Vaso di Pandora

La doppia vita di Raffaella Scarpa

La questione è semplice, e arriva senza fatica al lettore l’interesse per questa donna, Raffaella Scarpa, e per quello che propone. Arriva facilmente credo non solo a chi come me si occupa di psichiatria, ma anche a chi semplicemente è attento all’essere umano.
Lei è una linguista, insegna all’università a Torino: il padre medico, la madre che si ammala precocemente di sclerosi multipla.
Così questo suo collocarsi tra malattia e cura fin da bambina sembra dare il via ad un percorso dentro di lei che oggi approda a “Remedia, lingua, medicina, malattia” un progetto di studio presso l’università di Torino. L’oggetto del suo interesse sono le parole, lei ama la poesia. Così comincia a leggere le cartelle cliniche di malati mentali e non cerca il dolore, o il sintomo, o il senso perduto. Al contrario  scruta e trova le parole, quelle che sono dentro quel paziente autistico o nella giovane, ormai vecchia schizofrenica, che ha subito elettroshock, ma che non smette di scrivere, o negli infiniti elenchi di fiori, colori, oggetti che un giovane paziente ha compilato e conservato per anni.
Così la parola, la sua nascita diventa il centro di un discorso che noi sappiamo essere assai vicino al desiderio, alla presenza dell’altro, quale che sia la nostra capacità di riconoscerlo, vederlo, nominarlo, cercarlo.
Nel nostro lavoro quotidiano noi usiamo le parole per curare, per cercare di raggiungere l’altro, la sua storia, speriamo anche la sua sofferenza, e questo è quello che credo tutti noi sappiamo bene. Ma naturalmente noi siamo, come  questa particolare linguista, interessati al fenomeno emotivo che la produce, al fenomeno emotivo che la nasconde, dove la parola, il linguaggio fornisce la possibilità di fare esperienza di sé, e inevitabilmente del mondo, oppure di escluderci da esso.
Per questo restiamo colpiti, (o almeno a me succede così) dal linguaggio con cui si propone alle volte il nostro incontro con il malato mentale, la sua mente che cerca parole, talvolta la parola che abita  la sua mente, curiosa o inquietante, senza apparente senso e siamo attenti agli echi che risuonano dentro di noi, e che nuovamente ci  propongono parole, che restituiamo. Noi psichiatri, psicologi, psi usiamo parole tecniche, transfert, controtransfert, “narrazione”. Ma anche conosciamo il senso di quello che chiamiamo linguaggio, traduzione di fatti psichici, fisici, alle volte il linguaggio del corpo, che parla, urla o semplicemente sussurra o tace. Per questo credo siamo così vicini  al vagare di questa donna che è certa di trovare dentro quelle storie ciò che non è dimenticabile, probabilmente neanche davvero sopprimibile,  “logos” parola , letteralmente da “lego” / raccogliere (la vita) non intesa come segno grafico omologabile che racconta (la vita), ma come evento mentale/ linguistico che  segnala la sua ricerca, più spesso la sua scoperta.
Sono tante le suggestioni letterarie che mi vengono alla mente, scrittori che scrivono dello scrivere, poeti che scrivono del poetare, parole che non sono altro che l’arte di averle: Ferdinando Pessoa, con il  dialogo con se stesso, Amos Oz  “La vita fa rima con la morte” con il suo scrivere senza trama, così credo che  per questa donna essere appassionati di linguistica sia essere immersi nella duplicità del fenomeno del conoscere, a cavallo con il creare e il perdere, con l’ammalarsi e il curare. Per questo cercherò i suoi libri, certamente insoliti come lei.
Fa piacere trovare risonanze anche con chi si occupa di altro, lontano da noi.
Così vorrei salutare questa nuova conoscenza con le parole che precedono un libro di Grosssman a me molto caro (suggerito da una mia paziente).
 “Quando la parola si farà corpo
   e il corpo aprirà la bocca
   e pronuncerà la parola che l’ha creato,
   abbraccerò questo corpo
  e lo adagerò al mio fianco.”
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Commenti su "La doppia vita di Raffaella Scarpa"

  1. Grazie Paola per le suggestioni in questo tuo commento, le tue parole sono calde e mi trasportano in una dimensione dell’essere umano talvolta perduta, sono parole che restituiscono significato a quello che facciamo. Spesso siamo troppo attenti alle diagnosi e al trattamento senza soffermarci al valore delle parole. Stefano Pirrotta

    Rispondi
  2. Prezioso come il seme che la vita dà è il lavoro di chi prova ad ascoltare le parole che restano mute o strozzate in corpi che lentamente si distruggono.
    Viva Remedia e progetti come questo!

    Rispondi
    • Dopo un po’ di tempo da questo commento e da questa lettura leggo con stupore il tuo commento Francesca,ma mi accade che nuovamente si rinnova il potere nascosto dello scrivere e del leggere,come se questi sorvolassero sul tempo senza alcun peso.
      So che questo continuerà ad accadere.
      Seme prezioso davvero.
      Paola

      Rispondi

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