L’apporto dell’informatica alla medicina va crescendo, ed è prevedibile che continuerà a farlo. Diagnosi e controlli a distanza tramite smartphone, app che orientano la terapia, consulti online, cartelle cliniche elettroniche e quant’altro fanno parte ormai di una quotidianità efficacemente e utilmente facilitante.
Ma qualcuno si spinge ben oltre: arriva a prevedere che il computer non si limiterà a porsi come ausilio alla attività del clinico, ma lo sostituirà.
Queste le argomentazioni a sostegno di tale ipotesi. Partono dall’ovvia constatazione che diagnosi e scelta terapeutica comportano una serie di operazioni mentali: raccolta dei dati anamnestici, esame clinico, scelta degli interventi da attuare anche sulla scorta dei dati forniti da precedenti esperienze personali e dall’esame della letteratura e della manualistica.
A parte qualche problema tecnico relativo ad alcuni aspetti dell’esame clinico, tutto ciò è attuabile dalla macchina con efficacia almeno pari a quella possibile per il medico “umano”; ed è decisamente superiore quanto a quel ripetuto e aggiornato esame della letteratura, da cui l’essere umano mai potrà raccogliere tutti gli innumerevoli dati accessibili all’intelligenza artificiale (che sarà in grado di pesare la validità dei singoli contributi).
Inoltre, l’algoritmo una volta messo a punto varrà per tutti, e verrà meno la necessità di preparare uno per uno migliaia di sanitari, con relativi costi. L’IA saprà cogliere anche le sfumature e piccole differenze che rendono ogni singolo caso in qualche modo unico.
Obiezione: così verrebbe meno l’incontro personale medico-paziente che, è dimostrato, ha un ruolo a volte decisivo nell’esito di una terapia.
Contro-obiezione: questo incontro è da tempo venuto meno: il medico di base spesso si limita ad attività di prescrizione ed eventualmente certificazione, e di fronte a casi un po’ complessi tende a orientare direttamente il paziente allo specialista; questi non vede il paziente che una volta o due, e nel suo procedimento diagnostico e suggerimento terapeutico tende a seguire procedure alquanto standardizzate, già ora alla portata della IA.
Credo che la psichiatria possa e debba sottrarsi alla possibile evoluzione-involuzione annunciata. La relazione e l’accoglienza, come è nella nostra cultura, sono tuttora centrali nell’intervento psichiatrico e dovranno continuare ad esserlo affinché esso non si riduca a una caccia al sintomo ispirata da classificazioni e tutto sommato sterile.
Se, come è possibile, davvero si sviluppasse una “medicina senza medico”, ancora più problematico si farà il rapporto della nostra disciplina con la medicina.
Difficile che l’intelligenza artificiale possa soppiantare la complessità della mente umana, non solo da un punto di vista tecnico ma soprattutto relazionale. Tuttavia, bisogna stare attenti a quello che Galimberti chiama il trionfo della Techne sulla Psiche, ovvero quella idea post illuminista che riduce tutto a una potenza di calcolo. Dobbiamo necessariamente confrontarci con queste realtà proprio per riscoprire la nostra insostituibile Umanità
Non confondiamo tecnologia con vitalità
Dove con vitalità intendo una capacità esclusiva degli esseri viventi: quella del
Sentire (da sentio cfr.)
Per chi volesse il prof. Boè è a disposizione per lezioni
Dimenticavo per chi non lo conoscesse è il mio golden retriever.
Sul tema segnalo l’articolo “La sfida della seduttiva banalità dell’intelligenza artificiale” di Teresa Numerico, Il Manifesto 20 gennaio 2023, pag. 9.
L’intelligenza artificiale sta entrando in tutti gli ambiti. E’ di pochi giorni fa, la notizia riportata da Quotidiano Sanità del 18 gennaio 2023 “Liste d’attesa. In Veneto è un algoritmo che decide la classe di priorità. Garante privacy avvia istruttoria” https://www.quotidianosanita.it/veneto/articolo.php?articolo_id=110357
L’articolo riporta che “entro 20 giorni la Regione Veneto dovrà comunicare all’Autorità ogni “elemento utile alla valutazione del caso, precisando in particolare se l’attribuzione della classe di priorità delle prestazioni sanitarie (urgente, breve, differita, programmata) sia realmente effettuata in forma automatizzata, attraverso algoritmi. L’indicazione della classe di priorità non sarebbe, peraltro, modificabile dal medico”.
Quindi siamo ad un utilizzo dell’Intelligenza Artificiale in ambito sanitario, diagnostico (lettura lastre ecc.) e terapeutico…
Ma anche nella stratificazione del rischio, delle aspettative di vita ecc.
Anche in ambito sanitario si pone il problema della creazione della conoscenza, della sua verifica specie se continuerà il processo di delega del sapere e della sua fruizione solo all’informatica.
Come scrive Teresa Numerico sul citato articolo del Manifesto, Open IA “mischia risposte giuste e sbagliate”. “E’ un sistema sintattico, non sa di cosa parla, ma è convincente nel simulare interazioni testuali”.
Siamo quindi di fronte ad un assemblamento delle informazioni, il che rimanda alla capacità critica del lettore, alle sue competenze. E ciò che preoccupa è come si stiano riducendo le capacità di letto-scrittura e di comprensione dei testi. Insieme a questo vi è la questione del governo e gestione di questi processi lasciati sostanzialmente al mercato e deregolati. Quindi con la possibilità di una rapida e non controllabile espansione.
La loro forza sta quindi nella facilità di trasferirsi nella vita delle persone e di farla propria/espropriarla.
Abbiamo già visto applicazioni nella finanza dove il commercio delle azioni avviene per algoritmi con effetti a volte catastrofici.
Ma possono esservi anche impieghi utili: si pensi alla robotica chirurgica ma anche alle macchine automatiche che verniciano le auto, confezionano prodotti…
Tuttavia da strumenti di supporto ai processi e alle decisioni possono sostituire l’intelligenza umana, nel creare soluzioni ai problemi e lasciando poi agli uomini la valutazione di esiti e vissuti. Il processo in un qualche modo, talora fatalmente, torna all’uomo che difficilmente può comprendere l’elaborazione algoritmica, Non vi sono relazioni umane attraverso le quali elaborare vissuti e costruire senso.
L’uomo ha bisogno di leggere il futuro. Dagli oracoli, alla magia, grazie alla scienza lo fa con strumenti che si rifanno alla matematica (i sondaggi predicono le elezioni, la statistica)
mentre sono svalutate forme di conoscenze filosofiche, poetiche, artistiche, valoriali, morali e politiche.
Il sapere critico interdisciplinare e riflessivo, le tante forme d’intelligenza restano proprietà umane. Queste si sviluppano nelle relazioni e nelle culture gruppali che hanno anche una potente componente affettiva.
Caratteristiche che l’Intelligenza Artificiale può al massimo cercare di “imitare”.
L’Intelligenza Artificiale richiede un caricamento di dati e questi non sono affatto neutrali, ma spesso banali. Implicano un forte controllo dell’ambiente (si pensi alle auto senza pilota, ma anche ai droni in guerra). Per terminare: non si tratta di assumere una posizione luddista ma di avere come riferimento fondamentale la questione etica, il rispetto della dignità umana e del vivente.
E infine di tenere attive forme diverse per la creazione della conoscenza, la trasmissione del sapere critico.
Un giorno al Centro di Salute Mentale non andavano i computer e si avvertiva lo spaesamento dei
professionisti, smarriti… come se la cura non si potesse fare senza! Orami il sistema dipende da questo… Il mondo si è trasferito nell’immateriale.
Chi come me ha cominciato quando negli studi c’era al massimo il telefono… ho vissuto l’evento senza difficoltà, quasi con gioia… poter scrivere sulla carta.
Aggiungo qualcosa a quanto scritto. L’intelligenza artificiale in campo medico è’ uno sviluppo che certamente interessa la nostra disciplina. Già si parla infatti di una “psichiatria di precisione”, posta all’incrocio fra psichiatria, “medicina di precisione” già debitrice alla IA, farmacologia, genetica. La psichiatria di precisione utilizza fra l’altro algoritmi applicati alle reti neurali (modello informatico delle reti neurali naturali, reali). Ha applicazioni anche nelle terapie.
Il MGH Center for precision psychiatry organizza ripetuti convegni su questo tema. Uno dei nomi – guida è Thomas Insel, già Direttore del NIMH (National Insitute for Mental Health), già propugnatore di una radicale trasformazione del DSM nelle sue varianti. Tom Insel ha ambizioni ben più grosse rispetto a una semplice critica del DSM: propone invece un cambiamento di paradigma, e per comprenderlo è bene riflettere su come finora la psichiatria si è mossa per definire e classificare le turbe psichiche, nonchè il rapporto fra esse e sostrato biologico: identificare – creare insiemi sindromici, clusters di manifestazioni comportamentali ed esperienziali unite fra di loro fondamentalmente dalla frequente coesistenza e/o da una derivabilità psicologica più o meno reciproca.
L’approccio di Tom Insel è diretta conseguenza di due importanti novità che continuano a svilupparsi: la prima è il crescere di una banca dati proveniente dalle neuroscienze, che obbliga a trattarli con più riguardo e rende improprio il definire un disturbo in base ai soli dati psicopatologici, per poi eventualmente cimentarlo con quelli neurobiologici; il cluster dovrebbe fin dall’inizio esser formato dagli uni e dagli altri, e ciò porterebbe a una radicale revisione delle attuali classificazioni. La seconda novità è la disponibilità di tecnologie informatiche che possono consentire il necessario trattamento dei dati in maniera molto più efficace, e non solo a fini classificatori; ad esempio, Insel sta sviluppando algoritmi per identificare i primissimi stadi di disorganizzazione del pensiero. E’ per meglio fruire di questa disponibilità che a sue tempo aveva lasciato il NIMH per Alphabet-Google. In sintesi, non ha messo in discussione un approccio obbiettivante, tutt’altro: ha incoraggiato a rinnovarlo, svilupparlo, portarlo a ulteriori conseguenze.
La psichiatria di precisione si avvale largamente della intelligenza artificiale: la ricaduta operativa più immediata è la maggior capacità di offrire al p. il giusto farmaco alla giusta dose nei tempi giusti, nonché di formulare prognosi dotate di maggior certezza. E’ verosimile che le si voglia affidare anche la formulazione di una diagnosi.
E’ un’ottica che non è quella in cui operiamo, ma con cui si dovranno fare i conti. Una scelta unilaterale di un approccio rischierebbe di perdere le potenzialità dell’altro; ma il loro coesistere o addirittura integrarsi implica notevoli difficoltà metodologiche. Non sembra semplice una divisione dl lavoro, poiché la dimensione relazionale conta nella prescrizione e somministrazione del farmaco e anche nella prognosi. Si parla anche di interventi psicoterapici basati sula IA, ovviamente di tipo cognitivo-comportamentale, e ciò complica ulteriormente il discorso. Staremo a vedere.
Negli ultimi tempi ho provato un po’ a immaginare come sarebbe la vita se l’intelligenza artificiale facesse davvero tutto quello che promette, cioè tutto. Magari anche riprodurre se stesse, ed evolvere, in fondo le creature intelligenti fanno così. se così andasse a noi che resterebbe? mi sono chiesto, e la risposta è stata, potremmo fare a meno del disagio della civiltà , e tornare ad essere quelle beate scimmie, parenti stretti degli scimpanzé tutti dediti a nutrirsi, accoppiarsi e soprattutto bisticciare.
Certo, dipenderemmo in tutto per tutto da degli esseri, gli intelligenti artificiali, che disporranno di noi sulla vita e sulla morte, però…
Resta , alla fine, la frase con cui il collega latino americano collega di Deckart chiude Blade Runner, alla fine di tutto e lanciando un unicorno origami per terra, “ ma ha senso tutto questo?”
Ma forse è una domanda troppo difficile per noi povere intelligenze naturali.