L’espressione “sindrome di Wendy” fu coniata per la prima volta dallo psicologo Dan Kiley, negli anni Ottanta del Novecento, per descrivere un modello comportamentale molto particolare riscontrato in alcune relazioni.
Le persone in cui si riconosce la “sindrome di Wendy” tendono a prendersi cura eccessivamente degli altri a discapito dei propri bisogni e desideri.
Da dove deriva l’espressione “sindrome di Wendy”
Come molti di noi avranno immediatamente immaginato, il nome di questa sindrome particolare deriva al personaggio di Wendy nella famosa storia di Peter Pan.
La Wendy della storia di finzione, infatti, impiega tutto il suo tempo a prendersi cura degli altri e a preoccuparsi dei loro bisogni, dimenticandosi di sé stessa.
Nel linguaggio comune, per indicare chi si rispecchia in questo comportamento, è anche usato spesso il sinonimo “Sindrome della crocerossina”, per l’allusione alle volontarie della croce rossa il cui compito è quello di prestare soccorso agli altri.
Il profilo psicologico delle crocerossine
Le persone affette dalla sindrome di Wendy spesso mostrano un alto livello di altruismo, tale da spingerle ad agire per soddisfare i bisogni degli altri, prima dei propri. Spesso questo comportamento indica un desiderio recondito di sentirsi accettati, amati o di essere considerati indispensabili.
Dall’analisi psicologica delle crocerossine emerge una tendenza generale a misurare il proprio valore in base alla propria capacità di aiutare gli altri e prendersene cura: il sacrificio è mirato a colmare la propria autostima.
I propri bisogni fisici ed emotivi passano in secondo piano: queste persone hanno infatti generalmente difficoltà a chiedere aiuto o supporto agli altri. L’abitudine ad offrire aiuto le rende poco propense a chiedere sostegno quando necessario: spesso credono di non meritarlo, di non averne bisogno o di dover risolvere da sole i propri problemi per non infastidire l’altro.
Paura dell’abbandono e dipendenza emotiva
La sindrome di Wendy è spesso il risultato di ferite emotive e traumi infantili e può essere un modo per colmare vuoti e mancanze del passato.
La paura dell’abbandono o della perdita di relazioni significative è tra i meccanismi scatenanti di questa sindrome. Le “crocerossine” inoltre sono molto più propense a sviluppare una dipendenza emotiva verso coloro a cui si dedicano, cercando conferme costanti di affetto e rassicurazione.
Come gestire la sindrome di Wendy
Essere consapevoli dei propri schemi comportamentali è il primo passo per affrontare la sindrome di Wendy. L’auto-riflessione può aiutare a identificare i modelli dannosi e a riconoscere che il nostro atteggiamento, laddove vada a ledere i nostri bisogni personali, non è sano ed è necessario agire per il nostro interesse.
Chi soffre di sindrome di Wendy dovrà lavorare duramente sulla propria autostima per non vedersi soffocata da questa condizione. Sviluppare un senso del sé che non dipende da quello che si è riusciti a fare per l’altro è fondamentale per riconoscere il proprio valore.
Valorizzare i propri bisogni e interessi può aiutare a costruire una visione più equilibrata di sé stessi: può essere utile quindi ritagliarsi del tempo per sé, perseguire nuovi hobby o passioni, curare il proprio aspetto e il proprio corpo.
Imparare a prendersi cura di sé stessi è cruciale infatti per superare la sindrome di Wendy. Praticare il self-care, dedicando tempo a sé stessi per il benessere fisico e emotivo, è essenziale per mantenere un equilibrio sano nelle relazioni e per perdere di vista se stessi.
Il supporto psicologico per superare la sindrome di Wendy
Laddove i modelli comportamentali della sindrome di Wendy sono particolarmente radicati e condizionano in toto la vita di una persona, è necessario ricorrere al supporto di uno psicoterapeuta o counselor. La terapia può aiutare a scovare i fattori sottostanti, a promuovere la conoscenza e l’accettazione del sé e quindi a sviluppare strategie per un cambiamento positivo.
La sindrome di Wendy non comporta solo il trascurare il proprio benessere a proprio discapito, ma genera inevitabilmente meccanismi relazionali tossici e deleteri, spesso per entrambe le parti coinvolte.
Affrontare questa sindrome richiede consapevolezza, auto-riflessione e un impegno verso l’autocura. Lavorando su questi aspetti, è possibile bilanciare le relazioni, rafforzare l’autostima e sviluppare una visione più equilibrata di sé stessi e delle proprie relazioni.
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