L’amico L.G., ci segnala anche questa volta, attraverso la mailing-list del Circuito “Redancia”, notizie che compaiono su giornali e agenzie di stampa, e che rivestono interesse per gli operatori della Salute Mentale.
Fra le notizie ne noto una che mi colpisce in particolare: dai lavori, appena conclusisi a Vienna, del 23 esimo Congresso Europeo di Psichiatria, con la partecipazione di esperti da 88 Paesi del pianeta, membri di 37 enti nazionali, in rappresentanza di oltre 78.500 psichiatri europei e mondiali, si apprende che le persone affette da disturbi psichici in Europa sarebbero stimate attorno ai 230 milioni, due terzi dei quali privi di cure. Si stima inoltre che, nel 2030, i disturbi mentali saranno i più diffusi nel mondo.
La lettura di questi dati, indurrebbe a pensare che, nel nostro campo, le prospettive di lavoro per i giovani (medici, psicologi, infermieri, tecnici sanitari, assistenti sociali, educatori), date le proporzioni della domanda, siano molto allettanti. In realtà le cose non stanno così perché lo stato sociale arranca dappertutto e, in Italia, i blocchi delle nuove assunzioni sono abitudini consolidate, quasi una giaculatoria che ogni nuovo Governo pronuncia assieme al giuramento di rito, il giorno in cui assume l’incarico.
Questo vale per i politici, impotenti di fronte a un fenomeno tanto massiccio, ma vale anche per il tipo di rapporto che da sempre noi tecnici abbiamo intessuto con le amministrazioni; e ciò perché fra noi è diffusa una cultura subalterna, prima ancora che interessata, che ci spinge a rinunciare a far sentire la nostra voce alle amministrazioni, in considerazione dei vantaggi o degli svantaggi che potremmo trarre dal prendere posizioni autonome fondate sulla nostra competenza. In generale guardiamo al politico come una possibile fonte di soddisfazione di ambizioni personali, anziché come un interlocutore con cui collaborare per produrre qualche cosa che necessita sia di contenuti tecnici che di percorribilità amministrativa e sostenibilità finanziaria. I politici, dal canto loro, hanno buon gioco ad agire in totale libertà perché non hanno da noi il necessario supporto, quando addirittura non scelgono consulenti disposti a dire ciò che essi desiderano sentirsi dire.
Accanto a questa banale constatazione, voglio farne un’altra che le è in qualche modo collegata: stamattina, mi sono recato in un ufficio comunale, e ho notato su una parete un volantino annunciante una passata edizione di un evento festoso nei giardini dell’ex OP di Quarto, quando, all’insegna dello slogan “Quarto Pianeta”, si rumoreggiava un po’ inutilmente, proponendosi di salvare gli edifici dell’ex manicomio, che mentre aspettano di essere venduti ai privati (una trattativa che sembra voler sfidare i decenni) ne approfittano per decadere ignominiosamente. A volte mi chiedo in quali condizioni si trovi il mio vecchio ufficio al pianterreno del “Nuovo Istituto”, nell’ala occupata dalla “Seconda Divisione”.
La lettura di quel volantino ha riattivato in me il senso di frustrazione provato all’epoca di tali manifestazioni, e discussa cento volte con amici e colleghi, che mi guardavano un po’ come si guarda un marziano.
Ho sempre sostenuto, e ne sono convinto tuttora, che utilizzare quegli spazi, gravidi di storia, dolore e cultura scientifica, per farne dei luoghi ricreativi era una solenne sciocchezza, per il fatto che luoghi dove tenere concerti, atelier d’arte e comizi politici se ne trovano ovunque. Trasformare, anche solo parzialmente un luogo importante come l’ex Centro Sociale per la riabilitazione dei pazienti cronici in un Centro Civico, era prima ancora che un’occasione sprecata, la dilapidazione di una memoria storica.
L’unico modo per salvare Quarto da una fine ingloriosa, e soprattutto dalla cancellazione della memoria, era quella di farne una Facoltà, un Istituto Universitario, o un Centro Scientifico nel quale si potesse continuare a studiare lo sconfinato campo delle Scienze Psicologiche, Psichiatriche, del Comportamento: un luogo di cultura e scienza, insomma, dove poter studiare e continuare la testimonianza, capace di sfruttare, rivitalizzare e valorizzare la sontuosa biblioteca che raccoglie tesori librari oggi purtroppo destinati (sono disposto a scommettere) a qualche oscuro e speriamo non umido scantinato, come già la biblioteca di Cogoleto e, temo anche se non ne sono certo, anche la Biblioteca dell’Istituto di Psichiatria dell’Università, da molti anni inattiva.
Insomma, una morte da tempo annunciata, pateticamente negata, per insipienza e per ignoranza. Di noi tutti.