Già dal termine, si può ben capire che la genesi e l’azione degli psicobiotici correlano la psiche all’azione della categoria più generale dei probiotici. In effetti, più volte è stato provato che cervello e intestino presentano forti correlazioni tra di loro attraverso il processo di somatizzazione, un disturbo che è caratterizzato da una forte presenza di sintomi fisici che causano malesseri e interferiscono con le azioni quotidiane: ovviamente, c’è chi somatizza di più e chi somatizza di meno, ma certamente è noto che nel momento in cui si è fortemente agitati, queste due nostre parti del corpo interagiscono provocando effetti all’apparato gastrointestinale.
Il cross-talk tra cervello e intestino è reso possibile sia attraverso il sistema vagale sia attraverso il circolo sistemico, grazie a metaboliti neurotrasmettitori che vengono prodotti dal microbiota intestinale e ad acidi grassi a catena corta; ma non solo: a livello intestinale, ad esempio, viene assorbito anche il triptofano, che è uno degli amminoacidi essenziali che successivamente viene trasformato in serotonina.
Quando sono utili?
Nella vita di tutti i giorni, ci sono diversi fattori che alterano il nostro microbiota e la sua produzione di metaboliti: stress, ansia, cattiva alimentazione, sono solo degli esempi di ciò a cui il corpo degli esseri umani è soggetto quotidianamente. Per ripristinare il normale funzionamento dell’asse cervello-intestino, si affiancano gli psicobiotici alla normale alimentazione.
I migliori risultati si sono ottenuti attraverso l’approccio multi-ceppo, con la somministrazione di più microbiotici contemporaneamente: in particolare, i ceppi di Lactobacillus helveticus R-52 e il Bifidobacterium longum R175. Tuttavia, ormai è noto che – oltre agli psicobiotici – si può ritenere utile anche l’assunzione di vitamine: in particolare, la vitamina B5 è chiamata in gergo la “vitamina antistress” data la sua funzione regolatrice nelle performance mentali e sul metabolismo energetico.
Gut-brain axis
I batteri che colonizzano il nostro intestino sono in diretto collegamento con il nostro cervello, ricevendo sempre stimoli neuronali; tuttavia, è altrettanto vero il contrario: l’intestino invia – attraverso questa popolazione batterica – sostanze al cervello che sono in grado di agire come dei neurotrasmettitori che influenzano il benessere psicofisico, ma anche i comportamenti di ogni individuo. Di conseguenza, mentre prima si pensava che un comportamento più o meno ansioso, più o meno stressato, derivasse dall’ambiente in cui una persona cresce e si forma, adesso si può dimostrare che tutto è relazionato al tipo di batteri che vive nel nostro microbiota.
Prendendo l’esempio del Toxoplasma gondii: è stato dimostrato che, se si prende questo batterio e si inietta artificialmente in un topo, questo animale cambierà comportamento, diventando addirittura paradossale. Inizierà a manifestare attrazione verso i gatti a discapito della propria incolumità, e questo accade perché il batterio completa il suo ciclo vitale all’interno dell’intestino dei gatti.
Infine, un altro studio condotto dall’Università di Cork, in Irlanda, ha dimostrato che topi in cui alcune specie batteriche si erano stabilite in maniera cronica fossero più propensi a socializzare tra consimili rispetto ad altri topi con quantitativi differenti degli stessi ceppi batterici, sviluppando conseguentemente un comportamento più solitario e con una tendenza minore nella ricerca di compagnia da parte dei propri simili. Tutto ciò ha portato alla nascita di una vera e propria scienza: la psicobiotica, che si occupa di studiare come il microbiota intestinale influenzi in maniera così diretta il nostro cervello.
Quali psicobiotici scegliere?
Ad oggi, ci sono moltissimi psicobiotici in commercio, e recenti studi affermano che questi batteri non si limitano a intervenire per aumentare il benessere psico-fisico, ma influenzano anche l’alimentazione dell’individuo, come ad esempio la scelta di alimenti dolci piuttosto che salati, una certa propensione verso le bevande alcoliche.
Inoltre, altri studi condotti nel 2015 da alcuni ricercatori americani hanno dimostrato che le sensazioni di fame e di sazietà sono correlate ai bisogni dei nostri batteri intestinali: infatti, una volta soddisfatti i bisogni alimentari dei batteri, vengono secrete delle sostanze che inducono il senso di sazietà. In questo modo, studiando più approfonditamente questo tipo di relazione, si potrebbero trovare risvolti cruciali per la cura dell’obesità. Infatti, se si prende come esempio un fungo adattatosi alla nostra flora batteria – la Candida Albicans – esso può diventare un pericoloso agente patogeno nel momento in cui si instaura uno stato di disequilibrio con le altre specie presenti, che induce la proliferazione anomala del fungo stesso.
Dato che la Candida Albicans si nutre di zuccheri semplici, nel caso in cui si sviluppino infezioni legate a questo fungo, l’organo ospite produrrà delle sostanze che stimoleranno l’individuo a consumare più zuccheri; questo, ovviamente, causerà un circolo vizioso che rende difficile controllare le scelte scorrette che si prendono quando si consuma un alimento.
Quindi, un corretto stile di vita e alimentare, misto all’utilizzo di psicobiotici, può realmente essere utile al nostro sistema immunitario e a regolarizzare l’umore.