Vaso di Pandora

Pensieri sparsi sul tempo

Remigio Barbarino

Il tempo in Comunità è un tempo PIENO, non basta mai sia per gli operatori che per gli ospiti. 

Quello specifico o programmato è un tempo operativo a volte molto piacevole nell’ambito delle attività quotidiane come il karaoke, la lettura giornale, il découpage, la cucina o la borsa lavoro etc.

Il tempo aspecifico è invece indispensabile per creare una relazione con gli ospiti che nel colloquio, più o meno strutturato, con l’operatore, si sentono gratificati di poter esprimere i loro dubbi, problemi, ansie e bisogno di risposte. 

Spesso è difficile fare accettare agli ospiti il tempo delle dimissioni o del passaggio ad altra struttura, bisogna sempre trovare una risposta che a volte non c’è perché dipende dal magistrato o dalla mancanza di una famiglia accogliente o di un progetto ancora da definire. 

C’è un tempo dell’attesa per realizzare un progetto che chiamerei il TEMPO DEL SOGNO che prende forme giorno per giorno, ma c’è anche un tempo dell’attesa infinita che identifico come il TEMPO DELL’ADATTAMENTO indispensabile per coloro che non hanno una prospettiva di uscita dalla Comunità e devono quindi convivere con un tempo vissuto come infinito dall’ospite e dall’operatore con un profondo senso d’impotenza con cui bisogna fare i conti. 

Michele Solari

Ma di che tempo parliamo? Il tempo dell’operare. Certamente. Ma il nostro tempo è un’entità più complessa di quanto, forse, riusciamo a descrivere.

Ad ogni cambio turno si danno le consegne. Piccole riunioni. Le molte cose, le news delle ultime ore.

Affari interni, cronaca prevalentemente grigia, affari esteri di rilievo locale: famiglie, servizi, magistrati, amministratori, ecc. ecc.

Un sacco di osservazioni e informazioni. In poco tempo, sei, dodici ore sono successe tante cose e non è successo nulla. Un tempo sincronico laborioso. Il romanzo a puntate del quotidiano raccontato dall’incrocio narrante dei cronisti al fronte. Somme e sottrazioni di sguardi sui medesimi soggetti, sui medesimi oggetti. Ci si difende dall’insidioso incedere della cronicità collettiva.

Ma c’è anche un tempo diacronico. in certi casi si ha quasi paura di parlarne. cosa è successo in sei, dodici mesi? Cosa si è mosso nelle vite  dei nostri pazienti? Tanto, tantissimo. Nulla.

Ma chi segna il movimento del tempo? La ritualità scandita dalla cultura locale, i colloqui, le attività, i pasti, il sonno, le visite, altro? Quanto di tutto ciò sfugge all’immobile pantano della noia?

Il tempo è movimento in salita.

C’è anche il tempo che va all’indietro. La ricaduta, la regressione, il decadere delle abilità. Il progetto che non c’è: né casa, né famiglia né lavoro né soldi; o è solo illusionale, resistente ad ogni esame di realtà; o è ripartito da capo.

Ma dentro a questi tempi ne agiscono altri. Quelli delle persone ammalate.

Il tempo eccitato del maniacale che corre più di ogni orologio. Lo si insegue e non lo si raggiunge mai.

Il tempo fermo del depresso, volto all’indietro nell’insopportabile angoscia di colpe infinite e nell’umiliazione di un’impotenza dalla quale si può anche avere paura di essere liberati.

Il tempo dei disturbi di personalità, in bilico, doloroso, irrequieto, mutevole, emozionato. Tutto o niente, ma sempre troppo. Poco tempo.

E il tempo delle psicosi in che direzione si muove? Quanto può muoversi?  Sarà possibile andare su Marte per ricongiungersi al proprio gemello? Certi giorni si e allora sarà un viaggio bellissimo, lunghissimo nel tempo, fulmineo nel pensiero. Andiamo? Magari senza alzarci dal letto. Tempo fermo ma rapidissimo.

Ma certe psicosi non viaggiano mai e mai lo vorrebbero. Il meglio sta nel passato e nel presente immobile della simbiosi. Tempo fermo.

E poi ci siamo noi con i nostri tempi che, navigando fra le secche di molti tempi, percorriamo con i nostri pazienti innumerevoli rotte, rapide, lente o immobili ma sempre tese alla meta di una vita più libera dal dolore e dalle briglie del passato.

Roberta Antonello

Tempo dedicato specifico.
Io ausiliario.
Oggetto inanimato.
Vorrei ricordare queste funzioni
La rianimazione di De Martis e quella di Zapparoli.
Perché nella C.T. sono  azioni che si collegano al tempo specifico a mio parere anche da Oss, da Infermieri, da Educatori e via…
Riconoscerli e dare un significato.

Davide Alberti

Come spesso accade, durante eventi inattesi e imprevedibili (quale la pandemia e il lockdown) che destabilizzano la routine, l’equipe si riesce a fermare e ragionare sullo stile e sul lavoro. Durante tale periodo infatti è stato importante per l’equipe ragionare sul tempo in comunità investendo energie e tempo su una riqualificazione dello stesso: promuovendo attività di gruppo, partecipando maggiormente alla vita di alcuni pazienti che spesso erano fuori dalla comunità e investendo nel tempo specifico con essi. Oltre a questo dato che ha accresciuto (a mio parere) sia quantitativamente sia qualitativamente il tempo, penso anche che le comunità si siano dimostrate, a differenza del pensiero di molti, flessibili e resilienti anche in termini di una efficace e rapida riorganizzazione. 

Un ultimo aspetto invece è la percezione dell’attesa. Spesso i nostri pazienti tollerano poco l’attesa, il tempo senza operatori, ad esempio durante le equipe o le consegne o nei momenti dei pasti. Su tale aspetto ci siamo trovati spesso a discutere e a riflettere su quanto sia importante, anche nella nostra vita privata, riuscire a tollerare l’attesa, che sia l’esito di un esame, la risposta di una persona o di un cliente, o, calato nel mio caso specifico, l’arrivo di un bambino. Riuscire anche a tollerare questi aspetti e le sensazioni correlate penso possa facilitare anche la capacità di gestire l’ansia e i momenti da soli con sè stessi (sempre molto difficili per i nostri pazienti). Ma penso che la tolleranza dell’attesa possa rientrare nei termini di tempo specifico se questo viene connotato, reso cosciente con una razionalità spiegata e condivisa con i pazienti. 

Pasquale Pisseri

Uno spunto potrebbe essere il tempo circolare che regola tanti momenti della nostra vita quotidiana,  quello che paradossalmente mette insieme movimento e stabilità, col periodico ritorno allo stesso punto che tuttavia non è mai veramente lo stesso: l’immagine può essere non  il cerchio ma la spirale.  Il tempo circolare di certi aspetti strutturali della Comunità (e della vita) collettivi o individuali – pasti, ora della terapia farmacologica, ore del sonno – come si interfaccia con il tempo fermo della psicosi? E come con il cambiamento che perseguiamo? Può dare sicurezza senza stasi?

Luca Gavazza

La lentezza tra velocità e oblio c’è un legame: “il grado di lentezza è direttamente proporzionale all’intensità dell’oblio Milan Kundera

Il tempo: lineare, circolare, spirale, scatologico

Il tempo esiste? Il presente sembra imporsi prepotente come il solo tempo reale dell’esistenza (Fabio Veglia) ma come scriveva Albert Einstein, per noi che crediamo nella fisica la distinzione tra presente, passato e futuro ha solo il significato di un’illusione. La storia sta nella ricostruzione che ne fa la mente umana dopo una accurata selezione dei dati disponibili. C’è qualche fisico tra noi?

Il tempo può trascorre, lento o veloce quale che sia la nostra percezione ma indubbiamente scorre e per noi in una unica direzione, lasciandoci il passato alle spalle tipico esempio di tempo lineare. Il tempo trascorre per tutti…forse su più dimensioni, forse con significati diversi ma indubbiamente per tutti.

Mi pare opportuno che un confronto sul tempo non possa che iniziare con il tempo trascorso dai primi germogli visionari di una idea (Redancia) della sua molteplice realizzazione in diverse regioni e declinate secondo differenziate proposte assistenziali in funzione del bisogno del paziente, fedele allo scandire del tempo che vedrà nel 2021 il suo 30° anniversario, e che non tradisce la costante riflessione sulla qualità del tempo trascorso o kairos, perché lui (il tempo) in qualche modo decide lo scandire e la direzione ma noi possiamo incidere sulla qualità. Ma per quanto legittimo, doveroso e forse scontato io non vorrei parlare di tutto questo ma di quanto la variabile tempo “argomento” principe della giornata di oggi, comunque offra innumerevoli spunti a me particolarmente interessanti e che come vedremo ricadranno sulla nostra operatività e sui pz che trattiamo.

La scienza deve cominciare dai miti e dalla critica ai miti Karl R. Popper

Partiamo dal tempo ciclico. Questo è scandito dal perpetuo trascorrere del tempo, esprima e rappresenta la regolarità con il quale il tempo ripropone se stesso immutato, e nulla può avvenire senza pagare il prezzo di assecondare e conformarsi a quanto già accaduto e che si perpetua sistematicamente nel tempo a venire. In sostanza non c’è futuro inteso come dimensione suscettibile di nuove influenze e modifiche dei processi. Questa rappresentazione è a noi operatori di comunità terapeutiche molto famigliare, se superiamo il fisiologico fenomeno dell’accomodamento sensoriale entrando in qualsiasi camera assegnata ad un pz affetto da psicosi entreremo in una dimensione ricca di comunicazione e significati. L’affezione per alcuni indumenti, la difficoltà a cambiarsi e a lavarsi, il cattivo odore, l’aria stantia, il rifiuto al contatto, l’udito spesso occupato ad ascoltare in cuffia musica, stazioni varie purché capace di isolare dal contesto, garantiscono il “bisogno di non aver bisogno” come citava un tempo il Prof. Zapparoli, alimentando una distanza fisica e inducendo subdolamente e inconsapevolmente ma con determinazione una perdita di interesse, una disattenzione una lenta e graduale metamorfosi capace di trasformare la persona in pz invisibile. Gli strumenti (Il Redancia System) ed il metodo sotteso, dovrebbero impedire o limitare significativamente tutto questo e di fatto è quanto accade, ma ricordiamoci che siamo inseriti dentro un sistema complesso e volerlo semplificare sarebbe un grosso errore. Per complesso intendo che messo doverosamente al centro l’interesse del pz., a gravitare intorno alla sua dimensione e al suo consenso al percorso di cura e alla riabilitazione vi sono curanti (che a volte cambiano), famigliari (separati, litigiosi, ambivalenti, con sensi di colpa) condizioni economiche precarie, radicamento territoriale solo per citarne qualcuna. In questo caso ci vuole tutto l’impegno, l’esperienza dell’intera equipe per addomesticare l’Uroboro appeso simbolicamente alla porta avido di divorare il tempo.

Il tempo della cura o del prendersi cura?

Il tempo ed il processo che avviene al suo interno ovvero la cura, vedono il paziente (“grave”) dopo un confuso o quanto meno incerto consenso alle cure opporsi con tenacia, difendendosi da possibili supposte modifiche, assetti, tali da renderlo “adattabile” in quanto disadattato a queste nuove esigenze. Il tutto gode di un ulteriore impoverimento contrattuale quanto si tratta di pz autori di reato dove dall’obbligo di cura alla collocazione avviene per interposta persona/Istituzione (Giudice). E poi adattarsi a cosa, a quale modello di vita…a quale ambito standard? Quello scritto sui vari manuali? Uniformarmi? Migliorare le performance, civili, lavorative, relazionali? No, di solito non siamo così ingenui, cerchiamo di utilizzare al meglio l’unico strumento che nel tempo cerchiamo di affinare ovvero la relazione e all’interno di questa ascoltiamo, ponderiamo, valutiamo bisogni e tentiamo di indirizzare un percorso tratteggiando una rotta, che nel tempo può essere corretta e cerchiamo di mantenere una certa credibilità a fondamento dei tempi e degli obiettivi indicati al fine di scongiurare il prezzo più esigente da pagare ovvero la perdita di “fiducia” nei nostri confronti ma ancora più grave la perdita di “speranza” che qualcosa possa (ancora) cambiare. Possono i pz (o più in generale le persone) ad un certo punto perdere la fiducia? Si. Possiamo dire e fare cose o non dire e non fare cose che portano inesorabilmente le persone a non godere più della nostra fiducia. Non siamo più credibili e soprattutto non siamo più in grado di promuovere speranza. Per contenere questa pericolosa deriva relazionale ed istituzionale all’interno di sistemi complessi, dobbiamo fissare assolutamente dei limiti. Riuscire a recuperare un concetto che facilmente rischia di cadere in disuso. In questo la responsabilità credo possa legittimamente essere ben distribuita tra la abusata cultura dell’integrazione che spesso poco e male integra…, tra modelli di rete istituzionali che funzionano a doppio binario ovvero quello ufficiale e quello ufficioso, organi e istituzioni alle quali non vengono mai chiesto di comunicare il valore che apportano al sistema. Non di meno il famoso brodo di cultura nel quale siamo immersi al quale non sappiamo ben definire se di questo siamo figli o genitori ad es. se dall’ISTAT il matrimonio media in Italia (anno 2016) durava 16 e i mutui delle prime case sono in media di 25 questo è un tempo lineare, circolare o escatologico? Forse solo tempo perso ..con la persona sbagliata, ma scherzi a parte qualche cosa tende a confonderci. Siamo noi con il nostro progresso ad aver inventato Obsolescenza programmata, la durata di un elettrodomestico. Azione per quanto riprovevole sosterrà il PIL. Se ci immaginiamo immersi dentro una “Petri” riempito di brodo di cultura costituito da consumismo, la vita al suo interno sarà caratterizzata da “rapido apprendimento e fulmineo oblio”. Questo mette bene in risalto che l’unico tempo preso in considerazione è il tempo presente. A questo punto mi chiedo cosa indica il buono stato di salute di una persona? Potremmo rispondere soddisfazione dei bisogni primari, assenza di patologie gravi, corretto stile di vita capace di promuovere salute fisica e mentale. Cosa indica il buono stato di salute di una Nazione? L’acronimo conosciuto e tanto temuto: PIL Prodotto Interno Lordo. Tanto maggiore è questo dato tanto maggiore risulta il livello di ricchezza/valore di questo stato. Altro discorso e secondo quali logiche questo viene ridistribuito. Può lo stato di salute di una Nazione essere la somma dello stato di salute dei singoli cittadini? No. Rispondere ai bisogni individuali vuole dire in qualche modo “soddisfarli”, raggiungere un plateau termine temutissimo dal mercato che come cura a questa paralizzante (e a paralizzarsi è il PIL) situazione, reagisce incrementando necessariamente e urgentemente la domanda. Attenzione a non cadere nel facile tranello di rendere insoddisfatto il cliente, ma di differire la soddisfazione (Max Weber) in nome di imprecisi e presunti benefici futuri. L’homo consumens rimane ostaggio del dubbio e di una parziale e sottile insoddisfazione…

Tendiamo nel nostro lavoro con estrema fatica ed impegno a restituire significati, a ridefinire dimensioni progettuali, a curare ferite attraverso una fiducia che con il tempo (se troppo ovvero quando supera notevolmente  secondo i parametri della regione Liguria daii 24 ai 36 mesi max il tempo a disposizione per l’intervento terapeutico…) rischiamo di essere una cura peggiore del male che tentiamo di curare. A questo punto mi chiedo perché a fronte di un limite temporale definito la gestione legittima di situazione over time non possa essere gestita formalmente come per il SEPA attraverso opportune deleghe temporali a tempo determinato giustificate e argomenti dall’equipe che gestisce il caso. La torta margherita (ben cotta) gode di un tempo lineare, così come la pizza e come il timing esatto per effettuare una interpretazione possibile all’interno di una relazione terapeutica che se fatta in anticipo non verrebbe compresa, se fatta in ritardo non catalizzerebbe quella reazione capace di promuovere maggiore consapevolezza e possibile cambiamento. Per rimanere in tema di tempi rassicuranti l’intervento per l’appendicectomia media dura 40 minuti, degenza dai 5 ai 10 giorni se non complicata.  Esempio di intervento chirurgico definito dentro un possibile perimetro temporale. Anche in psichiatria è possibile qualcosa del genere. Il ricovero in SPDC ha il compito di risolvere lo stato di acuzie e come ricorda il suo acronimo rivalutare la diagnosi e nel caso reimpostare la terapia. Tempi medi di ricovero in SPDC in  Liguria 8 giorni. Altro caso virtuoso in psichiatria è il SEPA Servizio Extra-Ospedaliero Post Acuti, dove i tempi indicati massimi per il ricovero non possono superare i 60 giorni, tranne rare eccezioni. Questo impone uno stile di lavoro ed un ritmo diverso rispetto ad altre realtà, obiettivi diversi ed uno stretto contatto con curanti e famigliari.

“L’importante è finire” canzone interpretata da Mina e rigorosamente censurata negli anni 60, mi permette di introdurre Giorgio Vasta, direttore della collana Holden Maps, oltre che editor per la Bur. Con garbo da scrittore ci ricorda una cosa di estrema importanza. Il punto fermo messo a conclusione di un opera è una impercettibile macchiolina di inchiostro, tanto è piccolo all’apparenza quanto è grande la sua importanza, quanto e difficile trovare il momento giusto per metterlo. l’eterno conflitto che sottende in parte una certa dipendenza tra il voler anticipare la fine o non trovare il momento giusto per farlo procrastinando ad libidum la conclusione. Nel calcio se lo prendiamo come possibile metafora di questo processo si oscilla tra intraprendere un’azione impostando schemi, superando azioni difensive e concludendo in rete e viceversa fare “melina” ovvero far girare la palla in modo inconcludente temporeggiando. Anche questo può succedere nella nostra professione, di rischiare di diventare inconcludenti, poco utili. Anche in questo caso può venirci incontro un’altra melina, Melina Riccio che con le sue denunce su muri, pareti, cassonetti di tutta Italia ed in modo particolare a Genova, denuncia con versi in rima baciata messaggi salvifici, spesso dai contenuti ecologici ricordandoci con la sua street art il senso del limite di un uomo diventato sincronico capace di vivere solo nel presente.

Il tempo lineare contrariamente richiama necessariamente l’elemento progettuale che si congeda dal passato e si proietta in modo propositivo e proattivo verso possibili traguardi e/o obiettivi transitori possibili e concordati. Certamente non mancheranno eccezioni, inconvenienti ma la progressione e costante e continua, come la rotta/direzione.

Tempo escatologico

Trovo interessante anche il riferimento al tempo escatologico di origine cristiana dove il tempo e caratterizzato dalla persuasione che la storia dell’uomo abbia un senso già scritto all’origine del tempo e da realizzarsi nel tempo. In sostanza una storia già scritta da altri. In questo caso il nostro lavoro è di modificare qualcosa di impossibile oppure di accettare supinamente un destina già scritto in una dimensione fatalista. Ma allora mi chiedo cosa serva tanta scienza o tanto sforzo e risorse in quella direzione. In fondo queste soluzioni appartengono al passato dove luoghi per contenere storie fatte di persone esistevano, non vi erano ambizioni risolutive rispetto ai problemi presentati ed era sufficiente isolare e contenere quanto la civiltà di un tempo non riteneva capace di integrare e comprendere a fondo e lontano dagli occhi…lontano dal cuore poteva essere sufficiente per dare vita a quei villaggi/paesi come l’Ospedale Psichiatrico di Prato Zanini – Cogoleto o di Genova Quarto solo per rimanere in Liguria, ovvero l’istituzione totale

La concezione del tempo a spirale

in questa specifica situazione, non esclude la direzione del tempo nel senso di un suo progredire (progresso) ma le ripetizioni che si susseguono non sono cicliche ma si susseguono come semi-cicli progressivi. Questa concezione che cerca di mediare e coniugare il tempo lineare dal tempo ciclico oltre ad essere molto suggestiva la ritroviamo nei pensieri e modelli proposti sia da Marx che da Hegel

Tempi sospesi…

C’è chi scegli in alcuni suoi romanzi di vivere la dimensione onirica con qualche timida incursione nel mondo (tempo) reale. Uno di questi è Murakami Haruki. che rappresenta le sue trame narrative senza penalizzare intensità o banalizzare vicende, ma arricchendole di tutte quelle sfumature umane, fragilità, insicurezze che il tempo lineare può solo attraversare e caratterizzare la dimensione qualitativa del tempo. un buon esempio può essere Tokyo Blues o meglio conosciuto come Norwegian Wood.

L’irragionevole dubbio: dubbi e incertezze paralizzano l’azione…paura di decidere

Premessa: gli uomini sono ingrati, volubili, fuggitori di pericoli, cupidi di guadagno, e conviene quindi più farsi temere che amare, a difendersi dal preponderante egoismo altrui, ad attaccare piuttosto che soccombere. Amedeo Benedetti non ha mezze misure, le sue due anime di letterato e di ex ufficiale in pensione dell’esercito Italiano mirano a sfumare i possibili compromessi. Come vedremo si schiera dalla parte del rigore, della tempestività rispetto alle scelte, fugge l’immobilismo che condanna apertamente e senza sconti. La prospettiva di Amedeo Benedetti diversa ma altrettanto interessante e quella di Fabio Veglia “il presente sembra imporsi come il solo tempo reale dell’esistenza. ma può esistere la conoscenza dell’esperienza soggettiva al di fuori delle dimensioni Spazio-Tempo?

Personalmente non ho la fortuna di conoscere personalmente Benedetti ma l’aver integrato il rigore di una carriera militare con l’acquisizione di un l’orizzonte umanistico vasto e ricco di testimonianze, può suggerirci con un certo credito che chi ha responsabilità (è un responsabile/dirigente) ha potere (per quanto discrezionale) è necessariamente inserito in un sistema di potere, ha il dovere di applicarlo al fine di rendere il sistema efficiente e possibilmente efficace e doverosamente risponderà dei risultati. Parole sincere e severe, che devono confrontarsi altrettanto con le vive contraddizioni di un animo umano che contrasta deliberatamente tutto questo. Siamo calati in quella Petri dove la cultura dominante è spinta a soffocare deliberatamente (dolosamente) la storia, ed il futuro, vivendo in un equilibrio precario un presente ricco di (false) promesse, sostenute da una memoria ormai anestetizzata da rumori di fondo deliberatamente prodotti. Ricordo matrimoni che durano meno del mutuo, fotografie che costituiscono la memoria di momenti importanti custoditi in un vulnerabilissimo cellulare, relazioni che non si scandalizzano di concludersi con un sms. Elzbieta Tarkowska sviluppa e il termine di umani sincronici, capaci di vivere unicamente nel presente, il passato poco insegna e le conseguenze del futuro  futuro sono negate. 

Esiste ancora il tempo? Non ce ne voglia Albert Einstein, ma  per “processare” il tampone (termine alla di cui è stato fatto largo uso nell’anno 2020) e verificare l’eventuale positività al Covid 19 ci vuole tempo così come per avere formalmente l’esito. Processare: elaborare, analizzare dati, questo è uno dei possibili esempi di come il tempo nelle scienze dure (fisica, matematica,  ecc.)  esiste in qualità di variabile dipendente e fondamentale. Questi stessi processi, avvengono in una determinata epoca storica dove l’espressività di molti concetti può essere soggetta a possibili deformazioni dovute alla cultura dominante dell’epoca così come l’espressività sintomatologia dei disturbi mentali è a sua volte condizionata dalla cultura del momento. La lievitazione della pasta per la pizza ha un suo tempo come ne ha uno corretto per la sua cottura. Conosciamo gli esiti di tempi non rispettati; pizza crudo o bruciata, pasta non lievitata, sanzione per sosta a tempo superata ecc.

Questo interessante scambio sul tempo nelle sue diverse e molteplici veste, ricorda a noi quanto questo sia importante. In un convegno sui tempi di cura qualche anno fa, il Prof. Giovanni Giusto introdusse il tema in modo originale attraverso dei detti o modi di dire ormai consolidati nel nostro linguaggio: chi ha tempo non aspetti tempo, il tempo è denaro, tempo al tempo, ecc. Questo con la forza della provocazione permise ai discenti di recuperare l’attenzione e di sentirsi chiamati in causa a vario titolo (dagli amministrativi ai sanitari) e a riflettere sull’attuale modello organizzativo di assistenza e presa in carico del pz psichiatrico. Cito questo ricordo ancora chiaro nella mia mente per raffrontarlo con il modello proposto da Jaakko Seikkula IL DIALOGO APERTO, l’approccio finlandese alle gravi crisi psichiatri e ospitato in occasione del Concresso ISPS a Varazze. Come si usa dire oggi, fatto la tara dell’estensione della Nazione, la densità abitativa, le risorse economiche, il numero di abitanti ecc. colpisce ancora quanto relazionato e documentato nel suo testo: il primo incontro su pz in crisi avviene entro le 24 ore successive, presenzieranno oltre al pz i famigliari (parte integrante della presa in carico). I curanti rimangono gli stessi per tutto il tempo della cura/guarigione e la famiglia in qualche modo è il cardine sul quale gravita l’intervento condiviso e concordato. Questo modello per alcuni aspetti affascinante almeno per quello che leggo, mi lascia perplesso su quali e quante posso essere le diverse proposte di politica sanitaria e quanto potrebbe essere utile comparare modelli organizzativi sanitari differenti, a livello internazionale e nazionale come già a suo tempo fece il prof. Zangrandi in termini di efficienza, efficacia, costi.

Vorrei rendere omaggio a conclusione di questa mia riflessione al prof. Fausto Petrella, che mi sembra possa bene sintetizzare e concludere questo mio pensiero:

Diffidiamo dunque da pregiudizi organicisti e psicologicstici, e interagiamo con l’opera, penetrando in essa con mente e cuore sgombri, ascoltandola ripetutamente, così come si fa con il paziente in analisi anche per permettere di conoscerlo, e di conoscerci. La psicoanalisi aspira ad una forma di comprensione incompatibile con la fretta, la superficialità e i limiti di un unico ascolto con l’applicazione semplice di un unico schema, di un modello, di molti modello. Sono queste alcune delle reali difficoltà dalle molteplici cause che ostacolano l’ascolto e impediscono un buon rapporto non solo con il Bolero, a con ogni opera musicale e in definitiva con ogni persona.

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Commenti su "Pensieri sparsi sul tempo"

  1. Una domanda che da tanto ci si pone è: il tempo ha una esistenza reale o è una nostra costruzione, evidentemente utile? Kant mi sembra sostenesse la prima ipotesi: se è una categoria, anteriore a ogni esperienza, è un necessario preliminare a ogni nostra costruzione e dunque non può esserne il risultato. D’altronde, sono legittimi i dubbi sulla sua reale esistenza, avanzati anche da Morelli nel contributo all’incontro sul tempo organizzato da Redancia nel Dicembre scorso. E del resto, se si riflette sulla classica suddivisione in passato, presente e futuro si coglie la problematicità del tema. Infatti, solo il presente è propriamente reale, ma tuttavia svanisce nel momento stesso in cui si presenta. Quanto al futuro, esiste solo nella mente come progetto o previsione: Heidegger vedeva il tempo come possibilità e progettazione. Passato: possiamo anche ritrovarlo in qualche modo nella traccia – peraltro sempre da interpretare ad opera di pazienti archeologi – che ha lasciato nel reale; oppure, ancora una volta, nella mente, come ricordo consapevole o meno: Freud diceva che il passato è presente in noi. E già Agostino si interrogava sui rapporti fra tempo e memoria.
    Ma è meglio lasciare questa diatriba. E’ più utile riflettere sui due fondamentali aspetti del tempo.
    C’è il tempo “spazializzato”, così detto perchè si misura come si misura lo spazio, e assume caratteristiche di questo (lasciamo perdere l’impervio discorso dello spaziotempo, riservato ai fisici). Aristotele lo definiva infatti un modo di misurare il movimento. E spaziale è la disposizione delle lancette dei vecchi orologi, e in quelli digitali il valore delle singole cifre (Ore? Minuti? Secondi?) è definito dalla loro disposizione e collocazione nel quadrante.
    E c’è il tempo della coscienza, il “tempo vissuto” di Bergson, da lui definito anche con la contrapposizione fra materia e memoria; tempo che sfugge alla misurazione; il flusso di coscienza che ha ispirato Joyce con la sua magistrale raffigurazione del continuo shift fra i contatti percepiti con la realtà esterna e il prevalere di interne fantasie e associazioni. Egli è stato ispirato anche dalla psicanalisi, cui si è avvicinato specialmente nell’esperienza triestina; e di fatto anche lo psicanalista classico si confronta col rapporto fra tempo dell’orologio e tempo interno, quando rigorosamente sancisce la durata della seduta; modalità peraltro contestata da Lacan che non si peritava di interrompere anche bruscamente l’incontro nei momenti ritenuti emotivamente pregnanti, dando dunque priorità al tempo interno.
    E’ chiaro che il problema si pone nella Comunità Terapeutica, dove l’esigenza concreta di una gestione dei tempi – terapeutici specifici e aspecifici come indicato da Giusto nell’incontro di Dicembre, pratici quotidiani, amministrativi, giuridici – si confronta con i tempi interni del paziente, dunque con l’aspetto più centrale del nostro lavoro. Sappiamo che lo psicotico tende a fermare il tempo, perchè teme il cambiamento. In lui, secondo Binswanger, “c’è un arrestarsi, un giungere alla fine dell’autentica mobilità storica dell’esistenza”. Egli non riesce a realizzare una espansione orizzontale corrispondente alla discorsività, all’esperienza, alla considerazione e preda di possesso del mondo, a un ampliamento dell’angolo di visuale.
    L’operatore può così trovarsi, ci ricorda Roberta Antonello, nel “tempo fermo della non relazione”. Dal canto suo Caterina Vecchiato , rifacendosi ad Agostino, ricorda che il futuro è attesa, nonchè la difficoltà del paziente di sostenere questa attesa. Ciò ha a che fare con la ricorsività del tempo, col riprodursi di situazioni simili ma diverse, rappresentabili (augurabilmente) non con una linea retta o con un cerchio, ma con una spirale: visione questa meno statica. Come ci insegna Andrea Narracci – parlo ancora dell’incontro di Dicembre – occorre dunque rompere il tempo circolare che pare non lasciare vie d’uscita, offrendo possibilità di un “new beginning”; interferire nel bagaglio personale del paziente, introducendo interazioni significative.
    Il problema, credo, è che ogni cambiamento, anche quello che una logica comune può considerare migliorativo, comporta anche una perdita, e a questa dovrebbe corrispondere una capacità di elaborarla, di pensare, di progettare posponendo e insieme anticipando la soddisfazione.
    Un altro risvolto ce lo ha indicato Maurizio Peciccia: c’è una disarticolazione dell’ esperienza del tempo, con turbe delle integrazioni passato – presente – futuro, legata a una disturbata esperienza del Sè, connessa per Winnicott a carenze della holding.
    Come sappiamo bene, non solo le mura del manicomio ma soprattutto il manicomio interno e la stessa diagnosi psichiatrica quando intesa come definizione esaustiva hanno congiurato con queste carenze della mente psicotica, esasperandone gli effetti con un implicito invito all’immobilità.
    turbo

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