A proposito di neurochirurgia nel disturbo ossessivo – compulsivo: traggo una review dal British Journal of Psychiatry (Matthews e coll., 2003, 182; non so se da allora molto sia cambiato)
C’è una letteratura abbastanza vasta anche recente sul ruolo della neurochirurgia nei disturbi mentali, ancora attuata con tecniche molto meno demolitrici nelle forme più gravi, intrattabili e cronicizzate di disturbi depressivi e ossessivo – compulsivi. Vengono descritti miglioramenti, ma prove decisive di efficacia non ve ne sono.
Carenti i follow up; differiscono da uno studio all’altro le popolazioni studiate, le procedure impiegate, le misure di outcome. Queste poi spesso vengono attuate da chi ha proposto o attuato l’intervento, chiaramente non in doppio cieco nè randomizzate, ciò che non è attuabile; ne deriva un inevitabile bias.
In compenso, molto rare le complicazioni operatorie e i successivi cambiamenti di personalità o le compromissioni cognitive.
Gli Autori non hanno obiezioni di principio contro interventi lesivi di circoscritte aree cerebrali per ridurre intollerabili sofferenze mentali: li paragonano ad analoghi interventi nel Parkinson o in sindromi dolorose irriducibili, ritenuti senz’altro tecnicamente ed eticamente leciti.
Ma credo che il nostro approccio non possa essere così semplice: l’intervento sulla mente con mezzi fisici, chimici o meccanici ci trova ambivalenti anche nella prassi psicofarmacologica, e tanto più di fronte a interventi pur sempre (anche se moderatamente) demolitivi, non solo intrusivi e traumatici ma dagli effetti irreversibili.