Vaso di Pandora

Riflessioni sul Coronavirus e Centro Diurno Pasquariello

Caro Dott. Narracci,

vorrei condividere con te alcune considerazioni emotive maturate in queste settimane in cui sono stato da solo al Centro.

 

Per solo intendo proprio da solo senza operatori e pazienti.  Ecco intanto non mi sono sentito solo perché queste mura, questo posto è pieno di storia e di storie, che mi fanno compagnia e raccontano il percorso di una vita professionale, non ho mai sgomitato per fare carriera, non ho cercato lustro, mi sento come se fossi una specie di artigiano della cura e il Centro come una bottega, lontano da una visibilità sbrillucicante.
Mi passano nella mente le persone che hanno frequentato, pazienti, ma anche operatori, familiari.  Ricordi disordinati alcuni con un filo che li lega, altri sono dei frammenti singoli, ricordi che stimolano il pensiero, ma anche il pensare, il pensare la cura, anche il semplice (si fa per dire) pensare.
Dai gruppi fatti con Massimo Ammaniti e Manuela Fraire nel 1980 al Gottardo, il primo Centro Diurno aperto a Roma, gruppi kleiniani/bioniani, sperimentali, ma che mi hanno formato nell’approccio alle psicosi (quando la mia mente era ancora elastica e dinamica) fino ad arrivare ai gruppi multifamiliari che hanno, non solo implementato la mia formazione, ma dato una nuova luce al lavoro clinico svolto per una vita. Di gruppi mi sono sempre occupato e continuo ad occuparmene, in quest’ultimo mese mi sono mancati molto sia il gruppo multifamiliare che il gruppo del lunedì, il gruppo aperto a tutti i pazienti del DSM che tenevamo qui al CD.
La sensazione che provo è quella che la parola naturalezza esprime.
Mi fa riflettere il fatto che mi è venuta la parola naturalezza in un contesto così drammatico e per niente naturale. Cosa c’è di naturale in situazione pandemica? Ovviamente sono preoccupato, molto preoccupato per la mia famiglia, per i miei amici e colleghi, penso anche alla figlia di Alessandro nata in questi giorni, in quale mondo vivrà?
Nelle cento e più telefonate fatte in questi giorni ho tratto nutrimento; alcune sono state bellissime, altre meno, alcune divertenti, altre inutili. La maggior parte ha comunque evidenziato un contatto, un legame, è stato possibile, almeno per qualche minuto, stemperare l’angoscia, poter scherzare su cose drammatiche, come la paura di essere contagiati e di morire. Nel tono della voce, nei contenuti si sente quello che è stato costruito negli anni, ci si conosce e anche se si sta al telefono è come se ci si guardasse negli occhi. Una sensazione bellissima che dà senso al lavoro di una vita.
Forse senza questa pandemia non mi sarei accorto di tutto questo e avrei pensato ma che ci viene a fare Maurizio al Centro? A scaldare il divano? Avrei pensato solo alla cronicità, all’inutilità del mio lavoro sui casi difficili che abitano, vegetano nel Centro come un peso. Invece nelle telefonate che fa quasi tutti i giorni, le fa lui più o meno alla stessa ora alla quale veniva al Centro, c’è un senso, un legame, una cura che lui e la sua famiglia hanno ricevuto e che in qualche modo Maurizio vuole restituire a noi. Ci porta dentro di sé.
Una telefonata serena, di saluto, con il padre alle sue spalle che dice forte, “saluta il dottore, Rita, Tiziana”. Tieni conto che molti anni fa il padre di Maurizio ci aveva pedinato per capire cosa facevamo quando uscivamo dal Centro. Ecco proprio adesso alle 8 e 40, un po’ in anticipo ha telefonato.
C’è chi telefona per dirci cosa ha cucinato ieri, che si sente angosciata, ma che ce la fa. Giuliana che aveva un enorme problema ad ingoiare anche l’acqua e che in uno degli ultimi gruppi del lunedì ci aveva raccontato che era riuscita a mangiare qualcosa senza vomitare. L’avevamo aiutata a non avere il terrore di far entrare nel suo corpo, che ha subito violenza terribile, qualcosa di potenzialmente buono.
C’è chi mi risposto dicendomi: “Ma è successo qualcosa?” ed io “No perché? Volevo salutarti sapere come stavi”. “A dottò ce semo sentiti ieri, non ho nulla di nuovo da dirle” e per farmi contento mi racconta quello che ha fatto nelle ultime 24 ore. Povero si sforzava di farsi venire in mente qualcosa.
C’è chi telefona, come Marco, perché era riuscito a connettersi a Skype per fare la lezione per la patente europea per il computer, felice esserci riuscito, con l’aiuto della sorella, anche lei contenta di essere riuscita ad aiutare il fratello. Cosa inimmaginabile prima del coronavirus.
Potrei farti tanti altri esempi del tessuto creato in questi anni, tessuto creato insieme operatori, in primis Rita e Tiziana, ma anche in modo significativo dagli operatori della Cooperativa. Ma il mio pensiero va anche alle persone che sono andati via nel corso degli anni.
Ho imparato che è molto importante conservare la memoria di chi è andato via da un posto, anche se la sua presenza sembrava poco rilevante, se non addirittura nociva. Penso anche a loro ad Ornella a Luisa, ma anche ad un infermiere che è stato da noi solo un giorno, perché Arturo a freddo, senza un comprensibile motivo, gli ha sputato dentro un occhio. Contestualmente si è trasferito al reparto di cardiologia del Pertini. Erano gli anni in cui Arturo cercava di fare a botte con tutti i maschi che entravano al Centro, pazienti ed operatori.
La naturalezza citata nelle righe precedenti riguarda anche gli operatori della cooperativa. I gruppi, su varie piattaforme, stanno funzionando molto bene e sono un punto di riferimento importante per gli utenti, tra l’altro si sono aggiunti ai gruppi anche alcuni utenti che non frequentavano dal vivo, quindi non solo funzionano, ma sono capaci di aggregare altri utenti. Anziché scoraggiarsi e farsi travolgere dalle difficoltà gli operatori hanno fatto rete.
Naturalezza anche perché è stato naturale attivarli, come se si fossero sempre fatti, gruppi includenti (da non confondere per assonanza a inconcludenti, ironizzando possiamo dire un buon esempio di buona sanità?).
I gruppi attivi sono quelli di foto-video, creo-lab, patente europea computer e attività cinofila. Sono rimasti fuori da questa organizzazione il gruppo di disegno e quello di archeologia. Non abbiamo in ogni caso smesso di pensare a come attivarli, ma solamente se troviamo un modo utile per operatori ed utenti, ovvero non stiamo facendo cose di facciata (non funzionerebbero) ma utili a far crescere il gruppo e a prenderci cura degli utenti ed operatori. N
Non a caso scrivo operatori ed utenti, perché non dobbiamo trascurare quanto sia importante pure per gli operatori dare continuità della cura, in un momento in cui la morte e una crisi mondiale dominano, non solo un immaginario collettivo, ma la vita reale. È importante sapere che quello che facciamo aiuta i pazienti e questo attiva un circolo virtuoso, aiuta quindi anche noi, i nostri gesti, i nostri pensieri curano e ci curano.
Alcuni pazienti esperti svolgevano una funzione di supporto agli operatori e si occupavano di fare loro da tutor ad altri pazienti. Questa funzione continua ad essere svolta anche online, sono di supporto al tecnico e partecipano attivamente agli incontri.
Venendo all’organizzazione del lavoro del Centro Diurno continuiamo a non vedere i pazienti.
Avevamo dato disponibilità ad accogliere nel Centro, con il massimo delle cautele, situazioni che potrebbero essere difficili da gestire telefonicamente. Finora non si è verificata nessuna situazione eviterei di continuare a dare tale disponibilità, per ovvi motivi, non ce ne è proprio bisogno, ad es Arturo ha aumentato il numero di pallottole che sente ruotare intorno a sé “ma è in grado di gestire i propri genitori” mantenendo adeguate ed opportune distanze. Ovviamente non sto parlando della distanza fisica, bensì del tenere a bada i risentimenti, il terrore che li abitava anni fa. È lui ad aver trovato una soluzione alla convivenza forzata. Arturo si è organizzato con letture di libri, riviste e film in TV, con un interesse marcato per temi di guerre.
Le pallottole continuano ad essere percepite, ma è come se si fossero oggettificate e diventate reali: sono nei libri o nei film in tv, ma non indirizzate a lui e/o ai familiari. Almeno così mi fa piacere pensare, confortato da quanto ogni giorno mi raccontano i genitori al telefono.
Alcuni pazienti li sentiamo giornalmente, altri con minore frequenza, in base al bisogno. Anche loro telefonano.
Sono molto contento dell’umanità che sto condividendo con i pazienti. Non ci sono mai state telefonate così vere autentiche, così semplici ma profonde, prive di fronzoli inutili e sono felice delle emozioni che i pazienti mi esprimono con il loro linguaggio, che è un linguaggio che ho imparato a rispettare conoscere, forse proprio perché lo rispetto.
Perdonate se dico una cosa ovvia ma importante, le parole sono importanti, il linguaggio è importante, spesso è condiviso, ci si capisce, sappiamo di cosa stiamo parlando, altre volte e codici sono diversi e non ci si capisce d’acchitto.  Io so, forse semplicemente immagino, cosa sia il dolore e so anche, forse per delle coincidenze, che io sono stato più fortunato dei pazienti, perché ho potuto utilizzarlo come uno strumento di lavoro, perché ho imparato una lingua che non tutti conoscono.
L’ho imparata studiando, facendo diverse centinaia ore di analisi, facendo formazione, ma anche piangendo, soffrendo, ridendo e provando gioia. L’ho imparata ascoltando e stando in silenzio, sapendo però che potrò impararla senza conoscere a fondo la grammatica in tutte le sue sfumature.
In queste telefonate semplici c’è un mondo che la sofferenza e il dolore non ha distrutto, anzi paradossalmente a volte ha arricchito, ma lo devi saper ascoltare, devi saper tacere, devi esserci e loro lo sentono se tu ci sei anche da un respiro, da una pausa. Devi saper tacere paradossalmente anche all’interno di una telefonata senza quindi il supporto degli sguardi, della mimica. È un problema di misura, di tempistica che richiede molta attenzione, richiede di esserci per davvero, di sentire cosa ci dice l’altro, forse semplicemente di sentire.
Per restare nell’ambito della bottega è come quando uno scultore da una pietra riesce ad immaginare l’anima che quella pietra contiene e la tira fori perché sa dove cercarla, dove sui nasconde, la sente.
Anni fa casualmente ho conosciuto uno scultore sardo, (morto nel 2016) Pinuccio Sciola famoso per le sue pietre sonore. Le pietre hanno una “memoria”, di acqua (quelle calcaree) o di fuoco (quelle vulcaniche) e lui sapeva farle suonare, tirava fuori dei suoni meravigliosi.
Ho avuto la fortuna di conoscerlo e di provare a suonare le sue sculture a Berchidda, in Sardegna. Si provare a suonare, perché affinché suonino non bisogna toccarle, ma sfiorarle, ma non basta, la mano deve essere ad una certa distanza, bastano pochi centimetri di più o di meno e non emettono alcun suono.Serve esperienza, competenza e delicatezza. Mi sembra una metafora perfetta per in nostro lavoro.Ho avuto anche la fortuna di sentirlo suonare a Roma in un concerto con una pianista jazz Rita Marcotulli, pianoforte e pietre sonore.Una sua scultura sta a Roma, alla Cartiera dove abbiamo tenuto EXPO a maggio 2019.
Ascoltando i pazienti e loro telefonate, no no no non le loro telefonate, le nostre telefonate fatte di chiacchiere e di silenzi. Anche i silenzi vanno ascoltati perché non sempre sono carichi d’angoscia, non sempre.  A volte serve stare in silenzio, il silenzio, se lo ascolta dice tante cose. Un silenzio partecipato e condiviso. Mi è tornato in mente “Una solitudine molto rumorosa”, un meraviglioso libro.
Ho scritto di istinto e senza pensare a quello che scrivevo, rispondendo a diverse telefonate dalla nostra bottega.
Lo so servono linee guida, orientamenti clinici per fronteggiare l’emergenza e l’Azienda ce ne ha forniti, si è prodigata di attivare risposte, è presente per i pazienti e per gli operatori. Ovviamente anche io ne tengo conto e non solo ringrazio i colleghi per il tempestivo prodigarsi, ma partecipo attivamente alla consulenza psicologica telefonica dedicata agli utenti e ai colleghi.
Però credo che serva anche ascoltarci e condividere dei pensieri in momenti così difficili.
Scusa il tono confidenziale e spero di averti dato un report sufficientemente esaustivo e degli spunti su cui riflettere quando dovremo mettere le pezze a questa complessa e difficile emergenza. Spero che il titolo di un romanzo di Peter Cameron letto molti anni fa “Un giorno questo dolore ti sarà utile” sia in qualche modo profetico.
PS. Questi giorni sono stato da solo, spesso siamo stati soli, anche se con i pazienti.
Tutti questi pensieri, considerazioni, emozioni sono il frutto del lavoro fatto insieme nel corso degli anni con Rita Cerquitella e Tiziana Petrocchi.
Abbiamo discusso, litigato, condiviso, abbiamo passato momenti difficili e duri, ma abbiamo sempre avuto rispetto delle differenze, ma anche delle competenze di ciascuno, abbiamo urlato, pianto, ma anche riso e ci siamo entusiasmati, abbiamo gioito.
In questo mese siamo stati lontani fisicamente ma vicini nei pensieri, nelle preoccupazioni e nelle piccole gioie, quelle descritte in questo testo.
Siamo stati molto uniti come si fa in tempi di Coronavirus, a distanza di sicurezza senza abbracciarsi.Senza i loro cazziatoni e senza i loro abbracci non avrei potuto fare e non avremmo potuto fare con passione il nostro lavoro. Loro sono anima e corpo di questo lavoro e quindi tutta la mia gratitudine per avermi sopportato in tutte le mie mancanze.
Grazie anche a Alessandra, Barbara, Claudia, Ernesta, Gianni, Luisa, Maria, Maria Teresa, Stefano che da anni conducono i laboratori con molta competenza ed umanità, una qualità mai sottolineata abbastanza e che sono stati capaci anche loro di riciclarsi e di non smettere mai di interagire con gli utenti. Infine a Chiara che ha dovuto interrompere prima del tempo un bel tirocinio.
…e a tutti i pazienti che dal 1980 hanno cercato di rendermi migliore, bhe loro ci hanno provato.

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Commenti su "Riflessioni sul Coronavirus e Centro Diurno Pasquariello"

  1. Mi è piaciuto molto il report di Fabio Candidi, un racconto dove compaiono personaggi reali e storie vissute che chi ha trascorso gran parte della vita accanto a pazienti e operatori lavorando soprattutto insieme ,riconosce e ricorda per quanto fanno parte davvero di quel che è diventato e forse di come vive e affronta …anche le emergenze .

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  2. Bello, profondo, vero ….mi ci sono ritrovata perché la cura è fatti di gesti e parole lievi, di condivisione di comprensione….è un privilegio per me fare questo lavoro carico di dolore ma anche di bellezza e di umanità profonda. Grazie Fabio e grazie di esistere a tutte quelle persone, utenti ed operatori, che fanno di questo incontro quotidiano una esperienza di significato umano.

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  3. Grazie per aver condiviso “a voce alta” quello che questi giorni si trovano ad affrontare gli operatori della salute mentale.
    Di pallottole che fischiano ce ne sono state, ce ne sono e ce ne saranno, ma schivarle per proteggere qualcosa o qualcuno è ben diverso. Se la paura protegge, per assurdo, fa meno paura.

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  4. Caro Fabio, ti ringrazio per la condivisione che hai voluto fare anche con me. Il tuo racconto trasmette tutta la passione e le emozioni che provi e che di riflesso hai fatto provare a me che ho letto, cercando di immedesimarmi in te. È una bella pagina di vita. Grazie ancora. Un abbraccio.

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  5. Che dire… nella situazione assurda che stiamo vivendo proviamo spesso a pensare a come certe situazioni “difficili vengano gestite” ma ce ne vengono in mente solo una minima parte. Le riflessioni che hai voluto condividere con noi figlie di una distanza sociale forzata nel fisico ma impossibile nella mente sono la forza del genere umano! La dedizione la forza la gentilezza il rispetto la voglia di integrare di far sentire vivi il porgere una mano nei confronti degli altri fanno di te la persona speciale che sei. Quarant’anni di ascolto sono una enormità e non oso immaginare l’impegno gli ostacoli le parole che hai dovuto incontrare, gli scudi che hai dovuto alzare, le corde che hai dovuto tagliare, i bocconi amari che hai dovuto ingoiare. Ma quando si da si riceve e tutto diventa sopportabile e passa in ultimo piano e diventa irrisorio rispetto alla tangibilità della somma tirata. Grazie di esserti messo a disposizione degli “ALTRI”

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  6. Beh, che dire, pur non avendoci mai messo piede, mi sembra di conoscere il tuo centro da una vita…. Come sai faccio tutt’altro tipo di professione, sempre di medico, ma un medico del corpo che per fortuna ha imparato da una madre professoressa e un padre psicologo clinico l’inscindibilità della psiche dal corpo e il ruolo insuperabile dell’educazione terapeutica – la maieutica direbbe Socrate – nella gestione delle patologie croniche.
    Ho avuto ora la fortuna di leggere il tuo post. Meraviglioso. Perché certe sensibilità non le trovi facilmente nel mondo d’oggi, nascoste fra le pieghe di un carattere schivo ma al tempo stesso desideroso intimamente di abbracci.
    Quante volte anche io senza volere ti ho dato riposte brusche, per affetto, ovviamente, ma anche per evitare che la tua sensibilità di lasciasse affondare quando dovevi solo dare un colpo di reni per continuare a nuotare come sapevi, alla grande. L’ho fatto d’istinto, come può indicare il buon senso, non sapendolo fare professionalmente come te, e se ti ho fatto male mi scuso, era a fin di bene.
    Certo che è bellissimo quel tuo passaggio sul silenzio e sul suono delle pietre di Pinuccio Sciola, di cui voglio fare tesoro: “Devi saper tacere paradossalmente anche all’interno di una telefonata senza quindi il supporto degli sguardi, della mimica. È un problema di misura, di tempistica che richiede molta attenzione, richiede di esserci per davvero, di sentire cosa ci dice l’altro, forse semplicemente di sentire.”
    Che dire? Se non hai ancora messo nero su bianco in un libro questo tuo modo infinitamente poetico d sentire, è ora che lo faccia. Non serve certo a fare diritti d’autore, non serve a guadagnare fama e notorietà, che non mi sembrano affatto un orizzonte tipico del tuo modo di essere e sentire il mondo. Però aiuterebbe tanta gente che già segui a sentirsi parte di un grande progetto di vita, aiuterebbe tanti ragazzi indecisi su quale strada seguire da “grandi” ad abbracciare una professione di cui non conoscono i risvolti benefici ma della quale a mala pena intravedono solo quelli freddamente terapeutici e alla fine, aiuterebbe pure te a fissare senza ingabbiarli dei sentimenti che fanno parte di te ma che, se “oggettivati” dalla narrazione, sembrano più concreti di quanto già siano come parte integrante del tuo essere uomo, in grado di permeare e guidare ogni tuo gesto!
    Grazie Fabio, ora mi sembra di conoscerti un po’ di più ma soprattutto ora ti voglio anche più bene….

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  7. Buongiorno Professor Candidi. Innanzitutto la ringrazio della sua considerazione. Io vorrei dirle che quando l ho conosciuta è stato proprio lì nel suo centro diurno. Con lei ho avuto la possibilità di conoscere la parte umana dell’operatore clinico, una parte che raramente risalta. Io con le sue conoscenze e con il suo modo di lavorare con i pazienti, ho imparato a non esercitare in primis le pratiche cliniche che i libri ci insegnano, ma a utilizzare in primis il mio bagaglio esperienziale. Le voglio dire che lei è una persona straordinaria e il suo modo di relazionare con il pz credo che sia davvero Terapeutico. Le auguro di passare una buona pasqua con la dua famiglia. A presto.

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  8. Caro Fabio,
    Grazie per aver fatto questo sforzo di traduzione in parole piene di anima, come sempre sono le tue, di questo flusso di vissuti, questo “sciame” di micro eventi quotidiani. Dinanzi ai quali restiamo perplessi, quando non angosciati, perché non riusciamo a incasellarli nei registri usuali dell’esperienza.
    Mi riferisco non tanto all’impatto su di noi e sulle nostre famiglie, ma proprio allo scarto che credo tutti abbiamo vissuto in questi giorni, nel rapporto con coloro che “assistiamo”. Che molti di noi si sono limitati a registrare, più o meno distrattamente, senza trovare la concentrazione per lasciarne un traccia scritta. E che tu hai saputo descrivere loro sua essenza “poetica”, e nelle quali ci riconosciamo, ri-creando ancora una volta “comunità”…
    Dicevo propri ieri ad Andrea Narracci quanto fosse stato profetico, in tempi non sospetti, nell’invitarci a riflettere sulla “solitudine dell’operatore”…
    Ti lascio con una citazione del poeta Rainer Maria Rilke, che potrebbe essere un’epigrafe a quanto hai scritto.
    “Se arriverà un angelo,
    sarà perché lo avete convinto,
    non con le lacrime,
    ma con la vostra umile determinazione
    a essere sempre
    un principiante”

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  9. Caro Fabio, dopo aver letto le tue parole, ho perso qualche ora di sonno e guadagnato uno spazio di pensiero ricco di personaggi che abitano la tua “bottega”. Le loro storie sanno mescolarsi a quelle degli operatori, e ci ricordano che i confini sono difese piene di porte aperte all’occorrenza, necessarie alla reciprocità. Il Centro Pasquariello, accoglie senza pretese di cura, e accudisce le differenze. In questo momento penso a quante volte le pallottole di cui parli, e le bombe di mortaio, sono diventate diamanti e doni preziosi. Li custodisco con dedizione.

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  10. Grazie Fabio di aver condiviso con me (noi) i tuoi pensieri nei quali riconosco il grande lavoro ma soprattutto la grande dedizione e vicinanza all’altro che ho conosciuto personalmente durante la nostra collaborazione teatrale. Ho pensato spesso a tutti i pazienti, ai re, alle regine, alle streghe, alle Ofelia, agli Otelli, e in questo momento così difficile per tutti, sapere che che hanno un riferimento solido e profondo mi riempie il cuore. Gentilezza, ascolto, silenzio condiviso e significativo. Grazie

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  11. Grazie di questi pensieri della tua bontà, del tuo partecipare ai nostri affanni, di esserci sempre stato quando con una telefonata all’ultimo momento chiedevo aiuto, delle tue incazzature che più di ogni altra cosa mi hanno aiutato a riflettere sulla mia situazione a guardarla dall’alto e da un’altra inquadratura.
    Grazie di cuore

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  12. Caro Fabio, le nostre botteghe si sono incrociate e in parte continuano a farlo. Abbiamo lavorato insieme ognuno a partire da quel po’ che sapeva fare, ognuno mettendo il tempo e la passione che poteva. Io mi sono sempre chiesto come facciate, di quale profonda resilienza siate portatori per riuscire ad andare là dove pochi riuscirebbero o vorrebbero stare, specie quando cadono le illusioni e rimane solo il duro lavoro. Come si può tornare a casa dopo certe giornate e riuscire a sorridere senza pesare sugli altri, o quant’è bello condividere i successi – non i propri – ma delle persone delle quali ci si “prende cura”. Se penso a te, alle tue colleghe, agli utenti che ho avuto la fortuna di conoscere e con cui ho condiviso un pezzo di vita… ecco penso a quanto siate necessari e a quanto siate troppo spesso invisibili. Eppure continuate a mettere le vostre forze e la vostra resilienza sul piatto della bilancia, consci che se non sempre si vince, di sicuro senza di voi molti di più sarebbero inevitabilmente persi. Siete la necessità invisibile a cui pochi pensano ma che non per questo è meno indispensabile. Siete quelli che comunque ci provano anche quando tenere le distanze è necessario come in questo periodo. E allora prendetevi i vostri meriti e i riconoscimenti e fatene benzina. Perchè mai come oggi ne avrete bisogno. Un grande abbraccio, un amico.

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  13. Ho intravisto in queste righe ciò che già sapevo…
    Ho la fortuna di “viverti” nel quotidiano, seppur non spesso, e quindi di palpare con mano e personalmente le tue virtù (anche qualche difetto, sia chiaro!).
    Conosco la tua dedizione verso i pazienti e conosco la sensibilità ed affabilità con cui ti relazioni con gli altri.
    Mi hai nutrito affettivamente e “culturalmente” (consigli per gli acquisti di tipo letterario, poesie, lunghe sedute e numerosi brani Jazz ascoltati in qualsiasi luogo, dal divano di casa alla macchina diretti in stazione…).
    Da ottimo chef, mi hai nutrito anche fisicamente con le tue “ricette”.
    Ma soprattutto, al momento giusto, quello in cui agire era diventato necessario, non prima e non dopo (“È un problema di misura, di tempistica che richiede molta attenzione, richiede di esserci per davvero, di sentire cosa ci dice l’altro”, si rischia altrimenti di non riuscire a fornire un aiuto ma anzi ottenere un rigetto, aggiungerei) mi hai aiutato a trovare la strada per tenere a bada ansie e paure!
    Un consiglio sussurrato quasi con difficoltà e paura di ferire da me, invece, immediatamente recepito ed apprezzato allora e soprattutto ora che i problemi si sono via via diradati fino a scomparire donandomi nuove consapevolezze e rafforzandomi.
    Competenza e sensibilità non sempre coesistono, per questo, probabilmente, sei l’uomo giusto nel posto giusto.
    Potrei dirtele personalmente queste cose e d’altronde già lo faccio ma mi fa piacere unirmi alla schiera degli “ammirati”!

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  14. Carissimo Fabio,
    grazie per aver condiviso queste tue osservazione.
    Come sai, io mi occupo di arte e, soprattutto, di artisti con vissuti di disagio, attribuendo a questo termine tutte le dilatazioni di senso che desideri.
    Tutte le mie attività in questo periodo sono saltate. Niente atelier Belloaperto a Palazzo Ducale di Mn. Niente laboratorio progettato per il C.R.A. di Mantova.
    Saltata la mostra di Salvatore Accolla che dovevo curare a Bergamo (…) e poi a Romano (…).
    Saltata la installazione di mapping architetturale che dovevo realizzare con Enzo Gentile in occasione della giornata sull’Autismo.
    Saltati i laboratori in carcere che con gli studenti dell’Accademia di belle Arti di Verona avrei dovuto iniziare alla Casa circondariale di Montorio proprio quando sono iniziate le restrizioni di movimento.
    Insomma, tutto, all’ improvviso, è diventato impossibile…
    Che dirti? Mi piace il silenzio, la solitudine, la possibilità di raccogliersi in se stessi. Se non ci fosse il dolore di chi da questa pandemia è stato colpito negli affetti, la disperazione di chi scivola nell’ indigenza, la consapevolezza di come male abbiamo ridotto questa terra che ci accoglie, direi che questo periodo surreale mi piace, mi è congeniale. Un momento, finalmente, di silenzio e di vuoto: due categorie di cui, stupidamente, abbiamo paura. In questa “epochè’ forse possiamo perfino realizzare che un mondo diverso possa essere possibile.
    Come ben descrivi tu, i rapporti veri nemmeno in questo isolamento si perdono, anzi possono anche diventare più intensi.
    Ecco, per me questo è un periodo di grande speranza.
    Come dimostrano le tue considerazioni, il ritorno là fuori si annuncia pieno di entusiasmo, carico di energia e mosso da una nuova consapevolezza.
    La tua esperienza dimostra tutto il bello che si può trovare anche laddove sembra che ci sia solo ” mancanza”.
    Buona Pasqua!

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  15. caro Fabio mi piace partecipare a questa tua “naturalezza” con il link per rivedere il film protagonista di quel racconto che ami ripetere riguardo al mio corso di cinema, su quella volta che durante una lezione a via Botta con il gruppo ti ritrovasti di fronte ad un documentario improbabile, da cui scaturì una bella discussione a sorpresa. quel film era “in Purgatorio” e adesso è visibile on line grazie ad una delle iniziative di streaming gratuito che sono fiorite in questo periodo. eccolo:
    http://www.postmodernissimo.com/films/in-purgatorio/
    un abbraccio,
    sergio

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  16. Caro Fabio,
    leggerti mi ha fatto tornare immagini, sentire odori, rievocare colori e luci, rieccheggiare voci, che ho scoperto essere ancora così vivi nella mia mente. Sono passati tanti anni, temo più di venti, da quando frequentavo il Centro da specializzanda prima, da operatore poi. Eppure, il tuo racconto delle relazioni, degli operatori, dei pazienti, del clima che si respira, mi ha improvvisamente e vorticosamente riportata in quel appartamento. Ho rivisto non solo Arturo, Maurizio e gli altri, ma anche risentito la tua umanità e sensibilità… Grazie!!! Chiara

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    • Caro Fabio, le tue riflessioni su questo periodo così tragico della nostra storia sono state così naturali… che nel leggerle, ti vedevo seduto nella tua stanza mentre facevi tutto quello che hai descritto. Mi vedevo lì al centro come sdoppiato… tanti… Tantissimi ricordi sono riemersi, e mi sono rivista tirocinante, poi operatore e con il mio pancione quando aspettavo Giacomo… Mio Dio!… Quanto tempo è passato. Grazie per tutti i bei ricordi che le tue parole hanno ritirato fuori e ti prometto che dopo che tutto questo sarà solo un brutto ricordo, verrò a trovarvi al CD. Vista l’ora Buona Pasqua.

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  17. Grazie per questo scorcio di vita professionale ed umana. Leggendolo ti immaginavo al Centro parlando al telefono, come un antenna pronta a sintonizzarsi e risignificare le relazioni in questo periodo difficile per tutti. Mi ritrovo quando scrivi che “non ci sono mai state telefonate così vere autentiche, così semplici ma profonde, prive di fronzoli” . Ti ringrazio perché, facendolo tu per primo, mi ricordi e mi insegni quanto é importante e benefico resocontare-raccontare/si per trovare-ritrovare senso nelle esperienze e nelle relazioni.
    Un caro saluto

    Rispondi
  18. Caro Fabio grazie, grazie per questa delicata ma potente testimonianza di come questo momento stia funzionando come uno spazio di elaborazione individuale e collettiva e di come i nostri colleghi e i nostri pazienti stanno tutti collaborando a loro modo per mettere a frutto tutte le esperienze del passato e riscrivere insieme nuovi modi di lavorare e trovare risorse e significati fuori da ogni meccanicita’ e automatismo.
    Perche’ a partire da questa sospensione c’e’ proprio l’opportunita’ preziosa di una riflessione profonda su chi siamo e cosa stiamo facendo e c’e’ uno spazio nuovo da scrivere per il futuro, tutti insieme, piu’ essenziali, piu’ attenti alle cose importanti, piu’ solidi e piu’ solidali, come comunita’ professionale e umana. Un abbraccio. Elisabetta

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  19. Fabio ha una grandissima umanità ed una dedizione al prossimo e ai suoi pazienti del centro veramente encomiabile.
    “Anche i silenzi vanno ascoltati…”
    Una frase che fa riflettere!
    Caro Fabio, la tua passione si trasmette agli altri anche in un momento di silenzio.
    Continua così e grazie per tutto quello che fai.

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  20. La naturalezza di cui parli è la stessa con cui accogli chiunque entri al Pasquariello. La percezione che ho avuto in questi mesi è stata quella di trovarmi in un posto sicuro. Un posto in cui non dovermi preoccupare di avere paura. La stessa paura che caratterizza questo momento storico e che, per alcuni istanti, riesce ad essere contenuta attraverso il contatto con l’altro. Penso che sia fondamentale sentire che siamo nella mente di un altro. E questo viene percepito anche quando quella persona si trova all’altro capo del telefono. Grazie Fabio.

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  21. Non mi sorprende questa lunga riflessione di Fabio. Chi lo conosce sa quanto sia capace di sintonizzarsi con l’altrui anima e quanto ancor più sappia tenere dentro di sé, e farle germogliare, tutte le emozioni che riempiono le vite di ciascuno di noi. Anche gli scatti con cui coglie, attraverso la macchina fotografica, la realtà che lo circonda, racconta il suo sguardo.Non conosco, se non in modo sommario, il lavoro degli operatori di salute mentale. Da questo resoconto si intravvedono le grandi difficoltà che solo una completa dedizione, un crederci, permettono di superare. Certamente un sorriso, un ostacolo riconosciuto e magari superato, da parte anche di un solo paziente, devono essere raggi di sole.

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  22. Grazie Carmen per questa bella , reale opportunita’
    Grazie a Fabio e agli altri che hanno commentato
    E’possibile in/Formare ogni cittadino a vivere a zero paranoie e quindi relazioni a violenza zero
    Delinquente per questa societa’ ove inperversa la sofferenza proprio per ignoranza degli stessi Operatori
    Il 97 per cento degli psichiatri non crede nella guarigione dei propri pazienti
    E’ logico nella pazzia di non differenziare la cura dalla guarigione
    Nonostante tanti corsi di formazione nazionali e non se non si’ e’ autodidatti per disperazione
    La pelle la si puo’ perdere in ogni istante del ciclo vitale
    Senza integrazione di percorsi delle c.d.scienze religiose e di quelle c.d.umane
    Imperversa il fanatismo negli stessi operatori, prime vittime e poi carnefici
    Non dovremo dormire la notte
    S.OS.Nessuno e’ in pace con se’ stesso e con gli altri
    Che queste Ri…flessioni siano un Se/me per una grande Campagna/Progetto
    Differenziare l’illusoria se non allucinatoria personalita’, imprigionante, dalla Reale Identita’ che sola puo’ liberare , prima gli Operatori
    Ergo I pazienti a loro volta test/a/nti
    Respiro meglio
    Sono curioso di visitare il Centro

    Rispondi
  23. Caro Fabio,
    Ti ringrazio di avermi ammesso a condividere la tua esperienza.
    Abbiamo spesso parlato di nostre passioni comuni (il jazz in primis) ma ora so che per anni abbiamo affrontato senza conoscerci gli stessi problemi.
    Lavoro in un Centro Diurno dall’85 (mi chiamo’ Giorgio Schirripa che tanto fece per unire la Psichiatria degli adulti a quella infantile) e conosco il piacere e la fatica di inventare modi e forme di socialita’ condivisa tra operatori e pazienti e mi riconosco in pieno nelle cose che dici. In particolare quando parli del valore dell’ascolto e del silenzio, delle pause, della delicatezza…
    “C’è un tempo per parlare e un tempo per tacere” (Qhoelet)
    Ti verrò presto a cercare per parlare anche di questo…
    P.S.
    Anche io ho amato quel libro di Hrabal e “appena tutto ciò sarà finito…” ci berremo un boccale di birra come piaceva a lui.

    Ti saluto con affetto e stima
    A presto!

    Rispondi
  24. Grazie Fabio per aver avuto il desiderio di trasformare in parole un vissuto così pregno di professionalità, umanità e poesia. In un momento tanto surreale quanto di smarrimento, le tue parole sono un dono per noi che leggiamo e per questo meritano gratitudine. Ritrovarci in dettagli, pensieri e incertezze che spesso accomunano tutti noi che ci muoviamo in un ambito di tante incertezze, aiuta a sentirci meno soli.

    Rispondi

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