Tra i principali mali del nostro tempo troviamo le dipendenze. Esse possono essere le più svariate, dalle sostanze stupefacenti al gioco d’azzardo, dalla tecnologia al sesso. Ma ve ne sono anche di meno note, proprio come quella che vogliamo approfondire oggi: la dipendenza da dopamina. Ogni giorno ci ritroviamo letteralmente inondati di stimoli. Questi possono provocare nel nostro cervello il rilascio del neurotrasmettitore endogeno che ci regala una sensazione di benessere nell’immediato ma che, a lungo andare, può causare dolore. Lo spiega molto bene Anna Lembke, psichiatra e docente presso l’Università di Stanford nonché autrice del libro L’era della dopamina, uscito in Italia per Roi Edizioni. Le sue conclusioni saranno evidenziate e discusse nei paragrafi seguenti, ove descriveremo l’influenza che il neurotrasmettitore può avere sulla nostra vita quotidiana.
L’impatto dell’abbondanza
In questa nostra società del tutto e subito, abbiamo a disposizione praticamente qualunque cosa desideriamo e possiamo averla in tempi brevi. Ciò ci ha portato a diventare incontentabili e desiderare sempre di più. Per dirla con le parole di Lembke, ognuno può scegliere la sua droga preferita. Con ogni probabilità, potrà procurarsela in sicurezza visitando il giusto sito internet. Interpellata da Netflix per partecipare al suo documentario The Social Dilemma, incentrato sull’impatto che i social media hanno oggi sulla vita delle persone, la studiosa ha dichiarato:
“Una volta la nostra vita era caratterizzata dalla scarsità. Oggi, invece, trabocca di abbondanza. Questo ha compromesso il fisologico equilibrio tra piacere e dolore che, da sempre, contraddistingue l’esistenza umana. Il rilevante aumento delle dipendenze si deve anche a questo aspetto.”
Secondo il punto di vista della docente, le sostanze e i comportamenti tanto forti da provocare una sensazione di euforia e benessere, i quali sono generalmente legati a dipendenze patologiche come alcol, tabacco, gioco d’azzardo o videogiochi, aumentano il rilascio di dopamina nel circuito specifico del cervello, quello legato alla ricompensa. L’abbondanza che contraddistingue il nostro tempo può mandare in tilt questo canale, sottoponendolo a un sovraffollamento di dopamina. I neuroni, che come sappiamo sono le principali cellule funzionali dell’encefalo, comunicano tra loro all’interno delle sinapsi. Lo fanno attraverso segnali elettrici e neurotrasmettitori. Questi ultimi non agiscono tanto sul raggiungimento della gratificazione in sé, bensì sul desiderio di ottenerla.
Lo sviluppo della dipendenza da dopamina
Quanta più dopamina viene prodotta dal nostro cervello, più sviluppiamo dipendenza da quello che ne causa la produzione. Esperimenti portati avanti in laboratorio, su topi, hanno dimostrato che il cioccolato produce un incremento del 55% dei livelli del neurotrasmettitore. Il sesso li raddoppia. La nicotina li aumenta del 150% e la cocaina addirittura del 225%. Ecco perché disintossicarsi è tanto difficile. Ancor peggio della cocaina è l’anfetamina, contenuta in droghe particolarmente potenti nonché, in scarsa misura, all’interno di medicinali sviluppati per combattere il deficit d’attenzione. Questa sostanza può aumentare la produzione di dopamina fino al 1000%. Di fatto, è come se si raggiungessero 10 orgasmi, allo stesso tempo, ogni volta che si fuma una pipa di metanfetamine.
Il cervello umano elabora piacere e dolore nelle stesse aree neurali. Le due sensazioni, però, si collocano su piatti opposti di una ideale bilancia cerebrale, così da mantenere il nostro centro di controllo sempre lucido ed equilibrato. Possiamo pensare a questo meccanismo come a un’altalena. Essa rimane piatta in condizioni normali. Se però desideriamo qualcosa e lo facciamo ardentemente, il piano dell’oscillazione penderà sempre più verso il lato del piacere e la nostra gratificazione sarà tanto maggiore – una volta che ce lo concederemo – quanto più sarà veloce l’iter per raggiungere quella forte sensazione. Non sembrerebbe esserci nulla di anormale. Desidero qualcosa, lo ottengo, sono felice. Fine. In realtà non è così. L’encefalo, infatti, maltollera le condizioni di squilibrio e desidera tornare in quiete al più presto. Per tal motivo, non attende che l’altalena torni in stallo, bensì la sposta verso la soglia del piacere.
Per banale che possa apparire, l’esempio dell’altalena calza molto. Spostandola sempre più verso l’area del piacere, il cervello asseconda la nostra possibile dipendenza. Se non siamo troppo succubi di essa, lo stesso encefalo si accorge che qualcosa non va e, per rimediare, inizia a desiderare di provare più dolore, per spostare nuovamente verso il centro la collocazione dell’altalena. Il paradosso di questo modo di agire è che, in questa maniera, il nostro centro di comando può controbilanciare una dipendenza da piacere con una da dolore.
La relazione piacere-dolore
A livello cerebrale, dunque, esiste un sistema di controllo (chiamiamolo così, per semplicità) capace di autoregolarsi per rispostare la barra dell’equilibrio (la nostra altalena) verso l’uno o l’altro dei due poli, ogni qual volta questa si sposti. Se però gli stimoli sono troppo forti per essere combattuti, come nel caso di una dipendenza, avversarla si fa troppo complicato e l’encefalo va in tilt. In questo caso, si sforzerà di richiederci stimoli opposti, anche a costo di esagerare. Queste sono le situazioni in cui la dopamina, che solitamente è un neurotrasmettitore positivo e ci fa sentire bene, finisce per causarci dolore.
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