La menzogna è un fenomeno che riguarda la comunicazione e la relazione tra le persone. Si tratta di una forma di alterazione della verità, che può avere diverse motivazioni, conseguenze e modalità. La menzogna può essere intenzionale o involontaria, consapevole o inconscia, occasionale o abituale. In questo articolo, cercheremo di comprendere alcuni aspetti psicologici della menzogna, basandoci su studi scientifici, teorie e modelli.
Cos’è la menzogna e perché si mente?
La menzogna può essere definita come una dichiarazione falsa o ingannevole, fatta con l’intento di indurre in errore il destinatario. Si tratta di un atto comunicativo che viola il principio di cooperazione, proposto dal filosofo Paul Grice, secondo cui i parlanti devono rispettare alcune regole implicite per rendere la conversazione efficace e veritiera. Queste regole sono: quantità (fornire le informazioni necessarie e non eccessive), qualità (dire il vero e non affermare ciò che non si sa), relazione (dire ciò che è pertinente al contesto) e modo (essere chiari, brevi, ordinati e cortesi).
Il linguaggio verbale del bugiardo è un intricato labirinto di parole opportunamente scelte per esprimere la sua falsità. A volte, l’inganno risiede nell’uso di forme impersonali, passive o indefinite, un stratagemma utilizzato per distanziarsi dalla responsabilità della menzogna. Frasi come “si dice che…”, “è stato fatto…” o “qualcuno ha detto…” sono esempi di questo comportamento. Allo stesso modo, l’uso di termini vaghi, generici o imprecisi serve a evitare di fornire dettagli specifici o verificabili; parole e frasi come “un po’”, “qualche volta” e “circa” sono tipiche in questo contesto.
Per smentire una verità implicita o sospetta, il bugiardo potrebbe ricorrere a frasi negative o negate come “non ho mai…”, “non è vero che…” o “non c’entra niente…”. L’esitazione, spesso un segnale di menzogna, può essere mascherata con l’uso di intercalari, ripetizioni, pause o correzioni, in modo da guadagnare tempo, come “ehm…”, “cioè…”, “insomma…” e “no, aspetta…”. Infine, per deviare l’attenzione o mettere in dubbio il destinatario, il bugiardo può utilizzare domande retoriche, contro-domande o cambiare argomento, con espressioni come “perché dovrei mentire?”, “e tu cosa ne sai?” o “ma parliamo d’altro…”.
Al di là del linguaggio verbale, c’è un mondo di segnali non verbali – gesti, espressioni facciali, tono di voce e postura – che possono rivelare il vero stato emotivo o cognitivo del bugiardo. Il contatto visivo, scarso o eccessivo, può riflettere l’insicurezza o l’ardire del bugiardo. Un sorriso falso o incongruente, che non coinvolge i muscoli intorno agli occhi e che è in contrasto con il tono della voce o il contenuto del discorso, può essere un altro segnale. Le microespressioni, brevi e involontarie espressioni di emozioni contrastanti con quelle dichiarate, possono svelare paura, disgusto, rabbia.
Infine, ci sono i gesti di auto-manipolazione, movimenti delle mani o delle dita che toccano o si sfregano parti del corpo, come il naso, la bocca, il collo, i capelli. E i gesti di chiusura o difesa, posizioni del corpo che creano una barriera tra il bugiardo e il destinatario, come le braccia incrociate, le gambe accavallate, le spalle alzate. Tutti questi segnali possono costituire un prezioso indicatore di menzogna.
Come si riconosce un bugiardo?
Riconoscere un bugiardo non è facile, in quanto non esiste un segnale univoco e infallibile che riveli la menzogna. Tuttavia, esistono alcuni indizi che possono aiutare a individuare le incongruenze tra ciò che il bugiardo dice e ciò che fa. Questi indizi riguardano sia il linguaggio verbale sia quello non verbale.
Il linguaggio verbale del bugiardo è un intricato labirinto di parole opportunamente scelte per esprimere la sua falsità. A volte, l’inganno risiede nell’uso di forme impersonali, passive o indefinite, un stratagemma utilizzato per distanziarsi dalla responsabilità della menzogna. Frasi come “si dice che…”, “è stato fatto…” o “qualcuno ha detto…” sono esempi di questo comportamento. Allo stesso modo, l’uso di termini vaghi, generici o imprecisi serve a evitare di fornire dettagli specifici o verificabili; parole e frasi come “un po’”, “qualche volta” e “circa” sono tipiche in questo contesto.
Per smentire una verità implicita o sospetta, il bugiardo potrebbe ricorrere a frasi negative o negate come “non ho mai…”, “non è vero che…” o “non c’entra niente…”. L’esitazione, spesso un segnale di menzogna, può essere mascherata con l’uso di intercalari, ripetizioni, pause o correzioni, in modo da guadagnare tempo, come “ehm…”, “cioè…”, “insomma…” e “no, aspetta…”. Infine, per deviare l’attenzione o mettere in dubbio il destinatario, il bugiardo può utilizzare domande retoriche, controdomande o cambiare argomento, con espressioni come “perché dovrei mentire?”, “e tu cosa ne sai?” o “ma parliamo d’altro…”.
Al di là del linguaggio verbale, c’è un mondo di segnali non verbali – gesti, espressioni facciali, tono di voce e postura – che possono rivelare il vero stato emotivo o cognitivo del bugiardo. Il contatto visivo, scarso o eccessivo, può riflettere l’insicurezza o l’ardire del bugiardo. Un sorriso falso o incongruente, che non coinvolge i muscoli intorno agli occhi e che è in contrasto con il tono della voce o il contenuto del discorso, può essere un altro segnale. Le microespressioni, brevi e involontarie espressioni di emozioni contrastanti con quelle dichiarate, possono svelare paura, disgusto, rabbia.
Infine, ci sono i gesti di auto-manipolazione, movimenti delle mani o delle dita che toccano o si sfregano parti del corpo, come il naso, la bocca, il collo, i capelli. E i gesti di chiusura o difesa, posizioni del corpo che creano una barriera tra il bugiardo e il destinatario, come le braccia incrociate, le gambe accavallate, le spalle alzate. Tutti questi segnali possono costituire un prezioso indicatore di menzogna.
Lie to Me: una serie televisiva sulla psicologia dei bugiardi
Un esempio di come la psicologia della menzogna possa essere applicata in ambito investigativo è la serie televisiva Lie to Me, trasmessa dal 2009 al 2011. La serie narra le vicende di Cal Lightman, uno psicologo esperto nella rilevazione delle menzogne attraverso l’analisi del linguaggio verbale e non verbale. Lightman e il suo team di collaboratori vengono spesso chiamati a risolvere casi di omicidi, rapimenti, terrorismo e altri crimini, usando le loro abilità per interrogare i sospetti e scoprire la verità.
La serie si basa sugli studi del vero psicologo Paul Ekman, considerato una delle maggiori autorità mondiali nel campo delle espressioni facciali e delle emozioni. Ekman ha sviluppato il Facial Action Coding System (FACS), un sistema per classificare ogni movimento del viso umano in base ai muscoli coinvolti. Ha inoltre identificato le sette emozioni universali (gioia, tristezza, paura, rabbia, disgusto, sorpresa e disprezzo) e le relative microespressioni che le rivelano. Ekman ha collaborato come consulente scientifico per la serie Lie to Me, fornendo suggerimenti e feedback agli sceneggiatori e agli attori.
La serie Lie to Me ha contribuito a diffondere l’interesse per la psicologia della menzogna e per le tecniche di riconoscimento dei bugiardi. Tuttavia, la serie non va intesa come un manuale infallibile per smascherare i bugiardi, ma come una rappresentazione romanzata e semplificata di un fenomeno complesso e sfumato.