Il pregiudizio di conferma, o bias in gergo, è un comportamento cognitivo in base al quale si prediligono le informazioni che confermano le proprie convinzioni. Ciò significa che si forza un’idea, scartando o ignorando le prove contrarie alle ipotesi di partenza. Questo tipo di bias comporta inevitabilmente una distorsione dell’informazione. Lo fa su più livelli, da quello della raccolta, a quello dell’interpretazione fino al recupero parziale di quanto sia stipato in memoria. Si tende a ricercare e raccogliere ogni dato che supporti una determinata tesi, rifiutando o sminuendo il contrario. Qualora le indicazioni raccolte non siano congruenti con le proprie idee di partenza, le si scarta o le si interpreta in maniera contorta, in modo da sostenere e/o rafforzare i propri preconcetti. Di fronte a questioni complesse, ma non solo, le persone tendono a mantenere o alimentare la personale prospettiva anche ricevendo input contrari alle loro convinzioni.
Come funziona il pregiudizio di conferma
La memoria individuale contribuisce in prima persona al rafforzamento del pregiudizio di conferma: quando si deve dimostrare un’idea o un’ipotesi, è più facile recuperare, in modo selettivo, dalla memoria solo i dati sono congruenti allo schema di partenza, trascurando gli altri. Il cervello dell’uomo è, fondamentalmente, pigro, e preferisce evitare di dibattere. Spieghiamolo con un esempio. Esaminiamo che cosa accade alle persone preda del pregiudizio razziale, un comportamento odioso e insopportabile, eppure insito in molti di noi.
Un soggetto può essere fermamente convinto che gli immigrati siano tutti delinquenti, solo in quanto tali. Sicuramente, ogni lettore conoscerà almeno una persona di questo tipo. Ci pensi. L’individuo, condizionato da questa idea, soffermerà la sua attenzione sugli eventi che provano la natura delinquenziale dello straniero. Raccoglierà notizie sui giornali o in tv, titoli di cronaca con riferimenti alla nazionalità, aneddoti e via dicendo. In aggiunta, si dedicherà a ricerche di tipo confirmatorio su internet, cercando dati coerenti con la sua idea e, naturalmente, trovandoli. È infatti noto che gli algoritmi danno almeno un risultato congruente a quello che si sta cercando, data l’enormità del materiale disponibile in rete. Questa persona si informerà principalmente, se non esclusivamente, su canali di informazione e gruppi che condividono la sua visione, senza esporsi a riflessioni diverse dalla propria.
E quando si imbatterà in situazioni opposte? Tenderà a minimizzare: il ragazzo immigrato che trova un portafoglio e lo consegna alla polizia è solo un caso, una persona tra mille delinquenti, un furbo che vuole ottenere qualcosa in cambio o, nella migliore delle ipotesi, una mosca bianca.
La realtà e la sua rappresentazione
Il pregiudizio crea inevitabilmente un disequilibrio tra realtà esterna e sua rappresentazione. Ignorare, minimizzare e distorcere l’informazione contraria alle proprie convinzioni serve a recuperare un equilibrio psicologico, detto anche coerenza cognitiva. Essa agirà in sintonia con la memoria, portandola a rievocare più facilmente, in maniera selettiva, esempi di immigrati che delinquono.
Studi e ricerche sul pregiudizio di conferma
Tra le ricerche più rappresentative sul pregiudizio di conferma citiamo quella condotta da Charles Lord, Lee Ross e Mark Lepper, portata avanti presso l’Università di Stanford, nel 1979. Gli autori del dossier reclutarono due gruppi di persone, il primo si componeva di elementi fortemente a sostegno della pena di morte, l’altro era composto da individui convintamente contrari. A entrambi i gruppi furono dati due studi falsi, ma verosimili. Nel primo erano riportati dati che dimostravano come la pena di morte riducesse sensibilmente il tasso di omicidi. Nell’altro si affermava il contrario, provando che la pena di morte non aveva alcuna influenza sul comportamento criminale. I risultati della ricerca evidenziarono che le prove a favore dell’una o dell’altra posizione rafforzavano le convinzioni dei due gruppi, come ci si poteva attendere.
D’altra parte, però, facevano lo stesso anche le prove contrarie. Queste venivano minimizzate oppure duramente criticate dai lettori, a seconda del gruppo di cui facevano parte. I sostenitori della pena di morte mettevano in discussione la raccolta ed analisi dei dati dello studio che dimostrava la sua inefficacia. I contrari tenevano esattamente lo stesso comportamento nei confronti del dossier che lodava la massima punizione. Di fatto, ognuno dei due gruppi portava acqua al proprio mulino, rafforzando le sue convinzioni. Nessuno portò avanti un confronto obiettivo paragonando i due studi e analizzandoli entrambi.
L’impatto del bias di conferma sulla quotidianità
Quella del bias di conferma è una tendenza naturale del ragionamento umano. Tale pregiudizio è finalizzato a rispondere a diversi scopi psico-sociali dell’uomo e può avere effetti negativi, quando non proprio devastanti. Pensiamo all’ambito processuale. Qualora la giuria si faccia un’idea prematura sulla colpevolezza o innocenza di un imputato, tenderà ad allineare prove e arringhe raccolte nel tempo con il suo giudizio iniziale, portando il processo verso un verdetto viziato e, magari, sbagliato. E in ambito medico? Se un dottore dovesse partire da un’ipotesi diagnostica controversa, potrebbe cercare indizi clinici di conferma a essa. Mantenendo con rigidità questa impostazione, eviterebbe probabilmente di condurre ulteriori esami. Questi, però, potrebbero riportare una diagnosi differente. In questa maniera, sbaglierebbe l’intero trattamento.
In ambito lavorativo, la selezione e l’assegnazione dei ruoli può essere viziata da dettagli ininfluenti, si pensi al colore della pelle, all’abbigliamento o al genere sessuale. In ambito sociale, il bias di conferma contribuisce spesso a mantenere impressioni del tutto sbagliate su una persona, un gruppo culturale o un’intera etnia, alimentando pregiudizi e discriminazioni. Su internet, lo abbiamo già scritto, quando si effettua una ricerca specifica, inserendo parole chiavi fortemente in sintonia con la propria ipotesi di partenza, gli algoritmi generano risultati congruenti. Una persona dallo specifico orientamento politico si nutrirà di informazioni conformi alle sue idee, così come chi è di vedute politiche opposte alimenterà continuamente le sue convinzioni di partenza.
A causa del pregiudizio di conferma viene meno il confronto costruttivo. Le posizioni di partenza si radicalizzano e si perde una lettura critica e complessa degli eventi. Ecco perché, molto spesso per non dire sempre, tenere una posizione rigida è scorretto. Se ci fossilizziamo a difendere una sola collina, troveremo continuamente materiale per fortificarla.
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