Il termine laddering si utilizza in psicoterapia al fine di accertare il significato negativo degli eventi temuti dal paziente. La tecnica è stata ideata da George Kelly. A suo dire, i contenuti cognitivi hanno un significato, il quale può essere positivo o negativo. Esso deriva da quelli che lo psicologo definì costrutti. Si tratta di determinate catene di implicazioni che portano l’individuo a giudicare in una maniera, piuttosto che nell’altra, attraverso la sua percezione. Il focus è sui significati percepiti più che sull’effettiva catastroficità degli eventi. Il laddering si pone l’obiettivo di analizzare determinate catene di implicazioni per accertare il disagio psicologico di un paziente. Lo fa partendo dai costrutti negativi per arrivare all’accertamento cognitivo della condizione psichica. Il terapista che mette in atto il laddering rivolge una domanda fondamentale a chi ha in cura: che cosa non le va in questa situazione?
Dalla teoria di Kelly a quella di Dennis Hinkle
L’assunto principale della teoria di Kelly, quella originaria, è che le implicazioni negative si organizzano secondo coppie dicotomiche di opposti che si attivano a vicenda. Questa idea era un po’ limitata e fu riveduta e corretta nel 1965, da Dennis Hinkle. Lo psicologo, basandosi su quanto affermato dal suo predecessore, classificò le implicazioni in laddering up e laddering down. Nel primo gruppo inseriamo tutte quelle convinzioni negative che possiamo definire sopraordinate (ecco perché up). Queste giustificano una certa idea dell’individuo, basata su regole e concetti generali, molto ampi, da cui possono derivare le implicazioni. Nel secondo inseriamo invece ogni convinzione giustificata da esempi concreti o episodi ristretti, tipicamente esperienze vissute in prima persona. Il laddering down è molto simile al cosiddetto catastrophizing, ovvero la predizione di eventi negativi o addirittura catastrofici.
Hinkle ha dunque mitigato, in qualche modo, la durezza della teoria kelliana. Se per esemplificare la corrente di pensiero originaria abbiamo utilizzato la frase cosa non le va in questa situazione, per rendere più chiara la visione degli anni ’60 possiamo ricorrere a un nuovo enunciato: cosa potrebbe capitarle di brutto in questa situazione?
Il laddering vuole essere più di un accertamento e costituire anche un primo abbozzo di cura. La pratica non si limita ad aiutare il terapeuta nella sua ricerca dell’oggetto esatto delle difficoltà del paziente. Porta anche l’individuo a motivare i suoi timori. Talvolta, le situazioni che una persona ritiene pericolose o temibili lo sono davvero, ma per motivi più sensati e razionali di quelli considerati da chi è in cura. L’intervista che lo specialista pone a chi si trova di fronte mira proprio a risalire alle motivazioni che gli fanno provare paura. Bisogna portare chi si sottopone al laddering a distaccarsi dalle forte emozioni che lo spaventano e incupiscono: se fino a un attimo prima certi stati d’animo erano scogli insormontabili che vivevamo con pienezza emozionale, ora ci approcciamo a essi con ingenua adesione.
Come si svolge una terapia di laddering
Il laddering, nello specifico, è un’intervista particolarmente approfondita, eseguita secondo uno schema rigido che, pur consentendo un certo grado di flessibilità a chi la conduce, deve far emergere una mappa gerarchica di scopi e valori. Nella prima fase, si porta avanti un’approfondita ricerca delle motivazioni personali sottostanti alle scelte e ai comportamenti individuali. È un approccio tipicamente goal oriented, che vuole far emergere scopi, bisogni e motivazioni. Al termine di questo step, raccolte le informazioni necessarie a comprendere come mai determinate situazioni siano vissute con simile negatività, si intraprende la fase più complessa, quella della pianificazione strategica per depotenziare le sensazioni negative e ristabilire un giusto ordine di valori personali. Lo strumento principale che si utilizza durante l’intero iter è quello della domanda. L’interrogazione principale è sempre il perché.
Non a caso, gli addetti ai lavori definiscono il laddering come il gioco dei perché. Ogni volta che si pone il paziente di fronte a una domanda, una scelta o una situazione, gli si chiede di motivare il suo comportamento. Una volta che la motivazione è stata data si chiede, nuovamente, di spiegare come mai abbia deciso proprio di muoversi in quella maniera. Il rimbalzo di perché continua, come in uno scambio tra bimbi, anche piuttosto a lungo. A un certo punto, inevitabilmente, si raggiungerà uno scopo o bisogno di alto livello. È il terapista a dover essere in grado di riconoscere questa fase, che diviene la più importante in assoluto per la buona riuscita dell’intero processo di laddering.
Il laddering tra criticità e difficoltà
La tecnica del laddering è piuttosto complicata da portare avanti e può impattare in diverse difficoltà. Innanzitutto, talvolta si fatica a mettere i pazienti a loro agio. In secondo luogo, si può incontrare chi non sia in grado di motivare le sue scelte o non sappia proprio perché si comporti in tal maniera, e sta magari cercando di farselo comunicare dal terapista, il quale è alla ricerca delle stesse risposte. In questi casi occorre evocare contesti che riguardino la sfera di interesse dell’individuo, procedere decostruendo (attraverso il cosiddetto bad-laddering, domandare perché si sia scelta un’alternativa e non quella opposta) o modificare l’ordine di idee, domandando che cosa invece di perché. Queste variabili hanno portato molti professionisti della salute mentale a mettere in discussione il metodo, che resta comunque praticato da numerosi terapeuti in tutto il mondo.
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