Vaso di Pandora

Tra i neuroni si nasconde il segreto del placebo

Commento all’articolo apparso su La Repubblica

Nella medicina moderna, il termine placebo viene usato per indicare qualsiasi sostanza o terapia medica che può produrre un certo effetto terapeutico che non dipende dalla sua attività biologica.

L’effetto placebo consiste in un cambiamento organico o mentale, in termini di benefici, in un soggetto a causa delle loro aspettative consce o inconsce di guarigione, tramite l’attribuzione di un significato simbolico a un evento o a un determinato oggetto, o sostenza. Per contro, il potere di suggestione del medico può indurre anche un effetto negativo. Ad esempio la comunicazione di una diagnosi di una grave patologia può avere un impatto psicologico drammatico sul paziente inducendo un effetto che viene definito nocebo, in cui le aspettative negative producono un peggioramento del quadro clinico.
L’effetto placebo si presenta con aspetti multiformi e dinamici per cui ogni tentativo di caratterizzare la causa “placebo” in modo univoco ed esauriente risulta facilmente vano. È ormai chiaro, infatti, che il farmaco placebo è solo uno dei tanti fattori che contribuiscono a determinare l’effetto placebo. Si ritiene che una valida interazione medico-paziente sia di estrema importanza perché permette il trasferimento dei pensieri del paziente ad una persona, il medico, alla quale si riconoscono doti scientifiche e capacità professionali come terapeuta.
Sia il medico che il paziente contribuiscono, dunque, all’effetto placebo, ma probabilmente il fattore più importante risiede nella dinamica di interazione tra i due. Gli atteggiamenti del medico e del paziente che creano una valida interrelazione medico-paziente contribuiscono alla produzione dell’effetto placebo.
I meccanismi mediante i quali l’effetto placebo causa una reazione misurabile sono diversi (alcuni ancora misteriosi): dal punto di vista psicologico, alla somministrazione di una sostanza che riteniamo “attiva”, la nostra mente mette in atto molti meccanismi che permettono un effetto reale (un dolore si sopporta meglio, uno stress si riduce…), si chiama aspettativa (ci aspettiamo che una sostanza faccia bene e questo succede, anche se la sostanza non ha un effetto benefico) ma è anche la fisiologia a rispondere all’effetto, l’attesa di un miglioramento causa il rilascio nell’organismo di sostanze che hanno realmente un’azione positiva, prime tra tutte le endorfine ma anche piccolissime quantità di adrenalina (che permette di resistere meglio agli stress) e adenosina (che ha un provato effetto antidolorifico). In generale l’effetto placebo si verifica quando si creano le condizioni ideali che inducono la persona a credere nella propria guarigione o trasformazione.
Nel contesto terapeutico, la relazione medico-paziente è il fattore principale che influenza la credenza del paziente che una data terapia funzionerà. Le parole del medico, la sua comunicazione non verbale e le sue aspettative positive, inducono un potente effetto placebo nel paziente. Si è riscontrato che a parità di trattamento placebo si ha un effetto terapeutico maggiore nel caso in cui il medico adotti una comunicazione empatica che trasmetta fiducia e aspettative positive in merito ai benefici del trattamento eseguito.
Nel campo delle patologie croniche l’effetto placebo è stato maggiormente , e questo fatto ha contribuito a far nascere l’ipotesi, mai confermata empiricamente, che il placebo sia più efficace nei trattamenti cronici.
Il dolore acuto, come quello cronico, rappresenta uno dei sintomi più sensibili al placebo. Boureau ha studiato l’efficacia del placebo, somministrato per via intramuscolare due volte al giorno per 7 giorni, nel controllo del dolore da metastasi ossee. Il placebo è risultato efficace nel 57 % dei soggetti secondo il giudizio del medico e nel 51 % secondo l’autovalutazione dei pazienti. Il miglioramento medio è del 30-40% secondo le scale di autovalutazione e persistette altri 7 giorni oltre il trattamento di una settimana.
La maggior parte delle malattie psichiatriche, dalle psiconevrosi alle depressioni fino alla schizofrenia, rispondono al placebo. Diversi studi dimostrano che la differenza di efficacia tra farmaco e placebo nel trattamento delle depressioni è soltanto del 25% circa. Nei disordini psichiatrici maggiori quali le sindromi maniacali e le schizofrenie la differenza di attività tra psicofarmaco e placebo è invece di circa il 50%.
Ogni autore ha tentato di analizzare il fenomeno del placebo e dell’effetto in base ai propri modelli culturali, privilegiando ora le caratteristiche del placebo, ora le dinamiche del rapporto medico-paziente, ora l’ipotesi di una determinante personologica (placebo responders-non responders).
Collard riconosce, nell’effetto placebo, alcuni fondamentali elementi costitutivi: il farmaco placebo o mezzo, l’operatore o terapeuta, la capacità del paziente di rispondere o di essere refrattario al placebo, l’ambiente nel quale si effettua il trattamento. La relazione che si instaura tra questi elementi, in riferimento alla suggestionabilità del rispondente, conferisce all’effetto placebo la sua vera dimensione.
L’effetto placebo si avvale di un operatore entusiasta e fiducioso dell’atto terapeutico che compie, di un prodotto placebo rappresentato nelle forme e nelle modalità di assunzione di un farmaco attivo, di un paziente desideroso di ricevere il beneficio e cotagiato dalla fiducia che il medico ostenta, di un ambiente simbolicamente significativo (ospedale, centro di ricerca, ambulatorio) con personale serio e specializzato.  I medici che hanno fede nell’efficacia del loro trattamento fan sì che l’entusiasmo sia comunicato, hanno forti speranze di un effetto specifico, sono fiduciosi e speranzosi, e sono i più efficaci nel produrre effetti placebo positivi. La durata del tempo speso con il paziente e l’attenzione professionale del medico e dell’eventuale équipe, sono fattori di grande importanza nel condizionare l’effetto placebo.
La risposta al placebo è fortemente correlata alla fiducia che il paziente nutre nella cura che gli viene prescritta, la quale dipende in larga misura dalla fiducia che egli pone in colui che gliela prescrive.
La sfida della medicina moderna sarà quella di ampliare la sua prospettiva sull’uomo nella sua interezza, considerando la centralità della relazione umana tra il medico e il paziente in cui il potere terapeutico della parola è in grado di risvegliare la forza vitale capace di guarire qualunque malessere.
In base a queste considerazioni e al fatto che nelle Comunità dove io lavoro si faccia riferimento ad un modello bio-psico-sociale, anche noi abbiamo iniziato ad utilizzare la relazione che si instaura con il paziente come modo per intervenire sulla sofferenza che lo stesso ci comunica.
In questo senso, abbiamo riscontrato che l’utilizzo del placebo ha dato e continua a dare risultati soddisfacenti, soprattutto nei pazienti con attitudini farmacofile e tossicodipendenti.
L’utilizzo dell’effetto placebo con i nostri pazienti si è intensificato da circa due anni a questa parte, confermando l’importanza della relazione del paziente con il medico e con l’équipe curante che somministra il farmaco, basata su un rapporto di fiducia senza il quale probabilmente non ci sarebbe alcun effetto positivo.
Utilizzare il placebo permette oltresì di preservare il paziente dagli effetti collaterali derivanti dall’abuso dei farmaci tradizionali, e di lavorare sulla relazione medico-paziente e sul significato che può avere tale relazione all’interno di un percorso terapeutico.
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Commenti su "Tra i neuroni si nasconde il segreto del placebo"

  1. Questo è l’ulteriore prova che persino il farmaco e la sua sommistrazione soprattutto sono atti “relazionali”. Persino la cruda chimica non può prescindere dalla “condivisione” per funzionare al meglio.

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  2. La cosa che mi stupisce positivamente è che il placebo funziona anche nel caso in cui il paziente viene informato che sta assumendo un placebo.

    Rispondi

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