Il 18 maggio 2023 si è svolto a Palazzo Ducale a Genova il convegno “La città che cura. La salute mentale come bene comune” il terzo evento sul Patto della Salute Mentale siglato nel 2018 da ASL3 Genova con più di 60 firmatari, tra associazioni di volontariato, associazioni di familiari e utenti, regione, comune, sindacati, istituzioni private e individui.
E’ stata una giornata molto importante per Genova e la Salute Mentale non solo per la presenza di più di 400 partecipanti ma anche perché abbiamo cercato di dare nuova linfa al Patto della Salute Mentale attraverso il coinvolgimento di 50 relatori non solo sanitari e operatori della salute mentale, ma anche familiari, utenti, cittadini, amministratori pubblici, associazioni di volontariato, cooperative sociali con l’obiettivo di fare sistema e rimettere al centro dell’agenda della città il tema della salute mentale in un periodo storico in cui i servizi da una parte sono sommersi dalle richieste di cura, in particolare di giovani, e dall’altra da pressanti richieste di controllo sociale.
Il Patto della Salute Mentale rappresenta il tentativo di mettere insieme tutte le risorse e tutti gli stakeholders della salute mentale, ma anche tutte quelle istituzioni che a vario titolo possono incidere sulle politiche inerenti la salute mentale con l’obiettivo di migliorare il benessere delle persone e della collettività non solo attraverso le cure tradizionali ma anche attraverso una partecipazione e una responsabilità allargata della città, per dare forza al concetto di integrazione tra cure propriamente dette e il prendersi cure della sofferenza più soggettiva e sociale dell’individuo, per combattere lo stigma e in definitiva per affermare che nessuno è in grado di risolvere da solo i problemi di salute mentale di una città.
Il razionale del Patto si basa su due concetti chiave innovativi introdotti dall’Organizzazione Mondiale della Salute: il concetto di Healthy Cities e quello di Health in All Policies.
Healthy cities, cioè città sane, sono quelle città che sono consapevoli che la salute, nel nostro caso la salute mentale, non si crea nei servizi sanitari ma nei luoghi di vita delle persone, nei luoghi di lavoro, in famiglia, a scuola e per questo mette in atto delle politiche per tutelarla e migliorarla.
Secondo quest’ottica la salute mentale diventa un bene comune sia perché la stessa ha un forte impatto sul funzionamento della comunità, ma anche perché avendo, in un’ottica biopsicosociale, un forte legame con l’ambiente in cui si vive e si cresce, con l’educazione e gli stili di vita, con il livello economico e sociale, diventa il risultato di una responsabilità allargata e comune della città e della comunità.
In linea con questi principi il concetto di Health in All Policies, cioè salute in tutte le politiche, fa riferimento a un nuovo modo di fare salute che coinvolge, in modo sinergico e trasversale settori diversi della società, delle istituzioni e i portatori di interesse in una dimensione partecipativa e di responsabilità collettiva.(perché tutto ciò che si fa ha delle ricadute sulla salute).
Il Patto della Salute Mentale di ASL3, in questi 5 anni, ha cercato di orientarsi in questa direzione aprendo degli spazi di condivisione e di confronto aperti a tutti i firmatari e alla loro più larga rappresentanza, attraverso dei tavoli di lavoro coordinati da una Consulta Salute Mentale. I risultati sono stati importanti, nonostante il periodo Covid, come ad esempio l’aver creato in tutti i distretti cittadini delle reti collaborative, i cosiddetti circoli territoriali, tra risorse formali del sistema sanitario e risorse informali (associazioni di volontariato, di quartiere, di familiari e utenti, risorse comunali) con lo scopo di favorire l’inclusione sociale, combattere lo stigma e migliorare la qualità della vita dei pazienti; sono nati poi progetti di collaborazione con i familiari, progetti di inserimento lavorativo e di prevenzione nelle scuole su cui sarebbe troppo lungo soffermarsi.
Ciò che è importante sottolineare, in un periodo storico in cui la psichiatria e i servizi di salute mentale rischiano di essere mesi all’angolo da richieste impossibili, è la necessità di fare sistema e costruire alleanze ad ampio raggio, uscendo da un’autoreferenzialità biomedica, contaminando e contaminandosi con settori e aree non sanitarie, realizzando ponti e imparando a comunicare per fare in modo che la salute mentale diventi tema che non interessi solo gli addetti ai lavori ma diventi realmente bene comune.
Credo fortemente che il Patto della Salute Mentale rappresenti un modello innovativo e strategico di fare salute in salute mentale in grado di rispondere in modo più articolato e appropriato ai bisogni di salute di una città o di una comunità, in termini di promozione, prevenzione, cura e inclusione sociale.
Ammirevole iniziativa. Si tratta anche di una risposta alla crisi che traversa i Servizi. Sul numero di Maggio di “Le Scienze” Cristina Da Rold, consulente per la comunicazione per l’Ufficio Italiano della OMS, ne parla ampiamente e dettagliatamente, sotto il provocatorio titolo “Una salute mentale a gettoni”. Per noi, si tratta di cose che conosciamo: ma credo importante che appaiano su rivista non indirizzata a tecnici. Ce n’è bisogno, sempre nella prospettiva indicata da Ghio.
Infatti sappiamo che la crisi traversa l’intero SSN ma che, mentre ognuno si sente coinvolto dal problema della malattia somatica, è invece forte pur se spesso latente la spinta a considerare il malessere mentale grave come qualcosa che “non può riguardarci personalmente “. Quindi, se qualcosa non funziona nell’intervento, può alimentare nel pubblico la spinta non a migliorarlo ma anzi a tornare al passato, a nascondere la polvere sotto il tappeto: quel tappeto che erano i manicomi.