Commento all’articolo apparso su La Repubblica il 13 novembre 2016
Massimo Recalcati aggiunge il suo contributo all’interpretazione della religione da parte dell’ampia famiglia degli psicoanalisti. Egli sostiene che la preghiera può essere un segno e un’espressione di forza, l’atto di chi affronta attivamente la sconfitta e la sventura.
Non entro nel merito di quanto sostiene Recalcati, per quanto trovi interessante la sua opinione, che conferma quanto penso dei suoi studi, soprattutto su argomenti che ha saputo trattare in modo originale, quali la nostalgia del padre e l’elogio del perdono.
Tuttavia ritengo che la preghiera sia semplicemente espressione della fede in Dio.
Allontanandomi dall’opinione particolare di Recalcati e osservando l’insieme un poco più da distante, trovo ci sia animosità negli psicoanalisti nei confronti della religione. Questo non solo nello studio dei grandi autori, ma anche nel modo di esprimersi degli psicoanalisti che conosco, che seppur capaci di sostenere tra loro posizioni conflittuali su svariati argomenti, sembrano trovare un accordo unanime nel giudicare la religione e la chiesa quali esito di un retaggio culturale, d’una regressione difensiva o di un’illusione magica – e assai poco virile – per esorcizzare il dolore e la morte.
Penso che la psicoanalisi abbia una posizione di competizione nei confronti della religione, mi sembra uno di quegli studiosi capaci e promettenti, che usano una certa aggressività per prendere le distanze da strade già battute, uno di quei giovani rampanti e ambiziosi che, prima ancora di esprimere una loro posizione, si definiscono attraverso la rottamazione della posizione degli anziani.
Probabilmente perché anche la psicoanalisi, come la religione, richiede fede.
Costrutti psicologici come Super-Io, Sublimazione o Identificazione Proiettiva sono affatto lontani dall’essere dimostrabili, per credere nella loro esistenza è richiesto appunto un atto di fede. Altre convinzioni, per esempio quella che la madre abbia un seno buono e un seno cattivo, o quella secondo la quale le bambine abbiano – ad un certo punto della loro crescita – invidia del pene, sono convinzioni così contorte da divenire inverosimili. E’ addirittura scientificamente dimostrabile il contrario di quanto sostengono, eppure sono convinzioni dense di significato, per chi è disposto a trascendere dall’evidenza, ossia per chi appunto ha fede.
La psicanalisi, come la religione, si occupa dell’anima, indaga ciò che non vede, cerca una ragione al dolore, sollecita le persone a crescere nella consapevolezza, a diventare migliori, promuove il sollievo. Inoltre alla psicoanalisi, come alla religione, non basta il significato concreto delle parole, usa metafore, invece che parabole, per esplorarne il significato simbolico, in definitiva per rendere plausibile l’inverosimile. Tuttavia gran parte delle metafore degli psicanalisti, come lo stesso Vaso di Pandora, il Complesso di Edipo, quello di Telemaco e il Minotauro sono tratte proprio dalla religione degli antichi greci, che per pudore gli psicanalisti non chiamano religione, ma mito.
Con altro stile, con linguaggio più appropriato e con argomentazione più elevate, la psicoanalisi rischia di essere simile al Regno di Geova, evidenzia le differenze per screditare e affermare le proprie verità.
La medicina biologica e quella basata sulle evidenze hanno da molto tempo preso le distanze dalla stessa psicoanalisi, proprio come dalla religione. Giustamente.
Gli psicoanalisti che interpretano ogni cosa – e anche il mistero – mi annoiano. Traccino la loro strada, si preoccupino della sofferenza delle persone, piuttosto che della loro fede.
La mia è una fede tormentata e inquieta. Credo in Dio, credo nell’uomo e credo anche nella psicoanalisi, ma ai nostri pazienti per fortuna non interessa se siamo credenti, ma solamente se siamo sufficientemente credibili.
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Tuttavia ritengo che la preghiera sia semplicemente espressione della fede in Dio.
Allontanandomi dall’opinione particolare di Recalcati e osservando l’insieme un poco più da distante, trovo ci sia animosità negli psicoanalisti nei confronti della religione. Questo non solo nello studio dei grandi autori, ma anche nel modo di esprimersi degli psicoanalisti che conosco, che seppur capaci di sostenere tra loro posizioni conflittuali su svariati argomenti, sembrano trovare un accordo unanime nel giudicare la religione e la chiesa quali esito di un retaggio culturale, d’una regressione difensiva o di un’illusione magica – e assai poco virile – per esorcizzare il dolore e la morte.
Penso che la psicoanalisi abbia una posizione di competizione nei confronti della religione, mi sembra uno di quegli studiosi capaci e promettenti, che usano una certa aggressività per prendere le distanze da strade già battute, uno di quei giovani rampanti e ambiziosi che, prima ancora di esprimere una loro posizione, si definiscono attraverso la rottamazione della posizione degli anziani.
Probabilmente perché anche la psicoanalisi, come la religione, richiede fede.
Costrutti psicologici come Super-Io, Sublimazione o Identificazione Proiettiva sono affatto lontani dall’essere dimostrabili, per credere nella loro esistenza è richiesto appunto un atto di fede. Altre convinzioni, per esempio quella che la madre abbia un seno buono e un seno cattivo, o quella secondo la quale le bambine abbiano – ad un certo punto della loro crescita – invidia del pene, sono convinzioni così contorte da divenire inverosimili. E’ addirittura scientificamente dimostrabile il contrario di quanto sostengono, eppure sono convinzioni dense di significato, per chi è disposto a trascendere dall’evidenza, ossia per chi appunto ha fede.
La psicanalisi, come la religione, si occupa dell’anima, indaga ciò che non vede, cerca una ragione al dolore, sollecita le persone a crescere nella consapevolezza, a diventare migliori, promuove il sollievo. Inoltre alla psicoanalisi, come alla religione, non basta il significato concreto delle parole, usa metafore, invece che parabole, per esplorarne il significato simbolico, in definitiva per rendere plausibile l’inverosimile. Tuttavia gran parte delle metafore degli psicanalisti, come lo stesso Vaso di Pandora, il Complesso di Edipo, quello di Telemaco e il Minotauro sono tratte proprio dalla religione degli antichi greci, che per pudore gli psicanalisti non chiamano religione, ma mito.
Con altro stile, con linguaggio più appropriato e con argomentazione più elevate, la psicoanalisi rischia di essere simile al Regno di Geova, evidenzia le differenze per screditare e affermare le proprie verità.
La medicina biologica e quella basata sulle evidenze hanno da molto tempo preso le distanze dalla stessa psicoanalisi, proprio come dalla religione. Giustamente.
Gli psicoanalisti che interpretano ogni cosa – e anche il mistero – mi annoiano. Traccino la loro strada, si preoccupino della sofferenza delle persone, piuttosto che della loro fede.
La mia è una fede tormentata e inquieta. Credo in Dio, credo nell’uomo e credo anche nella psicoanalisi, ma ai nostri pazienti per fortuna non interessa se siamo credenti, ma solamente se siamo sufficientemente credibili.
Quando lavoravo al SSM di Voltri fui colpito dalla affermazione di VITO GUIDI che era allora il primario : l’inconscio é come Dio , non é dimostrato che esista.
Mi sembró una affermazione in linea e coerente col personaggio , un vecchio comunista onesto e con poca fantasia.
Ripensandoci mi pare che non sia necessario dimostrare nulla: basta crederci e domandarsi perché si ha bisogno o desiderio di farlo.
Preferisco pensare all’uomo e alla donna credenti prima di tutto come persone di “buona fede” nel senso che credono fermamente nella validità finalistica delle proprie azioni e delle proprie convinzioni, ma col “distacco” sufficiente per non considerare la propria fede infallibile e partendo dal presupposto che la fiducia che riponiamo nelle nostre esperienze e nei nostri pensieri guida la nostra vita di certo, ma non è qualcosa che dovremmo esigere anche dagli altri e per di più non è indicativa necessariamente né dell’esistenza di un’altra realtà, né del funzionamento della psiche umana, in assoluto.