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Hikikomori, i giovani eremiti laici della modernità

Con il termine Hikikomori si intende una condizione di esilio volontario che caratterizza in special modo gli adolescenti di sesso maschile e che si concretizza in un ritiro sociale, nei casi più gravi della durata di diversi anni, durante il quale la persona sceglie di allontanarsi da tutto ciò che lo mette in contatto con l’esterno, arrivando ad auto confinarsi nella propria camera e spesso negando l’accesso a tutti, persino ai genitori.

Per identificare questa modalità difensiva di comportamento si è scelto non a caso un termine mutuato dalla lingua giapponese, paese dove vi è una grandissima incidenza di tale fenomeno: Hikikomori infatti significa “stare in disparte” (da引きhiku “tirare” eこもり komoru “stare in disparte”).

Hikikomori significato

Ma cosa significa “stare in disparte”? Di certo, tale definizione non si riferisce a un carattere spiccatamente introverso, bensì mette in luce un atteggiamento di radicale ipertrofia di quello che Gaetano Benedetti definisce “Sé separato”.

Questa condizione esistenziale rientra nella normalità ed è molto utile per evitare le angosce diffuse e di simbiosi. Tutti noi vi ricorriamo occasionalmente, anche più volte al giorno, nell’ambito delle relazioni con gli altri. Tuttavia, per gli hikikomori la situazione è diversa: ciò che contraddistingue questa condizione è un’estremizzazione del sé separato, visto come unico strumento per difendersi dalla enorme pressione sociale percepita da questi giovani, per lo più uomini, ma non solo.

Spesso scelgono l’isolamento per difendersi da un contesto troppo esigente o da legami troppo invischianti. Questo è infatti il primo punto centrale del nostro discorso: un hikikomori non è una persona malata, ma ciò che si osserva a livello comportamentale è una difesa rispetto a una forma d’angoscia profonda e a una percepita intolleranza allo stress e al rapporto con gli altri. Non sorprende, quindi, che il fenomeno sia nato soprattutto in Estremo Oriente, dove la società giapponese è molto esigente e performante, e molti giovani soccombono di fronte alla spaventosa pressione del sistema scolastico e a quello che viene definito “l’inferno degli esami”, ovvero un test molto selettivo e nozionistico che determina in pratica il destino individuale, garantendo o meno l’accesso alle università più prestigiose, le quali a loro volta garantiscono le possibilità di carriera più redditizie.

Le dinamiche familiari

Ma è sufficiente questo per spiegare perché tanti giovani si ritirano socialmente, non solo in Giappone, ma anche nel resto del mondo? È necessario a mio parere fare riferimento anche alle dinamiche familiari: nella struttura familiare di molti pazienti hikikomori, si è osservato quello che i giapponesi chiamano “Amae”, ovvero un rapporto simbiotico e fusionale con la propria madre, caratterizzato dall’estromissione della figura paterna, spesso definito “padre spazzatura”. Si tratta di un uomo che lavora tutta la settimana anche 15 ore al giorno e che nei weekend è così stremato da essere in pratica sempre sul divano o addormentato, da qui il soprannome che lo paragona a un sacco dell’immondizia che si può spostare senza che protesti.

L’assenza del padre, del Logos che permette l’interazione con l’esterno e le regole della società, produce quello che i lacaniani chiamano Plusmaterno, ovvero quella condizione basata su un eccesso di cura e sul proporre la famiglia – e nello specifico il legame materno in questo caso – come alternativa al mondo sociale. Non sorprende quindi che questi adolescenti o giovani adulti ricorrano a Internet, ai social o ai giochi di ruolo online per fuggire la solitudine e per fuggire dalla tela dell’archetipo della Grande Madre. Lo schermo fa da mediatore e da barriera nel rapporto con l’altro, visto dal vivo come troppo opprimente, e permette a queste persone una socialità embrionale, seppur chiaramente non soddisfacente e minimamente sufficiente.

Come aiutare un Hikikomori

Togliere la rete a questi ragazzi, come spesso improvvidamente si suggerisce, è nella maggior parte dei casi un errore grave, se non una tragedia, poiché li si priva dell’unico strumento attraverso il quale possono interagire con l’altro reale. È meglio cercare di entrare nel loro mondo e interessarsi a ciò che fanno, creando un ponte tra i loro personaggi preferiti, i loro giochi o le loro relazioni online e ciò che li aspetta al di fuori della stanza. Il lavoro con queste persone non può prescindere da progetti di inserimento sociale che siano molto attenti a rispettare i loro tempi e le loro modalità, senza forzare troppo la mano o gravare mentalmente gli hikikomori di un impegno sociale che non possono sostenere.

La psicoterapia, insieme ad approcci di tipo supportivo o psicoeducativo, sembra essere la migliore risorsa, anche nei casi in cui vi è una patologia depressiva spesso reattiva all’isolamento. Il mondo interno di questi nuovi eremiti del ventunesimo secolo è infatti ricco e sfaccettato, ma difficilmente accessibile a meno che non si riesca a entrare nel cerchio della loro fiducia. Parallelamente, il lavoro sulle dinamiche familiari è di primaria importanza per poter aiutare la persona sofferente a sentirsi sicura, almeno al di fuori della porta della sua camera.

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