Miriam è una persona che ha affrontato e superato un’esperienza di psicosi negli anni ’70. Nonostante la sua identità specifica rimanga sconosciuta, sappiamo che la sua malattia è durata undici anni e ha avuto un impatto profondo sulla sua vita. Gaetano Benedetti è stato lo psicoanalista che ha accompagnato Miriam durante gli ultimi sei anni del suo viaggio attraverso la psicosi.
Miriam ha iniziato a dipingere poco dopo l’inizio della psicoterapia, circa cinque anni dopo l’insorgenza della psicosi. La sua produzione artistica si è conclusa contemporaneamente alla fine della terapia e alla sua guarigione. Tutti i suoi lavori sono stati realizzati durante i sei anni di psicoterapia.
I quadri prodotti da Miriam lungo il suo percorso di trasformazione rivestono un’importanza storica fondamentale nella psicoterapia delle psicosi, e costituiscono il primo esempio di ciò che Gaetano Benedetti, uno dei pionieri della psicoterapia delle psicosi, ha definito “psicoterapia dell’espressione psicotica”.
Dalla Psicopatologia dell’Espressione Figurativa psicotica alla Psicoterapia dell’Espressione terapeutica
Fino agli anni ’70, le opere d’arte realizzate da persone affette da gravi disturbi mentali, come la psicosi, venivano analizzate al fine di svelare e mettere in luce gli aspetti psicopatologici o i conflitti psicodinamici presenti in esse, ma non immediatamente evidenti.
Questo approccio, noto come psicopatologia dell’espressione figurativa, si concentrava sulla decodifica degli elementi psicopatologici o psicodinamici presenti nei quadri, e veniva condotto dall’esterno da psichiatri o psicoanalisti. Benedetti, negli anni ’70, introdusse, invece, una prospettiva fenomenologica ed esistenziale, immergendosi all’interno delle opere e considerandole come creazioni dotate di una vita psichica indipendente dall’artista-paziente che le aveva prodotte.
In questa nuova luce, le opere di Miriam rivelano una propria dimensione di esistenza intersoggettiva, che riflette la relazione duale tra paziente e terapeuta. Tale relazione è immaginata come dotata di una vita psichica autonoma rispetto alla paziente e al terapeuta stessi.
Questo cambiamento di prospettiva segnò il passaggio dalla psicopatologia dell’espressione figurativa alla psicoterapia dell’espressione terapeutica. Non si trattava più solo di interpretare e analizzare le opere d’arte dappl di fuori, ma di immergersi in esse, entrando in contatto con la vita psichica che vi era racchiusa e aprendo così nuove possibilità di comprensione e trasformazione.
L’arte della relazione terapeutica
I quadri realizzati da Miriam rappresentano un’importante testimonianza della vitalità della relazione terapeutica tra Miriam e Gaetano. Ogni colore riflette le emozioni condivise nel loro profondo incontro, espressione dell’amore terapeutico che ha rigenerato una nuova possibilità di essere di Miriam trascendendo la sua intensa sofferenza psicotica.
In questo articolo, mi concentrerò sul primo di una serie di 15 opere che testimoniano sia le capacità artistiche della paziente, sia la forza della relazione terapeutica in grado di trasformare il dolore mentale condividendolo nello spazio intersoggettivo analitico.
Il dipinto è diviso in tre sezioni, ognuna delle quali rappresenta una fase importante del viaggio di Miriam e Gaetano attraverso la psicosi.
Prima sezione: un eccessivo adattamento sociale
Nella prima sezione del quadro, le formule chimiche che riempiono lo sfondo richiamano la professione di Miriam. La dimensione è pervasa da tonalità grigie, che suggeriscono una perdita delle sfumature colorate, vitali della sua esistenza. Miriam nella fase pre-psicotica riesce a funzionare, è laureata, ha un lavoro ma il suo adattamento alla realtà sociale è eccessivo, la sua vita è totalmente plasmata sul rispondere alle esigenze della realtà esterna. Questo la porta a sacrificare parti essenziali della sua vita interiore, con una intollerabile perdita del contatto del suo “Vero Sé” come direbbe Winnicott.
Seconda Sezione: l’ingresso nella psicosi
Nella seconda parte del quadro, un’immagine emblematica rappresenta l’esplosione della malattia. Una figura femminile, armata di un martello, frantuma la testa di Miriam, simboleggiando l’irruzione della psicosi nella sua vita. La percezione del mondo esterno si trasforma radicalmente e distorce il rapporto della paziente con la realtà esterna che diventa persecutoria.
Terza Sezione: guarigione e rinascita
Nella terza e ultima parte del dipinto, Miriam rappresenta l’uscita dalla dolorosa esperienza psicotica. La paziente si auto-raffigura tenuta per mano all’interno di una coppia che la protegge. L’immagine simboleggia il sostegno e l’amore materno e paterno del terapeuta che l’ha accompagnata lungo il suo percorso di guarigione.
L’Arte come Strumento di Espressione e Guarigione
I dipinti di Miriam evidenziano il ruolo dell’espressione artistica nel processo psicoanalitico. Attraverso la creazione delle sue opere, che illustrerò brevemente in una serie di prossimi articoli, Miriam ha trovato un modo originale di dare forma e significato alla sua esperienza psicoterapeutica, affrontando la sfida della psicosi e trasformando il proprio dolore psichico in un percorso di guarigione.
L’irruzione della psicosi trova nei quadri di Miriam una sua espressione, ma ciò che stupisce dal punto di vista intersoggettivo è che, attraverso la relazione e la possibilità di esprimersi in un’ambiente nel quale non è più la paziente ad iperadattarsi all’ambiente esterno, ma lo stesso ambiente di Holding in termini Winnicottiani, che si adatta alle esigenze e bisogni di Miriam. Questo permette l’uscita dalla frammentazione psicotica abbracciando la nascita del vero sé all’interno del contenimento dato da Benedetti. È affascinante comprendere quanto questo permetta alla paziente di esistere da un punto di vista psichico e quanto questa nascita si esplichi e prenda espressione all’interno del disegno speculare progressivo. Il percorso di costruzione esistenziale di Miriam, che parte dall’inferno delle psicosi raggiunge, grazie alla cura del campo analitico e dei suoi personaggi, ciò che potremmo denominare come paradiso psichico, un mondo non più frammentato e persecutorio. Ringrazio il prof. Maurizio Peciccia per aver condiviso tale nascita esistenziale.