Commento di Anna Maria Gioia
L’ignoto, ciò che non è spiegabile né conosciuto da sempre ci spaventa e ci mette di fronte all’esigenza di trovare risposte. La psicoanalisi per prima e coraggiosamente ha tentato di dare risposta al grande mistero della mente umana e dei fenomeni più primitivi e per questo difficilmente conoscibili. Ha creato un linguaggio e equipaggiato i terapeuti di strumenti mentali che permettessero di avvicinarsi alla mente altrui e di comprenderla. Il mondo autistico , proprio per la sua incomunicabilità, ha da sempre costituito una sfida appassionante spostando il limite di ciò che possiamo comprendere e quindi tentare di curare. I modelli psicoanalitici hanno creato immagini che ci hanno permesso di costruire ponti tra la nostra mente e quella di chi presumiamo di curare. La psicoanalisi ha avuto il pregio di spostare la nostra attenzione sulla delicatissima fase della relazione precoce madre-bambino facendo risalire proprio a essa la nascita dei deficit di relazione, di comunicazione, di sintonizzazione emotiva che hanno così tanta importanza nelle fasi successive della vita e nell’esordio dei disturbi mentali. Si è parlato così di difese autistiche come conseguenza di un deficit di contatto iniziale nella relazione con la madre; i bambini autistici descritti dalla psicoanalisi sono bambini emotivamente e psichicamente impoveriti che hanno bisogno di una “seconda pelle” fatta si sensazioni, rituali, stereotipie, contenimento fisico, senza la quale si smantellerebbero e entrerebbero in contatto con la non-integrazione che caratterizza la loro mente e la mancanza di coesione di sé. Una seconda pelle sensoriale e fisica in mancanza di una seconda pelle mentale che non si è costituita come avrebbe dovuto nella relazione con la mamma. Un mondo interiore dominato dalla sensorialità dove per qualche ragione le sensazioni non sono diventate pensabili. Margaret Mahler descrive una fase autistica nel bambino caratterizzata dal ritiro da mondo e dal ripiegamento su di sé. Con queste teorie la psicanalisi ci ha regalato immagini e casi clinici che hanno arricchito il nostro modo di pensare la mente autistica e di avvicinarsi a essa.
Oggi fortunatamente anche altri strumenti grazie alle neuroscienze e alla ricerca ci vengono in soccorso nell’aprire una finestra sul funzionamento autistico che concretamente possa migliorare la nostra capacità di fare diagnosi precoce e di trattare questo tipo di disturbi. La mappatura dei geni all’origine dell’autismo permetterà forse di fare finalmente chiarezza anche sull’eziologia dei disturbi dello spettro autistico. Sono sempre più evidenti le chiare basi genetiche e biologiche alla base di questo tipo di disturbi che permetteranno forse di assolvere genitori e caregiver. Come tutto ciò che costituisce il nostro bagaglio culturale e tecnico le immagini e gli strumenti psicoanalitici non dovranno essere per questo abbandonati perché continueranno ad essere utili nell’aiutarci a pensare e a comprendere il vissuto e il funzionamento della mente autistica.