Vaso di Pandora

“Quel dono stupefacente degli dei agli uomini”

Commento all’articolo di Marco Belpoliti su Repubblica del 7 Luglio 2017

L’estensore di questo ricco e documentato articolo dedica anche un paio di righe alle fonti della “nostra” droga, l’alcool: la vite e i cereali (della birra). Ma forse il discorso merita qualche approfondimento.

Ci riesce difficile definire l’alcool una droga, avvicinandolo a sostanze che ai nostri occhi meritano veramente questa definizione, in quanto ci appaiono dotate di un potenziale ben più inquietante.    Questo, anche se dell’alcool sappiamo quanto intensi possano  essere gli effetti acuti sulla mente  e quanto gravi, perfino mortali, le possibili complicazioni nel tempo. Esso tuttavia ci è familiare, continua ad essere un po’ un nostro amico possibile fonte di piacere anche se alquanto indisciplinato. Parliamo con qualche indulgenza di chi si è sborniato, non di chi si è “fatto”.

Non è sempre stato così. Quel grande capolavoro che è “Le baccanti” di Euripide può esser letto come una rievocazione – fra l’altro storicamente fondata –  dell’arrivo del vino da quell’Oriente che ci ha sempre affascinato e un po’ inquietato.  Parla Dioniso: “ho ricoperto tutto di tralci e d’uve … tutta l’Asia ho percorso … ora sono venuto a questa terra dei Greci”. La terra è Tebe: conferma, forse,  dell’arrivo della vite per via terrestre. Il  re, Penteo, vuole arginare il potenziale destabilizzante della nuova droga, e tenta una violenta risposta proibizionistica, incarcerando le Baccanti, adepte del nuovo culto ( si potrebbe riflettere sul fatto che siano donne, ma questa è un’altra storia). Ma il potere di Dioniso è quello di un Dio (ecco un’altra radice, questa tutta occidentale, del rapporto fra droga e religione esposto da Politi): coinvolge nell’orgia dionisiaca la madre stessa di Penteo che, sconvolta tanto da non riconoscerlo più, lo uccide. Non si potrebbe mostrare più plasticamente il timore che a suo tempo deve aver destato, soprattutto nei garanti dell’ordine sociale,  questo nuovo elemento di disordine.

Ci sono culture che non l’hanno mai accolto. Così recita il Corano nella Sura  V, 90 – 91:  “il vino, il maysir (gioco d’azzardo), le pietre idolatriche, le opere divinatorie sono sozze opere di Satana. Evitate che possano prosperare. Poiché in verità, con il vino e il gioco d’azzardo Satana vuole gettare inimicizia e odio fra voi e allontanarvi dal ricordo di  Dio e dall’orazione”.

Ben diverso l’atteggiamento del mondo giudaico – cristiano: Noè si ubriaca pesantemente, ma la condanna del Libro non colpisce lui ma solo il figlio Cam che non rispetta come dovrebbe la sua ebbrezza e pertanto viene condannato a permanente stato di inferiorità rispetto ai suoi fratelli (giustificazione del razzismo e della schiavitù?). Il primo dei miracoli di Gesù consiste in un abbondante rifornimento di vino; e il vino ha l’onore di rappresentare  il suo sangue nell’ultima cena nonchè quotidianamente nella  comunione.

Naturalmente, tutto ciò non significa che nel mondo occidentale bere un bicchier di vino e farsi di eroina sia la stessa cosa: la presenza da sempre dell’alcool nella nostra cultura ha modificato stabilmente, in senso qualitativo e quantitativo, la platea dei fruitori, il tipo di motivazione al consumo moderato o eccessivo, l’atteggiamento sociale di accettazione, tolleranza o rifiuto.  E’ in questo complicato contesto che va valutato il senso del consumo, contenuto o smodato, di una sostanza psicoattiva, al di là delle differenti azioni farmacologiche.

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Commenti su "“Quel dono stupefacente degli dei agli uomini”"

  1. Se la logica e la ragione non bastano a risolvere i problemi
    Il Prof Pisseri pone, secondo me, una questione cruciale sanitaria e morale insieme e oserei dire persino linguistica, alla resa dei conti. Allora la domanda per certi versi retorica potrebbe essere: “Perché mai siamo così tanto indulgenti verso l’assunzione di alcol?”. Perché continuiamo a discriminare tra alcol e droga? E nonostante l’alcol mieta statisticamente tante vittime se non di più delle cosiddette “droghe pesanti”? A proposito, l’alcol è una droga pesante? Di sicuro può creare dipendenza ed è potenzialmente letale. Oltretutto, pare sia facilissimo raggiungere un’overdose di alcol, visto che la quantità di alcool che può uccidere non è molto più alta di quella assunta durante le cosiddette bevute ricreative.
    Gli americani spendono più di 90 miliardi di dollari in alcol ogni anno. Ogni anno l’industria dei liquori spende quasi 2 miliardi di dollari di pubblicità per “incentivare” il consumo di bevande alcoliche. Ogni anno, un giovane medio negli Stati Uniti è inondato con più di 1.000 spot pubblicitari sull’alcol. Che dire? I numeri sembrano davvero impressionanti. Premetto che sono un fervente sostenitore dei servizi socio-sanitari e Sert vari. Anzi, credo che debbano essere non soltanto conservati, ma addirittura potenziati, tuttavia bisogna anche concedere che per alcune persone è assolutamente inefficace, costoso e rischioso continuare a prefiggersi l’obiettivo della guerra “santa” alla droga come antidoto ai decessi per malattia, aids, overdose. Considerando oltretutto che i costi in termini di rapine, furti, emarginazione,violenze sulla persona diventano sempre più gravosi per la collettività.
    Mi soffermo sulle droghe riconosciute tradizionalmente come “pesanti” perché più “pesante” per non dire veramente indigesto risulta il dibattito attuale sul tema, come capita d’altra parte per tutte le questioni in cui le implicazioni scientifiche, morali, ideologiche e religiose (a testimonianza ulteriore della “complessità del problema”) si mescolano inevitabilmente annullandosi reciprocamente, spesso. Da questa mutua invalidazione altrettanto inevitabile alla fine è l’impasse più totale con conseguente perpetuazione del problema. Allora, prendiamo l’eroina ad esempio. Ovviamente, non è l’eroina in sé che uccide. Non sono da sottovalutare 1) l’impossibilità di conoscere con sicurezza qualità e purezza della sostanza (da cui spesso l’overdose); 2) la promiscuità nell’assunzione (da cui siringhe infette ed aids e HCV e via dicendo); 3) la violenza del mercato tutto gestito dalle mafie che grazie ai proventi della droga possono vantare bilanci da fare invidia alle economie più avanzate del pianeta e che inquinano il tessuto morale e politico non solo economico della società. La condizione di illegalità in cui si assume la sostanza contribuisce in massima parte a creare allarme sociale, fa scoppiare di tossici le carceri, e la paura corre per le strade dei quartieri ed è così che monta l’insicurezza della collettività. L’impossibilità materiale di ottenere la “roba” a prezzi ragionevoli può effettivamente creare i delinquenti in buona sostanza. Non è l’eroina che di per sé ti converte in un criminale psicopatico: l’eroina è pur sempre un narcotico, semmai ti inebetisce, ti rende un idiota per deplezione progressiva della prefrontale, eventualmente. Intanto dovremmo sforzarci di smettere di coniugare necessariamente l’uso di droga con la povertà. La povertà in realtà ti espone potenzialmente a numerosi rischi compresa la mortalità precoce per mancanza di opportunità di cure. L’essere centrati sull’idea fissa del binomio povertà-droga ci sprofonda in una dimensione di ineluttabilità che finisce per condannarci irrimediabilmente sia alla povertà che alla tossicodipendenza. Ovviamente, non mancano coloro che appellandosi a qualche buona ragione e con molta abilità retorica dopotutto affermano che non si può paragonare di certo il bicchiere di vino a pranzo con un buco in vena più o meno quotidiano o con una sniffata di cocaina. In effetti, spararsi 2 ml di eroina in vena a pasto deve essere piuttosto scomodo, immagino. Seppure qualcuno azzarda, non senza una punta di sarcasmo, che è soltanto questione di quantità. Se abbandonassimo la demonizzazione delle droghe per partito preso potremmo pensare, come per l’alcol, persino ad un consumo responsabile (sociale), per così dire, persino dell’eroina e della cocaina (cosa che già avviene in qualche sua parte, di fatto, anche se non proprio durante i pasti). Ovviamente, “provocazioni” a parte, non è questo il punto. Non proprio! Non si tratta di mettere a confronto il bicchiere di vino con una dose di eroina o di cocaina, con tutta evidenza.
    I più temerari affermano che non ci sono droghe più o meno pericolose, ma soltanto contesti e tempi inopportuni in cui consumarle. Per la serie: mai bere un bicchiere di vino, mai farsi di eroina, mai sniffare cocaina prima di mettersi alla guida di un automobile. Quelli meno trasgressivi, invece, e più “governativi” si limitano più prudentemente a vagheggiare scenari più soft tipo il “monopolio statale dell’eroina” Un po’ come il monopolio dei tabacchi” La distribuzione del metadone ci ha avviato da tempo verso questa strada? Allora si potrebbe dare il via agli “Eroina center” che distribuirebbero in modo controllato l’eroina col neanche tanto segreto scopo di agganciare il tossicomane per stimolarlo a cambiare vita e curare la sofferenza che patisce, eventualmente?”. Ma non è quello che dovrebbero fare già oggi i servizi sanitari, a prescindere? Mah! Sebbene io sia convinto che molti tossicomani troverebbero il coraggio e la forza di farsi aiutare in questo modo. L’importante è che questi eventuali centri non si limitino semplicemente ad erogare droga in ambiente protetto. Lo scopo principale dovrebbe essere sempre il recupero della persona. E non voglio scadere nemmeno nella polemica grossolana di chi accusa gli avversari politici di voler “crescere i nostri figli nell’idea che drogarsi è lecito”. Più igienico sarebbe far “crescere i nostri figli nell’idea che la “droga” non deve essere l’unica scelta praticabile per reagire al nostro scontento”, eventualmente. Approcci ideologici a temi complessi come la droga o la sessualità scatenano un’emotività non sempre disinteressata. Sebbene occorra sempre in certa misura tener conto anche della sensibilità comune quando si affrontano questioni così delicate. È recente la notizia che il famoso attore Gary Grant protagonista tra gli altri dei film di Alfred Hitchcock usasse assumere Lsd a scopo terapeutico in un contesto controllato per tentare di reagire ai traumi procuratigli in tenera età dall’abbandono della madre che in realtà era stata rinchiusa in manicomio dal marito. Quindi, l’attore pluridecorato sceglie l’Lsd in forma “terapeutica” per l’analisi dell’inconscio (fu tra i primi a fare la sperimentazione a suo tempo)”. Nel corso di questi trip assistiti Cary Grant, rievoca il passato, il dolore dell’abbandono, la coazione a ripetere del fallimento amoroso. E riferiva pure di sentirsi meglio alla fine. Chi l’avrebbe mai detto che potevamo rivolgerci allo spacciatore sotto casa invece che allo psicoanalista di turno? Boh! Stranezze da star del cinematografo americano. Chissà! La chiave allora è “somministrazione controllata”?
    Allora, i cocaina party, gli eroina party, gli alcol party, pari sono? Non è nemmeno questo il punto! Se continuiamo a centrarci sul “confronto” tra la pericolosità delle varie sostanze non se ne esce, secondo me. In realtà, stiamo parlando di alcune categorie di persone che fanno uso abituale per qualche motivo di eroina o cocaina. A primo acchito si ha l’idea che l’individuo mediamente nevrotico non si sogna di certo di farsi di eroina o cocaina al sabato sera in allegra compagnia. Seppure non manchino gli stimati professionisti e certi figli del popolo che nel fine settimana si concedono la sniffata di gruppo in piena letizia o una fumata di eroina catartica. Si dirà che l’alcol non da la stessa pesante dipendenza di cocaina ed eroina. Mah! Parliamone! Non riesco neanch’io a sfuggire alla trappola del “confronto”. La “percezione” di minore dipendenza dall’alcol non deriverà anche dalla sua più facile fruibilità? Come può essere pericolosa dopotutto una sostanza che viene comunemente spacciata, pardon venduta, nei supermercati e nei bar? E sulla quale si fondano le economie di interi stati se non proprio di immense multinazionali? Eppure gli alcolisti cronici hanno cominciato in diversi casi proprio con l’uso ludico della sostanza per poi passare in molti casi (ma non sempre) alla dipendenza patologica. Proprio come avviene in taluni casi con l’assunzione “occasionale” di eroina o cocaina e derivati. Quello che voglio dire è che l’uso “occasionale” (quanto occasionale?) non necessariamente è destinato a sfociare nella dipendenza patologica. Entrano in gioco come per l’alcol le variabili della personalità di base, del temperamento, e altre variabili esistenziali, per così dire. Ma se questo è vero allora anche il parametro della occasionalità diventa molto soggettivo: quanto gli ci vuole a tizio per sviluppare una dipendenza da alcol o eroina? Immagino che ci siano degli studi in tal senso che hanno operato delle misurazioni. Insomma la questione è più scientifica o morale o puramente “clinica”, alla fin fine? Parliamone!
    Perché quello/a che si sbronza tutte le settimane al sabato sera (o all’occorrenza) non è un alcolizzato/a, mentre chi si fa di eroina o cocaina una volta a settimana è un tossicodipendente? È questione di frequenza o di “sostanza”? O soltanto di linguaggio? Siamo proprio sicuri che stiamo trattando di due cose diverse? Mi chiedo e lo chiedo agli esperti del settore: “Fa più danni la sbronza settimanale o la sniffata settimanale?” È pur vero che l’eroina continua a fare scempi ma non rappresenta più forse quella trasgressione che poteva essere negli anni settanta o su di lì. Il “trip” di oggi è quello dell’ecstasy o del crack o degli altri intrugli chimici epigoni della cocaina meno contemplativi e più legati alla performance e consumati in discoteca, ad esempio. Ed ecco che fioccano le spiritosaggini: – Lo vedo già il bravo genitore responsabile che in pieno “delirio politically correct” (o forse per risparmiare al pargolo qualche guaio di troppo) oltre a fornire di preservativi il figliolo in piena tempesta ormonale gli rifila pure la pastiglietta per sballarsi in modo “controllato” in discoteca così da sottrarlo alle lusinghe del furbo spacciatore che bastardo qual’è ti rifila roba di dubbia e letale qualità -. Ammetto che è buona la freddura. Ma non è con le battute che esorcizziamo il problema. Nulla da ridire, però, sull’esortazione a proteggersi dalle malattie sessualmente trasmesse. E’ inutile negarlo, forse le droghe avranno perso tutto il sapore della contestazione hippy o del rifiuto bohémien della società capitalista, ma un senso di ribellione il drogarsi o “l’alcolizzarsi” (tanto che persino la droga finisce per conferire una parvenza di “dignità” al dolore di una persona, a volte) continuano a mantenerlo. Quando sei adolescente tra i 14 e i 18 anni, o su di lì, puoi essere talmente fragile, deluso, inquieto, sconvolto dal tuo stesso sviluppo, dai problemi in famiglia, impaurito/a dalla sessualità, dalla violenza dei coetanei, dal tuo corpo che cambia e che non accetti tante volte da cadere facilmente in balia della prima carogna, dell’emerito farabutto di turno che ti garantiscono la panacea di tutti i mali e ti fanno cessare il “dolore” e ti anestetizzano il male di vivere. E qui si introduce la nostra colpevole e ipocrita tendenza ad eludere moralisticamente nelle scuole questioni fondamentali come droga e sesso. Seppure eroina, cocaina, alcol, ecstasy, crack ecc. hanno questo in comune che “scacciano i pensieri”, consentono di non “prendersi cura” di persone o cose. Qualcuno dice che per questo motivo quella contro la droga è una battaglia comunque persa. Le droghe favoriscono quella disposizione naturale del nostro cervello a godere dell’inerzia e della noncuranza incoraggiando le quali non ci si cura di nient’altro se non di quell’oggetto che pensiamo ci possa esentare da ogni “cura”. Il tutto si svolge in un contesto in cui la neurofarmacologia razionalizza i comportamenti tossicomaniaci facendo sfumare così la differenza tra droghe e farmaci. Così finiamo per gioire e soffrire tutti allo stesso modo, affaccendati in questo “godimento” consumistico della vita che esclude il coinvolgimento nel mondo e con l’Altro-da-me. Droghe e psicofarmaci accomunati dallo stesso tentativo di compensare un’incapacità cronica di “felicità” e insieme dallo stesso fallimento nell’alleviare questa vaga insoddisfazione, uniti dall’impossibilità di soddisfare un appetito insaziabile, un desiderio indefinibile. E poi abbiate pazienza, si dirà ancora, – ma non tutto può rientrare a buon diritto nella “normalità” -. Scusate, ma dove sarebbe più il gusto della trasgressione, l’attrazione per il frutto proibito, dove trovare quella giusta dose di “perversione” che rende tanto piccante l’esistenza se abbattessimo definitivamente certa distinzione tra lecito e illecito tra giusto e sbagliato? Persino il sesso se non conservasse quell’aura di peccaminoso che tutt’ora (per fortuna, a questo punto, forse) l’avvolge staremmo tutti qui a trastullarci con l’ “orgasmatic” del “Dormiglione” (film di Woody Allen,1973) Certo forse perderemmo il gusto del peccato, ma ci sarebbero in giro molti meno drogati che avendo perso tutto il gusto perverso per le cose vietate rivolgerebbero le loro attenzioni alle persone e alle cose, forse: “meglio sedurre donne e andare a caccia di uomini, meglio leggere un libro o scrivere un articolo, meglio andare a teatro o assistere ad un concerto” che cedere in perfetta solitudine al “desiderio di nulla ” che presto si rovescia in un “nulla di desiderio ”, quel nulla in cui il soggetto fa esperienza della propria “mancanza a essere” stordendoci tutti borghesi e proletari, poveri e ricchi a suon di alcol ed eroina, “otturatori” della mancanza, il cui risultato ultimo è la morte del soggetto.
    Teniamo presente, però, che la facile fruibilità, il comodo accesso all’alcol non ne hanno disinnescato il fascino né diminuito il numero degli avventori. Potrebbe la pubblicità con le sue lusinghe essere determinante nel caso specifico, cioè nel consumo e abuso di alcolici? Chissà!
    È vero come scrive il Prof Pisseri che quando pensiamo all’alcol è più facile richiamare in fantasia la piacevolezza del convivio o scenari bucolici dove melliflui menestrelli sorseggiano il dolce nettare degli dei tra una suonatina e l’altra. Io invece ci vedo delle società che nel corso della storia hanno raggiunto gradualmente una pacifica convivenza con la sostanza, o che sono scese a patti con questa accettandone anche i risvolti più ripugnanti (o semplicemente limitandone le conseguenze nocive alla fin fine?) È possibile che lo stesso destino finisca per lambire anche le attuali droghe pesanti?
    Tuttavia, l’idea, per quanto balzana, che a questo mondo alcuni individui siano destinati ad essere sacrificati e puniti all’occorrenza, come piccoli e grandi “redentori” messi in croce, affinché l’umanità possa continuare a “peccare” indisturbata, affinché le loro maestà l’uomo e la donna “medi” possano continuare a provare il brivido del proibito che tanta vivacità aggiunge alla scipitezza di molte insulse esistenze, non la scarterei a priori.

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