dell’opera di Jan Neer ritrae paesaggi, bagnanti, scene di spiaggia, stabilimenti. È una produzione legata alla vendita delle cartoline, spesso da lui stesso stampate, per il ricordo dei luoghi, la testimonianza di scene di vita sulla riva per le famiglie e i villeggianti: la memoria di una suggestione con gli scorci più caratteristici di un territorio, al mare ma anche nelle tante immagini di montagna da lui realizzate.
C’è poi una produzione più contenuta dove i soggetti della fotografia vengono “messi in scena”.
Questi scatti sono di una stupefacente modernità. In particolare nei “tuffi” la ricerca estetica e la rappresentazione metaforica diventa ossessione del fotogramma. Nel caso dei” tuffi”, infatti, l’immagine perde la sua radice naturalistica e diventa” finzione”, interpretazione culturale di un episodio dell’esistenza.
Nella storia delle arti figurative, la prima e direi in assoluto più perfetta raffigurazione del tuffo è quella ritrovata in una tomba a Paestum nel giugno del 1968.
I tuffi nella storia dell’arte: il tuffatore di Paestum
Tonio Holscher ha scritto un documentato e intenso libro sul ritrovamento archeologico e sui significati dell’affresco (“Il tuffatore di Paestum. Cultura del corpo, eros e mare nella Grecia antica”, Carrocci Editore, 2023).
Traggo dal testo una descrizione che sembra parlare anche delle immagini di Neer:
Il tuffo di testa in mare rappresenta il culmine di una fase fondamentale dell’esistenza: condensa in sé, in un singolo istante, il lento passaggio dall’infanzia all’età adulta. Tutta la multiforme eccitazione che accompagna i ragazzi in tale fase della vita è contenuta in quest’unico momento che molti conoscono per esperienza personale, per essere saliti su un trampolino : arrampicarsi senza la protezione di nessuno, restare soli ad altezze sconosciute da cui non c’è ritorno, guardare verso il basso, forse con un lieve senso di vertigine, Poi la decisione: inspirare, trattenere il fiato spiccare il salto. Ed ecco l’attimo eterno della caduta: volare e immergersi, senza sentire la terra sotto i piedi, abbandonarsi completamente ai sensi, all’aria che avvolge il corpo proteso e poi all’acqua che toglie il respiro e assorbe ogni percezione. Infine riemergere: scuotersi l’acqua di dosso e sfregarsi gli occhi, mettere piede sulla terra ferma, trovarsi di nuovo in mezzo alla gente. E’ l’esperienza base dei giovani che si preparano alla vita: un’esperienza a metà strada fra voglia ed esitazione, euforia e tensione, e spesso tutte queste cose insieme.
E poi:
Il fascino esercitato dal tuffatore di Paestum risiede non ultimo in una cultura della gioventù che lasciava ampi margini di libertà, che consentiva ai giovani, nell’età di passaggio alla condizione adulta, di abbandonare l’ordine regolamento della comunità.
La descrizione combacia con le scene ritratte da Neer che contengono una disobbedienza alle regole della vita ordinaria e raffigurano un mondo anomalo di fantasia e di liberazione dalle consuetudini. Mare e libertà dunque.
Nel tuffo trionfano coraggio, entusiasmo e eleganza fisica.
Con il Romanticismo il mare viene scoperto nell’estetica del sublime. Lo racconta Carola Barbero in un saggio vivace e composto di situazioni chiave (L’arte di nuotare: meditazioni sul nuoto, Il Melangolo, 2023). In quella dedicata al Tuffo si legge che “non c’è modo migliore di capire cosa vuol dire volare se non tuffandosi”. E sul legame tuffo/volo indagano alcune delle più avvincenti tra le foto di Neer.
Apnea
Alla voce Apnea si legge:
L’apnea è il sublime allo stato puro. In latino sublimis ciò che è al limite. Non a caso quando smettiamo di respirare proviamo a vedere fino dove possiamo arrivare, e lo facciamo con un misto di dolore, ebbrezza e senso del pericolo. E’ una vertigine terribile, ma così attraente che è quasi impossibile resistere. (…)
Sono momenti in cui la connessione fra fragilità e grandezza è evidente: sott’acqua con i polmoni che scoppiano e il cuore che rimbomba l’uomo da un lato è debole e indifeso, dall’altro dimostra di essere superiore perché riesce a comprendere, a fare propria l’immensità nella quale è immerso.
Questo riferimento non può non ricordarci la poesia contenuta nella raccolta Les fleurs du mal di Charles Baudelaire: l’Homme et la mer, dove:
Ti piace tuffarti in seno alla tua immagine
L’abbracci con le braccia e con gli occhi, e il tuo cuore
Si distrae talvolta dal proprio rumore
Al fragore di quel pianto indomabile e selvaggio
Siete entrambi tenebrosi e chiusi:
uomo nessuno ha scandagliato il fondo dei tuoi abissi;
mare, nessuno sa le tue intime ricchezze,
tanto siete gelosi dei vostri segreti
(I fiori del male, trad. Giorgio Caproni, Marsilio, 2008)
Questo mare romantico misterioso e terribile non è quello fotografato da Jan Neer. Egli vive la nascita ormai del mare come luogo della salute fisica, della vacanza, della bellezza e della crescente libertà dei costumi.
Adesso è tutto un mondo che si tuffa: quello che vive sulla riva, negli stabilimenti della città balneare.
Giorgio Triani, in un saggio indispensabile per il nostro tema (Pelle di luna pelle di sole. Nascita e storia della civiltà balneare 1700 – 1946, Marsilio Editori, 1988) ricostruisce l’ambiente della spiaggia riportando anche un brano su Varazze tratto dal Secolo Illustrato del 27 dicembre 1896:
Gli stabilimenti di Varazze vantavano la cortesia e il buon umore dei bagnini, uomini che passano l’estate nell’acqua sino alla cintola palleggiandosi come giocattoli i bimbi affidati per le salutari immersioni alle loro cure fedeli.
In quante delle foto di Jan Neer assistiamo a questa scena!
Il tuffo di Paul Cèzanne
Nel mare della modernità il tuffo è quello dipinto da Paul Cézanne in Femme piquant une tête dans l’eau, la donna che si tuffa nell’acqua. Il dipinto è ricordato da Cécile Guérard in Piccola filosofia del mare. Da Talete a Nietzsche, editore Guanda, 2010, che scrive:
Perdendo il nostro riflesso e la nostra ombra nell’acqua, ci trasformiamo forse in creature marine di nuovo genere? La scorza umana esplode, il corpo si smaterializza e assume i riflessi iridati delle squame di un pesce. L’elemento marino trasforma il bipede implume in linee spezzate, angoli di diamanti, sogno ondeggiante. Idealizza il corpo del nuotatore che diventa una nuvola di schiuma, un’onda luminosa.
Il corpo che sta per tuffarsi, sospeso per aria, è agile come l’onda. In un istante, a contatto con il mare, si frantuma in mille farfalle traslucide.
Segnalo altri due libri sull’argomento della nascita della civiltà balneare: quello di Alain Corbin: L’invenzione del mare, Marsilio Editori, 1990, e uno più recente di Alessandro Martini e Maurizio Francesconi: La moda della vacanza. Luoghi e storie 1860 – 1939, Einaudi 2021.
Ma per tornare ai tuffi mi è caro citare un breve verso del varazzino Marchese Gaspare Invrea che scelse lo pseudonimo, meno esotico di quello del nostro fotografo, di Remigio Zena e che fu validissimo romanziere (La bocca del lupo) e poeta (da Tutte le poesie, Bologna, 1974):
Tuffi, salti mortali
Un intreccio, una ruota
Di gambe e braccia, insomma
Gli eterni carnevali
Della nostra riviera.
Sembra un’istantanea di Neer, quasi si fossero conosciuti, essendo coevi per un tratto della loro vita.
C’è un tuffo che è capace di rappresentare il sogno di eterna giovinezza e l’indifferenza per il male di vivere che sono evocati dal confondersi con il mare. E’ il tuffo di Esterina, la protagonista della poesia “Falsetto”, negli Ossi di seppia, di Eugenio Montale:
……
T’alzi e t’avanzi sul ponticello
Esiguo, sopra il gorgo che stride:
il tuo profilo s’incide
contro uno sfondo di perla.
Esiti a sommo di tremulo asse,
poi ridi, e come spiccata da un vento
t’abbatti fra le braccia
del tuo divino amico che t’afferra.
Ti guardiamo noi della razza di chi rimane a terra.
I tuffi messi in scena da Jan Neer sono ispirati da un’allegria, una voglia di vivere, una spensieratezza che erano di un tempo di libertà appena scoperte, di invenzioni e di speranze.
Oggi il tuffo che più rappresenta il senso di spossatezza, di solitudine e di artificio della nostra età contemporanea è quello nella segregata e muta piscina californiana di David Hockney.