Controllo la posta elettronica, mentre un bip dal microonde mi ricorda che la colazione è pronta, accendo l’auto e automaticamente il navigatore mi consiglia l’itinerario di oggi, collego l’Iphone alla dock station e già mi avverte dell’arrivo di nuove e-mail e che urge aggiornare le app. Approfitto della pausa caffè per controllare sul tablet la bacheca di facebook, rispondere agli amici, e velocemente pubblico un post su Twitter. Il tempo stringe, finirò la conversazione a casa, sul notebook, comodamente seduto sul divano; ho tempo, la smart-tv mi tiene in caldo il programma che registrato dal portatile.
Immerso nell’era della rivoluzione digitale, la “tecno-evoluzione”, in cui la tecnologia oggi non si può considerare solo uno strumento, ma un vero e proprio movimento evolutivo nel quale il web, indiscusso sovrano, è il “mare” dove navigare senza dimensioni di spazio e di tempo, un mondo virtuale che si snoda con quello reale in cui le relazioni si ristrutturano al di là dei cinque sensi, in cui la virtualizzazione della realtà esalta appieno alcune caratteristiche dell’uomo del III millennio: narcisismo, velocità, ambiguità, ricerca di emozioni e bisogno di infinite relazioni light.
Un incessante cliccare, chattarre, digitare, twittare, condividere… in un tempo e spazio snaturati dalla superficie di uno schermo e dal dinamismo delle connessioni di rete, in cui i messaggi non verbali si celano all’occhio umano e le relazioni si esauriscono in innumerevoli connessioni, dove le amicizie si moltiplicano e si annullano con un clic e le idee si condividono con un twoosh, dove gli acquisti più disparati, il sesso, il gioco d’azzardo, da tentazioni possibili, diventano realtà quotidiane in rete, contribuendo a riempire vuoti e creare una vera e propria dipendenza.
“Retomania”, una “dipendenza senza sostanza” che condivide con le dipendenze da sostanze chimiche alcune caratteristiche essenziali: la tolleranza (per cui si è costretti ad aumentare le dosi di una sostanza per ottenere lo stesso effetto), l’astinenza (con comparsa di sintomi specifici in seguito alla riduzione o sospensione di una particolare sostanza), il “craving”, che porta a un fortissimo e irresistibile desiderio di assumere una sostanza, desiderio che, se non soddisfatto, causa intensa sofferenza psichica e a volte fisica, con fissazione del pensiero, malessere, alterazione del senso della fame e della sete, irritabilità, ansia, insonnia, depressione e, nei casi più gravi sensazioni di derealizzazione e depersonalizzazione (Griffiths, 1996).
L’uso compulsivo di internet racchiude, come una scatola cinese, una serie di comportamenti addittivi che possono conseguire in una vera e propria dipendenza in base ad una varietà di controllo degli impulsi: si parla di Internet Gaming Disorder, ma anche di Cybersex addiction, l’uso compulsivo di siti pornografici o comunque dedicati al sesso virtuale e la frequentazione di chat room per adulti, Social Network addiction, la tendenza a instaurare relazioni tramite il Web, relazioni virtuali che divengono fondamentali, Net-Compulsions, comportamenti compulsivi messi in atto tramite Internet, come gioco d’azzardo, shopping online, partecipazione ad aste on-line, Information Overload, la ricerca compulsiva di informazioni on-line e Computer-Addiction, l’utilizzo del computer per giochi virtuali, soprattutto giochi di ruolo, giochi in cui il soggetto può costruirsi un’identità fittizia.
A partire dall’osservazione e dallo studio di casi clinici di retomania, dalla lettura di storie autobiografiche narrate da internet-dipendenti e dai risultati di questionari specifici compilati da un’utenza che avverte sintomi di Dipendenza dalla Rete, sono state descritte tre categorie di elementi che contribuiscono all’insorgere della Sindrome da Dipendenza da Internet: le psicopatologie predisponenti, i comportamenti a rischio e le potenzialità psicopatologiche proprie della rete. (Cantelmi T.,Pravettoni G., Beria A., Guberti S.)
Sebbene le ricerche effettuate non siano ancora in grado di mettere in relazione di causa ed effetto la comparsa di specifici sintomi con l’uso intensivo della rete, è innegabile come la stessa rete costituisca un potentissimo catalizzatore di psicopatologie preesistenti, uno spazio ideale dove esprimere gli aspetti più deteriori e patologici del sé. Certo occorre sottolineare che solo ricerche longitudinali potranno stabilire in futuro se i tratti psicopatologici siano una causa o un effetto della dipendenza dalla rete.
È stato appurato che gli uomini e le donne fanno uso del mondo on-line in modo molto diverso: i primi sono più orientati verso le fonti di informazione, i giochi interattivi di tipo aggressivo, spazi chat sessualmente espliciti e cyberpornografia; le seconde prediligono le chat-room per allacciare amicizie che diano qualche tipo di sostegno, per cercare un’avventura romantica o per lamentarsi dei propri problemi personali. Le donne, inoltre, vivono con sollievo il fatto che nessuna persona incontrata in Rete possa conoscere il loro aspetto fisico.
Ciò che sembra accomunare tutti gli Internet-dipendenti è la negazione del problema: il disturbo da dipendenza da Internet è quasi sempre egosintonico.
Per quel che riguarda l’epidemiologia, emerge che i soggetti più a rischio sembrerebbero avere un’età tra i 15 e i 40 anni.
Già nel 1995, Ivan Goldberg, aveva diagnosticato l’ Internet addiction disorder, IAD, simile alla sindrome del gioco d’azzardo.
In Italia, invece, si parla per la prima volta di disturbi legati all’utilizzo di Internet con Tonino Cantelmi, che individua una serie di problemi legati alla dipendenza da cyber-relazioni e dalla ricerca di informazioni e contribuisce ad aprire, dal novembre del 2009, il primo ambulatorio ospedaliero italiano specializzato nella dipendenza da Internet, all’Ospedale Policlinico Il Gemelli.
In Pennsylvania, è nata la prima struttura ospedaliera psichiatrica che offre un programma di disintossicazione contro le dipendenze dalla rete, fondata da Kimberly Young, con trattamenti proposto dagli stessi professionisti coinvolti nella cura di altre assuefazioni tradizionali.
Randi Zuckerberg, la sorella del più noto Mark, il creatore di Facebook che ha rivoluzionato la vita di tutti gli esseri umani con la sua piccola creatura, ha scritto un libro, Dot, per comunicare ai bambini come può essere utilizzato un social network senza farsi male, in cui racconta la storia della piccola Dot, bambina affezionata ai propri smartphone e tablet, che certe volte, però, cade nella trappola di confondere e sostituire il mondo reale con quello virtuale.
Nel DSM V è stato incluso l’Internet Gaming Disorder come una condizione che giustifica un’attenzione particolare e ulteriori ricerche cliniche prima di poter essere considerato formalmente come un disturbo, da pensarsi come parte di un processo diagnostico in evoluzione che evidenzia come il background culturale, così come l’era dei “nativi digitali” può notevolmente influenzare il modo in cui un individuo percepisce e si presenta con sintomi psichiatrici, tanto quanto gli impatti di diagnosi e trattamento.
Poco importa se definire o meno la dipendenza da internet una patologia, certo la si può considerare un disturbo in senso etimologico, in quanto va a disturbare la vita sociale e relazionale di chi si lascia catturare dalla rete e diviene fondamentale per i professionisti che si occupano della salute mentale approfondire e studiare l’impatto che un mezzo così potente può avere sulla mente umana, sia in termine di prevenzione che in termini di cura, laddove l’uso si trasformi in abuso, ovvero in un quadro psicopatologico.
Queste nuove forme di dipendenza partono da comportamenti comuni e quotidiani che possono diventare “patologie compulsive” nel momento in cui escono da un controllo razionale e tolgono alla persona che ne è vittima la capacità e la libertà di scegliere se compierli o meno. Il piacere di fare queste azioni si trasforma allora in un impulso incontrollabile a ripeterle, in un bisogno di aumentare l’intensità o la frequenza dell’atto anche se diventa dannoso e autodistruttivo.
Credo sia fondamentale considerare la categoria degli adolescenti e dei giovani, i nativi digitali, come potenzialmente a rischio ed è qui che si rende necessario un lavoro particolarmente attento in termini di prevenzione e un’attenzione particolare da parte degli operatori “psi”, ma anche di chi vive con i giovani, in primis i genitori.
I genitori di oggi appartengono alla generazione di mezzo, capaci di utilizzare la tecnologia digitale ed anzi da essa affascinati, che spesso hanno un profilo su facebook come i loro figli, che li scimmiottano utilizzando il dialetto tecnologico degli adolescenti e che sono pienamente avvolti dalle dinamiche narcisistiche del contesto attuale.
Sono -siamo- genitori attenti, affettuosi, accudenti, ma non educanti, che si reinventano senza sapersi raccontare, senza entrare in relazione, rinunciando ad educare, a narrare, a trasmettere una visione della vita, troppo presi a “rincorrere” i figli nell’incessante società odierna che pare incapace di staccare la spina, direttamente verso la dipendenza dalla connessione, in un periodo di crisi della relazione interpersonale alla quale i nuovi metodi di relazione tramite il web sembrano rispondere pienamente.
Mentre decido di pubblicare sul blog questo scritto, vedo lampeggiare sulla barra delle applicazioni l’icona della posta elettronica, sono arrivati i report da Red West e dalla Tolda…