Milano, Ospedale Niguarda, 18 Novembre 2016
Parlando di responsabilità ci si può riferire a una responsabilità giuridica (penale o civile) o anche derivante da obblighi deontologici professionali, e il Convegno ha tratto spunto anche dalle modifiche introdotte in questo tema dal Disegno di legge Gelli in corso di approvazione, che modifica le disposizioni della legge Balduzzi finora in vigore. Riporto in calce il testo dell’art. 6, per noi il più interessante.
Ma c’è una accezione ben più ampia, quella etica legata all’obbligo di attuare gli interventi visti, in coscienza, come i migliori possibili. E’ materia tecnica la valutazione della loro appropriatezza, da effettuare con il dovuto scrupolo e con l’approfondimento consentito dalle circostanze: anche questa è una responsabilità etica.
Il Convegno , organizzato da Mariano Bassi, ha preso in esame queste varie sfaccettature.
Claudio Mencacci, Presidente della SIP. non si è limitato a portare il saluto della Società ma ha trattato del Disegno di legge, dandone una valutazione positiva in base a vari elementi: la non punibilità per imperizia se c’è rispetto delle linee guida, l’obbligo di affidare eventuali CTU o perizie a persona specificamente competente, la dizione “rischi ed eventi avversi” che va a sostituire quella di “errori sanitari”, l’obbligo per le aziende di assicurare il personale.
Mariano Bassi, organizzatore dell’evento, ha quindi introdotto ai lavori inquadrando lucidamente il tema nel discorso generale dello sviluppo della Psichiatria di Comunità.
Carmine Munizza ci ha dato una rievocazione storica, non priva di commossi e coinvolgenti riferimenti personali, del ventennio decisivo degli anni ’60 e ‘70 : le varie iniziative di rinnovamento, rischiose in assenza di una normativa favorevole (tre i processi a Franco Basaglia, che a mio avviso hanno mostrato proprio uno scostamento fra responsabilità giuridica e responsabilità etica); il primo Congresso di Psichiatria Sociale a Bologna nel ’64; la legge Mariotti che nel ’68 ha introdotto il ricovero volontario; il decennio ’70 – ’80, di riformismi e riaffermazione dei diritti.
Andrea Fiorillo, Associato nella Clinica Psichiatrica di Napoli, ha ripreso il discorso, ricordando i cambiamenti culturali – psicanalisi, psichiatria sociale – che hanno alimentato il cambiamento non indolore per gli psichiatri, presi fra speranza e timore del rinnovamento. Non mancano anche oggi punti critici: quelli relativi alla diagnosi, utile elemento di riproducibilità e omogeneità delle valutazioni, che però pone limiti a una fertile soggettività dell’operatore; quelli della farmacoterapia che forse ha dato quanto poteva dare, poiché non paiono in vista nuove significative scoperte. La complessità dei problemi pone una sfida, tuttavia potrebbe essere non un limite ma una forza.
Giovanni Martinotti, Ricercatore presso l’Università di Chieti, ci ha rappresentato le inquietudini dei giovani psichiatri per le responsabilità poste da questa sfida, complicata da vari nuovi fattori quali la psicopatologia connessa alle migrazioni in atto e il diffondersi di sostanze d’abuso anche relativamente nuove come i cannabinoidi sintetici, potenti e difficilmente rintracciabili.
Leo Nahon, già Direttore di Psichiatria 3 dell’Ospedale Niguarda, ha collocato opportunamente la riforma psichiatrica nell’ambito di quell’ampio movimento che è stata la rivoluzione, solo in parte mancata, del ’68. Anche nella prassi psichiatrica si è affermata allora l’attenzione ai diritti, alla dignità, alla libertà come dilemma nel senso sartriano. Fondamentale seppur problematico il riferimento alla libertà, anche se a me pare vada tenuto conto del suo potenziale di angoscia: per Kierkegaard l’angoscia è connessa al “possibile”, e pertanto alla libertà. E’ questo che può indurre la collettività ad affidarsi al “salvatore” di turno, magari un tiranno; più modestamente, nel nostro campo contribuisce al crescere della residenzialità. Questa sul piano della qualità – pur variegata – è ben diversa da quella di un tempo ( e ci mancherebbe); ma sul piano quantitativo ha ormai dimensioni cospicue pur se non è facile valutarla, polverizzata com’è fra SPDC, Comunità pubbliche e private, case di riposo, RSA e quant’altro. Va dunque richiesta all’operatore territoriale e al gruppo curante la capacità di contenere l’angoscia del paziente, se necessario con l’aiuto di strutture edilizie, ma innanzi tutto dentro la propria mente.
Il tema della responsabilità etica è stato approfondito da Mario Marinetti, Presidente del Centro “Cesare Musatti” con un intervento centrato sull’etica della psicanalisi. E’ partito da tematiche fondamentali: il rapporto della soggettivazione e sviluppo dell’identità con l’ambiente, in particolare nel rapporto con la madre; la perdita di fiducia conseguente alle ferite al Sé. Nella situazione psicoanalitica queste problematiche si riattualizzano, implicando una responsabilità etica dell’analista. Del resto, la funzione etica è intrinseca alla socialità umana; di questa fa parte una esigenza di riconoscimento reciproco. Per Marinetti questo è oggi in crisi, per la perdita di garanti meta-sociali quali erano le parrocchie e le cellule di partito. La comunicazione tende a degenerare, perdendo efficacia informativa in favore di insulti, catastrofismi, promesse maniacali. La psicanalisi secondo il relatore può avere un suo ruolo nel riaffermare un mondo simbolico condiviso e invitando ad andare oltre la superficie. Personalmente sarei prudente su ciò, poiché richiederebbe in partenza una buona fede e desiderio di verità che invece sono da acquisire. Abbiamo infatti esempi di uso aggressivo di concetti psicanalitici mal digeriti. Ricordo un divertente passo di – mi sembra – Sartre: un tizio chiede a un amico la restituzione di un prestito e questi gli risponde: “me lo aspettavo, sei un anale: fino a che età tua madre ti ha pulito il sedere?”
Tornando alla dimensione normativa: Paolo Millia, Dirigente Medico UO Psichiatria della AOU di Sassari, si è soffermato sulla prescrizione di farmaci, sugli errori più comuni, sulla possibilità e limiti delle prescrizione off label, che deve essere motivata da un preciso razionale quanto meno nella mente del prescrittore.
Renato Mantovani, Avvocato Cassazionista, è tornato sul tema del Disegno di legge, complessivamente favorevole al professionista dipendente da struttura o azienda anche perché definisce il suo rapporto con il paziente come extracontrattuale (contrattuale è quello dell’azienda stessa o del libero professionista), ciò che pone l’onere della prova a carico del presunto danneggiato. Il riferimento alle linee guida implica che questa siano certificate dalle Società scientifiche; ad esse possono utilmente affiancarsi linee guida interne. Altro aspetto favorevole è la riduzione dei tempi di prescrizione a 5 anni, a partire però non dal verificarsi del danno ma dalla scoperta di esso. Quanto al consenso informato, va da sé che non può ridursi ad adempimento formale, ma deve esser compreso; utile quindi annotare che il paziente è al momento capace di intenderlo. Ha pure ricordato una serie di accorgimenti, opportuni anche se potrebbero apparire scontati: mai alterare le cartelle , che possono essere corrette ma sempre lasciando ben evidente il testo originario: si incorrerebbe altrimenti in un falso, reato doloso e come tale non coperto da assicurazione.
Cristiano Cupelli, Associato di Diritto Penale all’Università “Tor Vergata”, è entrato nello specifico della nostra professione, trattando della responsabilità penale dello psichiatra per atti etero- e autoaggressivi del paziente. La posizione di garanzia dello psichiatra implicante obblighi di controllo e protezione è quindi del tutto particolare, quella appunto di un garante che può rispondere degli atti commessi da altra persona. Le cautele necessarie variano caso per caso, senza evidentemente che ciò comporti una precisa serie di adempimenti prescritti. Al tempo della approvazione della legge 180 l’enfasi era posta quasi esclusivamente sulla cura, ma negli anni la giurisprudenza l’ha prevalentemente posta anche sulle esigenze di sicurezza; tuttavia essa è fondamentalmente ambigua e non uniforme. A me pare che, per fortuna o per disgrazia, la c.d. medicina difensiva non sia facilmente perseguibile in campo psichiatrico poiché si può esser ritenuti responsabili sia di omessa custodia sia di interventi eccessivamente invadenti e repressivi, e pertanto non conviene esagerare in un senso o nell’altro. Ho un ricordo personale: un noto collega, visitato un paziente in stato confusionale, lo ha inviato in Ospedale Psichiatrico, dove è rimasto privo degli accertamenti clinici che avrebbero evidenziato lo stato uremico responsabile della confusione, ed è deceduto; il collega si è difeso dicendo di avere adottato un criterio prudenziale. Tutti possiamo sbagliare: ma in questo caso parlare di prudenza ha un sapore molto sgradevole. Ciò che per un verso è prudente, per un altro è grave imprudenza. Sarebbe bello, anche se non facile, se l’attenzione del Magistrato si spostasse dal momento della crisi acuta, quando ogni scelta può avere seri inconvenienti e rischi, all’esame di quanto si è fatto prima, per prevenire la crisi.
Il relatore prosegue, sulla particolare posizione di chi opera nelle nuove REMS, che uniscono funzioni di controllo e di cura come gli OPG, ma a differenza di questi non c’è più netta separazione fra i due compiti e fra le due distinte categorie di personale ad essi addette: agenti di custodia e terapeuti.
Sulla medicina difensiva si è soffermata Liliana Lorettu, Associato di Psichiatria nell’Università di Sassari: i costi si aggirerebbero sul 15% del totale spese per la Sanità. Ha ricordato che la posizione di garanzia dello psichiatra nasce dall’art. 40 CP, comma II: non impedire, avendone obbligo giuridico, un atto, equivale a cagionarlo. Ha poi avanzato qualche perplessità sul disegno di legge, confrontandolo non positivamente alla vigente legge Balduzzi. L’osservanza delle linee guida offre certo una protezione ma non totale, poichè resta necessariamente uno spazio alle scelte individuali. Inoltre la legge 2224, art. 6, riguarda solo l’imperizia, non alleggerendo affatto la posizione del professionista in caso di imprudenza o negligenza, peraltro spesso mal distinguibili dall’imperizia; e la copertura offerta dalle linee guida non è totale, poiché inevitabilmente resta la specificità del caso concreto. Resta però che spetterà al presunto danneggiato l’onere della prova su natura ed entità del danno, e sul nesso causale. Inoltre il Disegno di legge prevede, oltre a una prescrizione più breve, la conciliazione obbligatoria e pone limiti all’azione di rivalsa per dolo o colpa grave.
Versari, in rappresentanza di Renato Ariatti Docente di psichiatria Forense nell’Università di Bologna, ha parlato di un atteggiamento della Magistratura indurito negli ultimi anni. L’intervento psichiatrico dovrebbe esser guidato dai principi di beneficialità, di rispetto dell’autonomia personale, di giustizia: ma essi non sono una guida sicura, perché spesso confliggenti fra loro. La Cassazione ha escluso però un legame diretto e automatico fra atto terapeutico e/o gestionale e l’incidente: si deve ammettere una componente di rischio non eliminabile.
M. Casoria ha parlato delle REMS, da considerare extrema ratio in casi di accertata pericolosità. Pur in tale condizione detentiva deve essere sovrana la cura, in presenza tuttavia di misure di sicurezza e di vigilanza esterna all’ambiente di cura. L’integrazione fra staff e forze dell’ordine è regolata da protocolli gestiti dalla Prefettura. Opportune più che altrove linee guida professionali. La disponibilità per il personale di appositi spazi antisfondamento, da qualcuno proposta, è giustamente criticabile perché non si possono abbandonare gli altri pazienti esposti alla aggressività di uno di loro.
Castoldi, a nome di Giovanni Muttillo Presidente Collegio IPASVI, ha parlato del rinnovato ruolo dell’infermiere, inserito nelle professioni sanitarie come sancito dalla legge e chiamato a nuovi compiti e responsabilità non meramente esecutive: essenziale la capacità di comprendere i bisogni del paziente. Ha ricordato le tappe storiche del cambiamento: fondamentale la legge 42/99.
Nelle conclusioni è tornato sul mutato atteggiamento della Magistratura Arcadio Erlicher, Primario Emerito dell’Ospedale Niguarda. E’ cambiato il contesto sociale, rispetto a un tempo in cui anche alcuni Magistrati concorrevano al rinnovamento: ricordo i c.d. Pretori d’assalto.
E Giorgio Cerati, già direttore del DSM Ovest Milanese, ha riportato il discorso dal piano giuridico a quello della responsabilità insita in ogni relazione, in particolare terapeutica.
Incontro di alto livello culturale e tecnico, che da un lato ha offerto qualche risposta alle incertezze che nascono da un contesto legislativo e organizzativo in evoluzione; e dall’altro ha sollecitato alla riflessione sul tema meta-storico: l’etica della responsabilità.
ARTICOLI DDL GELLI:
L’art. 6 del ddl introduce una nuova norma nel codice penale, art. 590 ter, in 2 commi: il primo : “l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività cagiona a causa di imperizia la morte o la lesione personale della persona assistita risponde dei reati di cui agli art 589 e 590 solo in caso di colpa grave”. “Il secondo: agli effetti di quanto previsto dal primo comma, è esclusa la colpa grave quando, salve le rilevanti specificità del caso concreto, sono rispettate le buone pratiche clinico-assistenziali e le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate a sensi di legge”.
Non penso proprio che l’incremento della residenzialità psichiatrica sia dovuto alla ricerca di un salvatore o di un tiranno, penso piuttosto che semmai si verifica è il frutto della incapacità degli psichiatri di dedicarsi anima e corpo alla cura dei pazienti psichiatrici gravi trascurando l’ambiente di cura e dedicandosi invece a sterili giochi intelletuali che semmai mortificano il bisogno del paziente ed esaltano quello del terapeuta.
Il fallimento di servizi territtoriali che nella maggioranza sono diventati semplici ambulatori di consultazione in gran parte è dovuto a questo.
Se il grande impegno profuso nel trovare spiegazioni autoassolutorie fosse speso in tempo specifico a curare la sofferenza del paziente non dovremmo interrogarci sui nostri bisogni di essere tiranni.
Sento la necessità di rispondere e chiarire. Il mio è un parallelo fra ciò che è accaduto e accade alle popolazioni – affidarsi a un salvatore – e ciò che, sotto la spinta di analoga angoscia, accade al paziente che sollecita o provoca la presa in carico residenziale; non è che identifichi le due situazioni, ma mi pare sempre utile cogliere le analogie o identità fra le dinamiche psicopatologiche e quelle psicosociali. Non sono affatto in contrasto con la posizione di Gianni Giusto, poichè ho scritto:”va dunque richiesta all’operatore territoriale e al gruppo curante la capacità di contenere l’angoscia del paziente, se necessario con l’aiuto di strutture edilizie, ma innanzi tutto entro la propria mente”. Va da sè che purtroppo ciò non sta accadendo.