Il 20/21 Gennaio presso l’Auditorium Carlo Carli d’Imperia si è tenuto il Corso Residenziale su Neuropsicofarmacologia Clinica nei pazienti anziani, organizzato dal prof. Carlo Serrati Direttore del Dipartimento di Neurologia del’’ASL n. 1 Imperiese, al quale hanno partecipato numerosi esponenti del mondo psichiatrico, neurologico e geriatrico.
Il Prof. Marco Trabucchi nel suo intervento in tavola rotonda sul “rapporto medico paziente e la prescrizione farmacologica in psicogeriatria” mette l’accento sulla complessità del paziente anziano evitando la sua parcellizzazione e sulla necessità nella cura di sapere integrare i problemi legati all’isolamento sociale, alla solitudine dell’anziano ed alla compliance.
Riporta un dato dell’American Journal Geriatric Psichiatry che rileva come sia notevolmente aumentato l’uso degli antipsicotici nei pazienti anziani, durante la pandemia, a riprova del fatto che le condizioni di salute indotte dall’ambiente possano portare anche al cambiamento dell’uso del farmaco.
Il Prof. Trabucchi parla anche dell’agism, termine inglese per definire il preconcetto e la discriminazione nella cura dell’anziano, mettendo in guardia il medico anziano che si rispecchia nella condizione dei suoi pazienti e che si chiede “chi sono io che curo, sono neutro o partecipe?”. Ed infine cita Borges: quando afferma “non sai bene se la vita è un viaggio, se è un’attesa, se è un piano che si svolge”.
L’intervento del Prof. Claudio Vampini pone l’attenzione sui fattori che complicano la prescrizione, quali spesso l’incapacità da parte del paziente anziano di descrivere i propri sintomi e la presenza di altre patologie di cui bisogna avere cura e conclude con una frase originale di Voltaire che riassume la difficoltà dei trattamenti e che cito testualmente: “I medici usano farmaci che conoscono poco, per trattare malattie che conoscono ancora meno, che somministrano a pazienti di cui non sanno nulla”.
La relazione di Vampini induce a riflettere su pensiero di Ballint (1961) che affermava come il farmaco di gran lunga più usato sia il medico stesso.
Parlando di cura del paziente anziano è intervenuta anche la figura infermieristica della Dr.ssa Lucia Minervino, coordinatrice del progetto di assistenza e cura del paziente geriatrico che riporta alcuni dati relativi all’ambito imperiese e che sottolinea l’importanza della formazione del care giver e la possibilità di un consulto telefonico come valore aggiunto all’assistenza dei pazienti.
L’intervento del Prof. Andrea De Bartolomeis affronta il problema del trattamento farmacologico della schizofrenia nelle fasi tardive e più segnatamente sottolinea la necessità di ridurre il dosaggio dei farmaci dopo anni di trattamento al fine di evitare e prevenire conseguenze neurologiche di tipo oro bucco facciali.
Studi metanalitici dicono che vadano privilegiati i farmaci di nuova generazione per il loro minore impatto bloccante rispetto a quelli di prima e come la terapia con il long acting sia da privilegiare nella prevenzione delle ricadute.
L’uso degli anticonvulsivanti come stabilizzatori dell’umore è il tema affrontato dal Prof. Gianluca Serafini che ribadisce il ruolo dell’Acido Valproico riconosciuto solo nel 1995 come antimaniacale e l’importanza del Litio come farmaco ad azione protettiva nei confronti del deterioramento cognitivo e come riduttore del rischio suicidario.
Sono stati anche affrontati temi relativi al Parkinson, agli antiemicranici, alla terapia nel paziente con sclerosi multipla che invecchia ed ai farmaci anti Alzhaimer e tutti gli interventi hanno portato elementi di novità in relazione alla diagnosi precoce ed al trattamento con antipsicotici ed antidepressivi evitando ove possibile l’uso delle benzodiazepine, soprattutto di tipo ipnoinducente per il rischio di demenza e in associazione con gli stabilizzatori dell’umore per il possibile incremento delle disfunzioni cognitive nel disturbo bipolare.
Nella parte finale del convegno è intervenuto anche il Dr. Carlo Trompetto riportando l’importanza del ruolo della neuroriabilitazione del paziente anziano con pregresso ictus.
L’impressione che ho ricavato dal convegno è quella confortante al pensiero che gli studi, le terapie e l’impegno dei molti professionisti che operano nella cura del paziente anziano e psichiatrico, possono in definitiva aiutare l’essere umano ad affrontare meglio i pericoli e le difficoltà del fisiologico declino dell’essere umano, pur tenendo presente l’insegnamento di Siddhartha, fondatore del Buddismo, sull’impermanenza di tutte le cose.
Diversi gli spunti stimolanti in questo report. Chiedersi “chi sono io che curo, sono neutro o partecipe?” è proprio non soltanto del rapporto di cura con l’anziano, ma in ogni incontro terapeutico, in particolare in quello psicoterapico, in cui la necessaria attribuzione di ruoli non può far velo alla consapevolezza di quanto condividiamo con il paziente.
Legata a ciò l’osservazione di Balint, sul ruolo di farmaco del terapeuta stesso. Nulla di nuovo, ma necessario ricordarlo nel momento attuale, quando i progressi dell’intelligenza artificiale portano qualcuno a prospettare – grazie alle superiori capacità di gestione dati – una radicale sostituzione di essa al medico in carne e ossa (perfino in certe forme di psicoterapia cognitiva!)
Divertente il ricordo della graffiante citazione di Voltaire, cui si può aggiungere quella di Moliere: “i medici sanno tante cose sulle malattie, dal nome latino in giù: la sola cosa che non sanno è guarirle”. Siamo giustificati a credere che molto da allora sia cambiato: ma dobbiamo continuare a dimostrarlo ogni giorno
Graffianti sono le citazioni e graffiante è la triste realtà! Dopo vent’anni di cure, di farmacoterapia ancora mio figlio non è guarito nonostante i percorsi diversi. Io continuo a sperare!