Chi sono gli psicologi che decidono di proseguire la propria formazione, frequentale la Scuola di Psicoterapia Istituzionale e diventare terapeuti? Professionisti che hanno affrontato 5 anni di università, un anno di tirocinio, e sono stati infine abilitati -o stanno per esserlo- all’esercizio. Lavorano già, o stanno per iniziare.
In loro è viva la consapevolezza che la nostra posizione professionale non è statica, ma è destinata ad arricchirsi attraverso un ulteriore percorso di crescita e formazione.
Scegliere una scuola di psicoterapia è però una decisione complessa, che richiede di fare una precisa scommessa ed un investimento sul proprio futuro che prescinda dall’aver più o meno individuato una posizione lavorativa stabile ma che tenda all’arricchimento, alla conoscenza e all’acquisizione di sempre maggiore competenza. Tante le proposte di formazione, portate ogni anno all’avvio dell’autunno da diverse Scuole, che tentano di ripagare questa scommessa.
Perché proprio La Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Istituzionale?
Sono una psicologa che opera in ambito comunitario e delle istituzioni pubbliche da dieci anni, approdata alla Scuola di Psicoterapia Istituzionale con un buon bagaglio di consapevolezze circa le proprie reali necessità formative e domande specifiche frutto dell’esperienza del lavoro quotidiano nell’ambito della salute mentale. Come me i miei colleghi, compagni di classe, rappresentanti del primo anno che andrà a concludersi tra poche settimane.
La necessità di accedere ad un modello teorico integrato come proposto dalla Scuola emerge dall’osservazione della molteplicità di situazioni cliniche e d’équipe che la realtà lavorativa propone ogni giorno. Limitante, quasi vincolante, ritenevo l’indirizzarmi a priori verso una Scuola che proponesse un solo approccio alla presa in carico, a fronte delle sempre più ampie esigenze delle persone che necessitano di un intervento psicoterapico.
Lo Psicoterapeuta nel mondo di oggi
La realtà che evolve ci sta insegnando come ogni azione terapeutica debba essere sempre più personalizzata ed adattabile. Al giorno d’oggi, come il Professor Giovanni Giusto ci ha ricordato in occasione della lezione di Psicoterapia Istituzionale da lui condotta a marzo a Scuola, non sono i pazienti ad adattarsi alla tecnica ma è la tecnica stessa a doversi adattare alle necessità dei pazienti. E, se un unico approccio rischia di limitare i nostri orizzonti, è anche la struttura della società contemporanea stessa che ci obbliga a considerare l’individuo non più come unico testimone del proprio percorso di cura ma come parte inscindibile di un sistema sociale, relazionale ed ambientale più complesso, con cui e’ non solo utile ma necessario venire in contatto per poter realmente sostenere il paziente nel proprio percorso di cura.
Un’altra esigenza che ho avvertito come imprescindibile era quella di poter acquisire degli strumenti di terapia versatili ed applicabili in più contesti, contesti in cui le dinamiche relazionali a più livelli assumono una forte complessità e richiedono di essere gestite con competenza e versatilità, senza mai rinunciare a trovare un senso compiuto ai propri interventi.
La conoscenza dei contesti
È proprio la conoscenza diretta dei diversi contesti in cui gli psicologi operano ogni giorno quella che mi ha portato a constatare come lo psicoterapeuta sia sempre più raramente un solitario chiuso nel proprio studio, che accoglie il paziente giunto spontaneamente dalla propria casa e che a casa torna al termine della seduta. Nella gran parte delle realtà in cui è chiamato ad operare, le stesse che la Scuola considera nell’orientare la nostra formazione, lavora in diversi setting e di concerto con tante altre figure professionali (medici, educatori, infermieri, assistenti sociali….) con le quali confrontarsi e co-costruire un lavoro d’equipe.
In questi luoghi il terapeuta approccia non sempre a pazienti che hanno stabilito di intraprendere un percorso individuale di cura ma più spesso si trova inserito in contesti residenziali o istituzionali (ambulatori,servizi di salute mentale,scuole…)che seguono ritmi e livelli diversi di presa in carico. Va da sé che a tale variabilità debba corrispondere una flessibilità e una padronanza di più’ strumenti e più tecniche che si adattino alle specificità bio-psico-sociali del paziente che incontreremo e ci permettano di poter sostenere efficacemente un percorso di terapia,a prescindere dal contesto spazio temporale in cui venga richiesta. Anche per quanto riguarda il lavoro in ambito comunitario, occorre considerare che la Comunità stessa non costituisce un luogo chiuso rispetto all’esterno ma ospita pazienti che afferiscono ai Servizi Pubblici.
Scuola di Psicoterapia Istituzionale e il lavoro di rete
Come suggerito dalla Dottoressa Rivolta, si tratta di un lavoro di rete “con le istituzioni e nelle istituzioni”. La Scuola sta rispondendo concretamente a queste necessità, dandoci la possibilità di poterci riferire a più contributi teorici portati da importanti docenti formati da diversi specifici indirizzi che, nel corso della loro professione, hanno potuto integrare e sviluppare in modo da trasmetterci una visione a trecentosessanta gradi della pratica psicoterapica.
In questi mesi i miei colleghi ed io ed abbiamo partecipato a seminari anch’essi sviluppati affrontando aspetti diversificati della pratica clinica, permettendoci di venire a contatto con gli ultimi e più aggiornati sviluppi teorici ed esperienziali del panorama scientifico di settore. In ultimo, a completezza di una formazione teorica integrata e allo sviluppo di tecniche di applicabilità trasversale, i miei colleghi ed io abbiamo individuato nella proposta operativa della Scuola di diversificare la propria esperienza di tirocinio un importante valore aggiunto: la Scuola mette infatti a disposizione degli studenti le proprie diverse Strutture operanti sul territorio (che ospitano diverse tipologie di utenza) permettendo quindi una connessione diretta ed uno scambio costante con i professionisti che vi operano.
Questo è assai utile per chi come noi già lavora, per poter entrare in contatto e sperimentarci in diverse realtà operative. Immaginiamo ancora di più, per chi ancora deve affacciarsi sul mondo del lavoro, quanto possa essere preziosa la possibilità’ di conoscerlo in anticipo potendo verificare ed orientare le proprie personali inclinazioni.
Mi è piaciuto l’articolo di Maddalena Ferrari sulla Scuola di Psicoterapia Istituzionale, che ringrazio. Vorrei soltanto aggiungere qualcosa a commento: la Scuola in questione ha in animo di fornire ai suoi studenti tutti gli strumenti necessari ad orientarsi rispetto all’intervento con i pazienti di tutti i tipi, in primo luogo con quelli gravi, di cui si occupa l’insieme delle CCTT Redancia, con i familiari e di insegnare loro quale tipo di rapporto di collaborazione è necessario costruire con i propri colleghi, di formazione analoga o diversa.
In merito a ciò, ritengo che vada sottolineato che la Scuola di Psicoterapia Istituzionale nasce all’interno di un’esperienza che si è posta la necessità di svolgere il Servizio Pubblico in ambiti in cui il Servizio Pubblico non svolgeva le funzioni a cui era preposto. La nascita e la gestione della Rems genovese, da parte di Redancia, lo dimostra: dopo anni di duro lavoro e in relazione alla collaborazione con le altre CCTT del Gruppo, è l’unica Rems in Italia che non ha lista di attesa!
Con questo, voglio sottolineare il “senso politico” del tipo di intervento che il Gruppo Redancia ha portato avanti, che gli allievi della Scuola sarebbe bene che avessero presente: l’esperienza di Redancia ha dimostrato che può esserci un’altra psichiatria e di questo è necessario essere consapevoli negli anni in cui si costruisce la propria identità professionale.