Il cosiddetto effetto Mandela è un interessante fenomeno psicologico. Esso è in grado di illustrare l’estrema complessità della memoria umana e la natura profondamente soggettiva della percezione. Per tal motivo, si tratta di un bias cognitivo che appassiona considerevolmente psicologi e aspiranti tali.
L’effetto Mandela mette in evidenza la necessità di un’approfondita indagine clinica sulla memoria umana, nonché sui suoi schemi di funzionamento. Sottolinea inoltre come occorra sempre tenere in considerazione il contesto sociale e cognitivo nel quale vengono fissati e mantenuti nel tempo i ricordi. Altre denominazioni con cui è noto l’effetto sono false memory, derivata dal termine consuetamente usato per descrivere questo fenomeno nella terapia clinica anglosassone, confabulazione oppure falso ricordo, secondo un vocabolario più informale.
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Che cos’è l’effetto Mandela
Tutte le volte che ci ricordiamo eventi o dettagli storici in maniera diversa da quella in cui avvennero nella realtà, siamo vittime dell’effetto Mandela. Sebbene a qualcuno questa possa apparire come un’evenienza marginale, in realtà non è affatto rara. La discrepanza tra quanto sia effettivamente accaduto e quel che ricordiamo è particolarmente evidente nel caso del più celebre tra i presidenti sudafricani, cui il bias deve il nome.
Numerose persone sono infatti convinte che Nelson Rolihlahla Mandela, l’eroe dell’apartheid, sia deceduto negli anni ’80, il periodo di massima notorietà della sua lotta e di quella del suo partito, l’African National Congress. In realtà, il politico venne eletto presidente del Sudafrica soltanto nel 1994 .Prima era impossibile votare rappresentanti di colore e Mandela si trovava comunque in carcere. Trascorsi ben 27 anni dietro le sbarre, finalmente si candidò e vinse. Nel 1999, tra gli encomi del suo popolo e non solo, si ritirò dalla vita politica. Passò a miglior vita, come si suol dire, il 5 dicembre 2013.
Il fenomeno è naturalmente molto curioso. Non è certo un caso se numerosi ricercatori e appassionati di psicologia ne sono rimasti affascinati. L’effetto Mandela e il suo innesco sono al centro di una vivace discussione sul funzionamento della memoria tra addetti ai lavori e non.
Chi può esserne colpito
Non sembrano esserci legami tra il falso ricordo e il background di una persona. Similmente, esso non parrebbe dovuto a età anagrafica, provenienza o ceto sociale. Non sono neppure mai state osservate caratteristiche demografiche o condizioni psicologiche particolari per favorirne l’insorgenza. Indipendentemente dal proprio livello di istruzione e dalla familiarità con l’argomento, chiunque può incappare nell’effetto Mandela e sbagliare a collocare sulla linea temporale i più svariati eventi: dall’ultima volta che la sua squadra ha vinto lo scudetto all’anno della scoperta dell’America. Attenzione: non si tratta di non sapere quando sia avvenuto qualcosa, bensì di conoscere i fatti ma essere convinti che siano andati in scena in un momento diverso,
Si evidenzia dunque una particolare sfumatura della memoria umana. Essa può registrare qualcosa e tenerlo in archivio a lungo, potenzialmente anche per tutta la vita, ma farlo con una imprecisione marchiana come quella di memorizzarlo in una data errata.
Cause ed effetti
Sulle cause dell’effetto Mandela c’è una ricerca in corso. Nessuno studioso o ricercatore ha ancora compreso appieno il fenomeno. Al massimo, sono state fomulate alcune ipotesi. Quella che va per la maggiore afferma che il falso ricordo sia legato a una moltitudine di fattori sociali e cognitivi. Come tutti sappiamo, la memoria umana elabora e conserva le informazioni nel tempo. Lo fa sia sul breve termine, come quando ci viene lasciato un numero telefonico che dimentichiamo dopo una manciata di secondi, sia sul lungo e lunghissimo periodo, nel caso, ad esempio, delle filastrocche e tabelline apprese a scuola che siamo in grado di recitare anche dopo decenni.
Una svariata serie di fattori può influenzare le porzioni del cervello ove sono collocati i cassetti della memoria. Tra questi indichiamo l’esperienza di vita personale, la suggestione dovuta a stimoli esterni e la mancanza di conferme recepite.
A queste cause seguono naturalmente degli effetti. La persona vittima dell’effetto Mandela può sia limitarsi a provare confusione e incertezza riguardo a dettagli storici del passato, sia arrivare a materializzare una convinzione erronea, e del tutto non aderente alla realtà, del periodo e dell’epoca in cui determinati avvenimenti siano effettivamente avvenuti. Ciò può influenzare anche in maniera seria la percezione della realtà di un individuo.
L’importanza dell’effetto Mandela per la psicologia
In psicologia, l’effetto Mandela riveste notevole importanza. Esso evidenzia quanto la memoria umana sia dinamica, e anche quanto possa essere suscettibile e vulnerabile. Il nostro patrimonio di ricordi non è una cassaforte a tenuta stagna, bensì può essere influenzato, manipolato e tratto in inganno. Le implicazioni sociali e culturali di questa conclusione sono evidenti.
Quanto possiamo fidarci della nostra memoria individuale? E di quella collettiva? Siamo sicuri che tutto ciò che sappiamo sia storicamente accurato? È possibile modificare o addirittura riscrivere la storia agendo su questa vulnerabilità del ricordo? La costruzione falsata di una reminiscenza può riguardare sia eventi secondari riferiti a un avvenimento sia interi episodi. È possibile ricordare, anche in maniera nitida, qualcosa che in realtà non è mai accaduto. Le ramificazioni dell’effetto Mandela sono davvero numerose, e piuttosto articolate.
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