Commento alla notizia Adnkronos
Internet è ormai considerato il mezzo di comunicazione per eccellenza. Viene utilizzato da qualunque fascia di età e in tutte le parti del mondo. L’incredibile espansione di questo potentissimo mezzo è facilmente testimoniata dai dati riportati da “We are social” riferiti all’anno 2016: in Italia si contano oltre 37 milioni di utenti attivi su internet, con un aumento del 6% rispetto all’anno precedente. Sono invece 28 milioni le persone attive sui social media (con un netto aumento di connessione da dispositivi mobili).
Orientando l’attenzione sulle piattaforme social che comprendo sia i social network che i servizi di instant messaging, emerge come Facebook sia lo strumento più utilizzato in Italia (33%), seguito da WhatsApp e Facebook Messanger.
Rispetto al 2015 il numero di utenti internet totali è cresciuto del +10%, così come il numero di utenti attivi sui canali social in particolare per coloro che vi accedono attraverso piattaforme mobili. Parlando di piattaforme social, Facebook è il canale social maggiormente utilizzato seguito da Instagram e Twitter e dai servizi di instant messaging.
I numeri riportati non possono che farci riflettere sul cambiamento che la società attuale sta affrontando e di conseguenza le numerose implicazioni che esso ha in particolare nei giovani. Perché se i numeri appaiono incredibilmente alti una riflessione la merita soprattutto l’utilizzo che ne viene fatto. Alcuni dati in merito alle abitudini di vita dei giovani italiani testimoniano come l’utilizzo della rete a fini “culturali” sia in netta diminuzione per lasciare spazio alla chat e ai messanger. A questo argomento si associa la difficoltà dei genitori, e degli adulti in generale, a stare al passo delle nuove tecnologie perfettamente conosciute dai ragazzi di ogni età e pertanto troppo spesso utilizzate senza alcun controllo possibile e senza alcuna guida che permetta loro di tutelarsi dai possibili rischi.
Parallelamente nascono così le “nuove” patologie connesse ad internet: internet addiction disorder o dipendenza da internet che ad oggi affligge in particolare i ragazzi (ma credo sia solo questione di tempo).
Nell’articolo ci si interroga su quale sia la correlazione tra psicosi e utilizzo di internet: coloro che sono maggiormente predisposti ad una fragilità psichica utilizzano di più internet o è forse internet a creare fragilità? Difficile da dirsi, di ipotesi se ne possono fare molte. Ad oggi quello che posso fare è riflettere su quando ho potuto osservare stando a diretto contatto con adolescenti di età compresa tra i 14 e i 20 anni.
E’ inequivocabile il fatto che per i giovani non possa esistere un mondo senza poter comunicare in modo immediato aprendo un computer o collegandosi con uno smartphone. Questa modalità, raccontano i ragazzi, fa sentire liberi, liberi di conoscere chiunque in ogni momento e ovunque si trovi. Perché internet in qualche modo conferisce a chi lo utilizza un potere senza limiti, una sorta di onnipotenza: grazie alla rete si può fare tutto e lo si può fare subito. Attraverso il filtro della rete si può essere chiunque e nessuno, se stessi o altri senza il limite del dato reale.
Attraverso internet si possono evitare le relazioni “in carne ed ossa”, rifugiandosi in rapporti virtuali, superficiali e bidimensionali. Capita spesso di vedere visi di adolescenti più o meno sorridenti a seconda dei “mi piace” che perfetti sconosciuti hanno cliccato su foto pubblicate o su pensieri scritti sui social network.
Così conoscersi non significa più incontrarsi, parlarsi, frequentarsi ma solo mostrarsi, pubblicare e connettersi. Si perdono le dimensioni del ricordo, dell’attesa, del desiderio che lasciano il posto a contatti rapidi, immediati, superficiali fatti di parole brevi e prive della profondità emotiva tipica della conoscenza “vecchio stile” (come viene definita dai ragazzi). Questo nuovo modo di comunicare, ormai diffusissimo, è ad oggi fisiologico; diventa preoccupante quando si cristallizza diventando l’unica abilità comunicativa.
Gli adolescenti con i quali sono tutti i giorni a contatto nella comunità terapeutica mettono in evidenza come l’utilizzo di internet per socializzare riesca ad evitare loro il rischio di mettersi alla prova, la paura di esporsi in prima persona, il rischio del rifiuto da parte di un coetaneo. Molto più semplice contattare un ragazzo visto a scuola su facebook che utilizzare il tempo dell’intervallo delle lezioni per poterlo conoscere. Ad oggi ci si fidanza sui social network guardando le foto dei profili senza mai essersi incontrati. Questo rappresenta un grandissimo limite alla crescita personale e allo sviluppo di una identità personale solida.
Non essendoci un reale confronto, non sono possibili quegli scarti fra l’immagine di sé e le impressioni che ne rimandano gli altri, esperienza che racchiude un importante potenziale di crescita. Si cresce facendo esperienza ma se queste esperienze sono per la maggior parte prive di un vissuto emotivo esperito attraverso l’incontro con l’altro il rischio di sviluppare patologie o fragilità diventa altissimo.
L’internet addiction disorder divera quindi solo un punto di partenza, una spia di altre possibili patologie. Reale e virtuale non possono essere sovrapposti, possono convivere ma solo se chiaramente connotati. Nella mia esperienza in comunità con adolescenti ho potuto osservare quanto sia difficile insegnare ai ragazzi quanto sia limitante e pericoloso l’utilizzo eccessivo di internet e in particolare dei social network; il nostro lavoro diventa quindi il riuscire a limitare il loro utilizzo introducendo esperienze reali significative.