Nella bozza dell’annunciato provvedimento del Ministro Schillaci sulle liste di attesa vi è l’art. 21 che stanzia 40 milioni di Euro per la realizzazione di nuove REMS o la manutenzione di quelle esistenti.
Questa proposta non è sostenuta da un’analisi e da un piano complessivo relativo al tema delle persone autrici di reato, prosciolte o condannate ma sembra dare per acquisito che il numero dei posti e delle REMS vada aumentato pur non dicendo di quanto, dove, come.
Trattando di sanità, l’articolo non rimanda ad un accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.
L’accordo approvato nel 2022
Eppure un significativo accordo era stato approvato, per altro da questo governo, il 30 novembre 2022 e sarebbe quindi molto importante procedere alla sua attuazione. Punti unici regionali (PUR), gestione liste di attesa con nuovi criteri dando priorità ai detenuti “sine titulo” e ai reati gravi, protocolli e sostegno dei DSM sono essenziali per migliorare la funzionalità dell’intero sistema.
Prima di procedere è indispensabile un’analisi delle situazioni regionali per comprendere lo stato di attuazione della legge 81/2014 ed intervenire selettivamente. Come noto la lista di attesa è per oltre l’80% concentrata in cinque regioni e riguarda per lo più misure di sicurezza detentive provvisorie. Spesso si pone il tema dell’appropriatezza degli accessi in REMS (specie per soggetti con psicopatia, uso di sostanze), di migliorare le dimissioni e il turnover affrontando anche i temi sociali, come l’assenza di documenti, reddito e casa. I pazienti con misura di sicurezza detentiva definitiva rappresentano poco più del 50%. Prima di dire che mancano posti, quelli esistenti vanno utilizzati al meglio, come prevede la legge, solo come estrema ratio.
Aprire nuove REMS è sostenibile?
Aprire nuove REMS implica sostenere costi elevati stimabili in 8-10 milioni di Euro per l’edilizia ogni REMS, oltre a quelli di gestione intorno ai 3 milioni di Euro/anno. Quindi, in una situazione di carenza di risorse, si tratta di fare scelte con molta ponderazione dei benefici e dei rischi. Come noto se non cambia il modello di funzionamento, il solo aumento dei posti letto porta alla loro rapida occupazione e il problema permane.
Occorre affrontare i problemi reali e non credo sarebbe una soluzione aumentare le REMS “nazionali” come Calice al Cornoviglio (SP), autorizzata dal precedente governo, venendo meno ai principi di territorialità e rendendo così ancora più difficile la cura presso i DSM e quindi le dimissioni e il turnover.
Non viene detto ufficialmente ma credo vada esplicitato che le “ristrutturazioni” non devono portare a superare il numero di 20 ospiti per REMS, né a “forzare” il numero chiuso. Anche la creazione di alcune REMS ad “alta sicurezza” rappresenta un rischio in quanto si rischia di creare un vallo con i Dipartimenti di Salute Mentale con conseguenti difficoltà nelle prese in cura e nelle dimissioni.
La salute mentale negli istituti penitenziari
Il decreto nulla dice sullo stato della salute mentale negli Istituti Penitenziari e le condizioni delle Articolazioni Tutela Salute Mentale (ATSM), né sembrano prossimi provvedimenti per promuovere misure alternative, compresa l‘applicazione della sentenza n. 99/2019 della Corte Costituzionale al fine di ridurre il sovraffollamento, gli agiti auto ed eterolesivi.
La priorità è sostenere i DSM in quanto la maggior parte di pazienti con misure giudiziarie è nel territorio e circa il 70% ospite di Residenze. Occorre attuare un piano per la sicurezza e la qualità delle cure, tema più volte sollevato, dopo l’omicidio della psichiatra Barbara Capovani e tragici incidenti accaduti ai pazienti. Un piano che si avvalga di una forte collaborazione interistituzionale superando la posizione di garanzia dello psichiatra. Servirebbe anche un piano per la formazione e la supervisione.
Il provvedimento, in continuità con il precedente governo, contiene anche un finanziamento per la psichiatria di 80 milioni rispetto ad un fabbisogno di 2,5 miliardi di Euro necessari per raggiungere il 5% della spesa sanitaria. Non solo ma è del tutto inadeguato sia rispetto all’aumentata domanda ma persino a colmare l’incremento dei costi dovuti all’inflazione, agli aumenti delle rette nelle residenze, ai nuovi contratti degli Enti del Terzo Settore. Con meno risorse reali, resta quindi sulla carta la pur apprezzabile apertura sulla possibilità di assunzioni in deroga di personale.
È auspicabile una riforma radicale in merito all’imputabilità, al doppio binario (come la proposta di legge 1.119). La 180 è un bene comune del nostro Paese e diverse proposte di legge e l’annunciato PASM devono tendere alla sua realizzazione.