I traumi, di qualsiasi tipo oppure origine, hanno un impatto molto significativo sulla vita di una persona e causano sintomi come ansia, depressione e/o stress post-traumatico. Fortunatamente, ci sono molte opzioni di trattamento disponibili per combatterne l’effetto deleterio che generalmente hanno sulla quotidianità di chi li subisca. Tra questi segnaliamo la terapia del punto focale, nota anche con il suo nome inglese di brainspotting. In questo articolo, desideriamo esplorare che cosa sia e come funzioni, oltre a evidenziare le ragioni per le quali ci possa aiutare a gestire i sintomi del trauma.
Che cos’è e come funziona il brainspotting
Definiamo brainspotting quella forma di terapia avanzata basata sulla neurobiologia che utilizza il campo visivo per accedere e riprocessare i ricordi traumatici. Di fatto, ricrea le condizioni che hanno originato il trauma, riportando l’individuo a un momento che, per lui o per lei, potrebbe essere terribile da rivivere, ma lo fa con cognizione di causa e un determinato fine. La terapia si va infatti a concentrare sul punto focale dell’esperienza traumatica, noto anche come brainspot, da cui il nome. Queste ben determinate coordinate psichiche sono associate a un’area specifica del cervello e, quando il punto focale viene attivato, diviene attore protagonista nel riprocessare da capo l’esperienza traumatica, in modo però più efficace e con un esito diverso, spesso opposto alla prima volta.
Il brainspotting è una forma di terapia non invasiva. Essa coinvolge l’assistito e lo porta a concentrarsi su un solo punto specifico del campo visivo, mentre il terapeuta segue i movimenti dei suoi occhi con attenzione, al fine di identificare il brainspot. Per strano che possa apparire a un profano, infatti, la lettura del volto, e, in particolare, l’espressione degli occhi, rivelano, meglio di qualsiasi altra cosa, quale sia il punto che fa più male. È lì che bisogna intervenire. Una volta individuato il brainspot, il terapeuta utilizza tecniche di stimolazione bilaterale come luce, suono o, talvolta, tatto, allo scopo di facilitare l’intero riprocessamento dell’esperienza traumatica. Durante la terapia, il paziente può ripercorrere il trauma, tornando a vivere lo stesso disagio, ma in modo controllato e sempre guidato dalla professionalità del terapeuta. Questo processo riduce i sintomi associati all’esperienza traumatica e migliora la funzione cerebrale a essi connessa.
I benefici del brainspotting
Ricorrere al brainspotting riduce, anche in maniere netta, i sintomi associati. Quelli presenti con maggiore frequenza sono i problemi di regolazione emotiva (oltre ai già segnalati ansia, depressione e stress generato dal trauma). Questa terapia, non di rado, aiuta a migliorare la funzione cerebrale e promuove il benessere generale. Per via dell’efficacia di questa terapia, si ricorre a essa con buona frequenza. Riportare l’individuo a un livello di benessere psicologico – che, di conseguenza, è anche fisico – ancor prima che abbia ultimato il recupero dal trauma che lo affligge è un risultato invidiabile. Fronteggiare il disturbo post-traumatico è un compito piuttosto difficile, dal momento che si tratta di una situazione estremamente delicata e profonda. Trovare il modo di affievolirne gli effetti secondari prima di affrontarlo a viso aperto è un vantaggio non sottovalutabile.
Inoltre, il brainspotting si può utilizzare in combinazione con altre forme di terapia, per godere di un trattamento più completo. Non è raro applicarlo in associazione ad altri interventi, tipicamente ben più invasivi, per poter beneficiare dei suoi effetti secondari e dei risultati dell’iter parallelo. Un approccio così mirato all’azione contro fattori scatenanti e risposte ai traumi è un vero e proprio toccasana e riesce a potenziare altre strategie di recupero. Il dottor David Grand, ideatore e promotore di questa terapia, ritiene che le posizioni degli occhi siano fortemente correlate all’attivazione emotiva ed è convinto che saperle individuare possa portare a guarigione e rilascio, attraverso la connessione tra il corpo e la mente.
Perché scegliere questa terapia?
La scienza ritiene il brainspotting un metodo di comprovata efficacia nel trattamento del trauma e dei sintomi ad esso associati e correlati. Numerosi psicologi ritengono che esso abbia la stessa forza della terapia cognitivo-comportamentale nel trattamento del PTSD. Non è raro che le due soluzioni si propongano assieme. Incorporando brainspotting e modalità terapeutiche più tradizionali, i professionisti possono attingere al suo approccio non verbale, orientato principalmente al corpo, al fine di facilitare la guarigione. L’enfasi del brainspotting sulla connessione mente-corpo consente un’elaborazione delle emozioni a livello viscerale, in grado di aggirare le limitazioni della comunicazione verbale. Ciò può essere particolarmente utile per gli individui con disturbi correlati al trauma, i quali spesso faticano a verbalizzare le esperienze traumatiche perché facendolo si troverebbero a rivivere quei momenti per loro tanto terribili.
La stessa terapia del punto focale integra altre tecniche terapeutiche, fornendo un approccio mirato per affrontare specifici fattori emotivi scatenanti. La ricerca supporta l’efficacia della combinazione del brainspotting con altre modalità di intervento. Ad esempio, uno studio pubblicato sul Journal of Traumatic Stress, nel 2019, ha scoperto che la sua integrazione nei protocolli standard di trattamento per i sopravvissuti alla violenza del partner intimo ha ridotto significativamente i sintomi di angoscia e depressione in questi soggetti.