Nel recente bel convegno sulle REMS se ne sono evidenziate realizzazioni e criticità: la più ricorrente è la difficoltà di far fronte alla crescente mole delle richieste di ammissione.
Il gradito ospite Franco Corleone ne ha tratto spunto per ripresentare la proposta di un radicale cambiamento legislativo: l’abolizione del concetto di non imputabilità per incapacità di intendere e/o volere, introdotto quasi un secolo fa e in altra temperie politica. Egli suggerisce che l’infermo di mente dovrebbe comunque rispondere penalmente del reato, ma gli si offrirebbe la possibilità di scontare la pena non in carcere bensì in ambiente terapeutico.
Sul piano teorico la richiesta ha senso, poiché la non imputabilità si basava su due concezioni non più da noi condivise: la nettissima distinzione fra “sano” e “malato”, e la prevalente valenza punitiva di quello che non a caso si chiama tuttora “pena”. Il sano era considerato libero di scegliere, responsabile e quindi da castigare se sbagliava; il malato, tutto l’opposto e quindi in teoria non punibile, anche se poi di fatto l’OPG aveva tutti i caratteri di una struttura punitiva.
Si ha a che fare qui con i problematici concetti della libertà interiore di scelta e della conseguente responsabilità, e di quello opposto di determinismo psicologico per cui, di fatto, noi non saremmo realmente liberi di scegliere e decidere un certo comportamento: problema che, evidentemente, non riguarda solo il paziente mentale. Lo diceva già Voltaire; e prima di lui già Lutero aveva imposto il concetto di “servo arbitrio” : attribuire all’essere umano libertà di scelta significava negare l’onnipotenza di Dio che solo, col dono della grazia, poteva consentire all’uomo – schiavo del peccato – di fare il bene. Ciò ha attivato una polemica con Erasmo, fautore del libero arbitrio.
Per arrivare più vicino a noi, gli esistenzialisti e pre-esistenzialisti, da Kierkegaard a Sartre, hanno ripreso il tema nel suo rapporto con l’angoscia: quell’angoscia che, è da credere, ripetutamente ci ha fatto rinunciare alla concreta libertà politica.
Chiaramente, il problema è aperto. Comunque siamo parzialmente usciti dalla dialettica colpa – punizione: riconosciamo tuttora la necessità di applicare pene, ma in un’ottica che si può ispirare a Seneca: “non quia peccatum est, sed ne peccetur”.
Per tornare al proposto radicale cambiamento: al di là delle sue motivazioni culturali-ideologiche, sul piano pratico immediato non so se esso risolverebbe davvero il problema dello squilibrio fra richiesta e dotazioni. Ricordo che fin dai tempi degli OPG esisteva una ampia disponibilità dei Magistrati – orientata anche dalla nota sentenza della Suprema Corte – a disporre soluzioni alternative, residenziali o meno, non di rado invitando il Perito a proporne una concretamente praticabile: ma anche allora trovarla non era affatto semplice, e al momento non c’è da pensare che ora le cose sarebbero più facili. Forse anche dopo l’eventuale nuovo approccio incontreremmo dunque un nuovo collo di bottiglia e il riproporsi di nuove ingiuste protratte carcerazioni, stavolta in regola con la legge: miglioramento formale ma non irrilevante rispetto alla non rara attuale possibilità che un paziente riconosciuto incapace resti comunque per un po’ in carcere in attesa di più congrua collocazione. Eventualmente vedremo…
Sicuramente l’aver posto l’accento sulla possibilità di riveder il concetto d’inimputabilità del “folle reo” rimette in discussione l’intera questione sia un piano normativo , ma soprattutto impone una profonda revisione teorica e clinica su cosa possa significare “l’obbligo di cura” sul piano semantico e operativo.
L’introduzione e la diffusione delle ” misure di sicurezza ” ha creato un vorticoso avvicinamento alla concezione asilare del trattamento psichiatrico che si trova anch’esso “sottoposto a misure”.
L’ esperienza della REMS di “Villa Caterina” e la sua “crisi” da cui onestamente si è partiti nella discussione, propone un “modello” : l’esportazione sul territorio e sulle comunità” laiche” del problema della cura-gestione-custodia(applicazione delle misure) del “folle reo” : “scarica barile” ? espansione a macchia d’olio delle responsabiltà ? manicomializzazione dell’intero sistema delle CT nel territorio?’
Sono tutti interrogativi aperti e irrisolti , ma almeno si è riusciti a lanciare il sasso nello stagno, ad aprire il problema , avviare la discussione ; primo importante passo per ogni possibile soluzione.