Vaso di Pandora

Il desiderio irrefrenabile dei manicomi giudiziari. Ovvero la cattiva coscienza dei disinformati.

La riforma degli ospedali psichiatrici giudiziari rappresenta un punto di arrivo di una battaglia di civiltà che riconosce il diritto di cura a soggetti che hanno compiuto reati a volte anche non particolarmente gravi (anzi prevalentemente) comunque che sarebbero penalmente perseguibili tranne per il fatto che al momento del reato sono stati dichiarati parzialmente o totalmente incapaci di intendere e volere.

Non si tratta di pazzi criminali che vagano tra le nostre fantasie stimolate dal desiderio di vendere qualche copia in più da parte di giornali di basso profilo etico, pronti ad aggredire, ma di persone perlopiù indifese, fragili e confuse.
Certo tra loro può celarsi qualcuno che non è propriamente un paziente psichiatrico e che grazie ad esperti avvocati ed incompetenti (psichiatricamente parlando) periti, riesce a trovare un’alternativa al carcere mettendo in grossa difficoltà medici, infermieri e operatori delle neonate Rems che non possono opporsi all’invio diretto e che devono accettare di ospitare anche tali individui rimanendo col classico cerino in mano, rischiando di scottarsi. Siamo in una fase iniziale e bisogna affinare il meccanismo di controllo degli invii cercando di non confondere la Rems con il carcere altrimenti non avremo chiuso gli Opg che tutti hanno definito luoghi di violenza, ma ne avremo aperti altri 25 (più o meno il numero delle Rems in Italia).
La Rems deve organicamente far parte dei dipartimenti di salute mentale che dovrebbero esprimere, in quanto servizio pubblico, anche i periti utilizzati dal tribunale, favorendo un incontro equilibrato tra esigenze di cura e di custodia.
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Commenti su "Il desiderio irrefrenabile dei manicomi giudiziari. Ovvero la cattiva coscienza dei disinformati."

  1. Ho letto l’’intervento del Prof. Corleone sul VdP “Mai più OPG” che trovo un tantino inquietante, ma che mi pare dia anche un esempio emblematico di come nascano le riforme in Italia o più volgarmente delle “riforme all’italiana”. Nella migliore delle ipotesi le REMS, allo stato attuale, costituiscono soltanto un primo significativo passo verso una più felice integrazione tra il rispetto per l’individuo e il riguardo per le esigenze di difesa della collettività. Nella peggiore siamo ancora alla fase iniziale, quella della mera chiusura degli OPG. Discutiamo ancora persino di quale debba essere la natura delle REMS e quali siano i soggetti da inviare in queste strutture. Come dire che il legislatore si è “dimenticato” di valutare qual è lo “scopo”, la mission di queste strutture che non mi pare cosa di poco conto dopotutto principalmente in una prospettiva che vuole essere soprattutto di “cura”. Se badiamo al linguaggio lo stesso articolo sembra a tratti un “manifesto di intenti”: “Bisogna chiarire…Andrebbe stabilito…Andrebbe sciolto…Occorre definire…E’ indifferibile…Altrettanto indispensabile…”. Insomma, non abbiamo proprio niente a parte una onorevolissima dichiarazione di principio? Sembra quasi che le REMS nascano in un pauroso vuoto concettuale e normativo. Capisco che una riforma non nasce mai perfetta, ma trattasi di un processo che va affinato e adeguato in itinere. Capisco anche che la priorità sacrosanta era porre fine a quelle case indegne e degli orrori che “erano/sono” gli OPG. Dal 1998 tempo in cui fu istituita la Commissione Grosso per la riforma del codice penale al 2012 anno in cui il legislatore dettava le disposizioni per il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari è trascorso qualche anno che poteva essere utilizzato più proficuamente, forse. Notiamo che la stessa legge del 17 febbraio 2012 prescriveva al 31 marzo 2012 la cessazione dell’attività degli opg. Più che una riforma, si potrebbe parlare di un comando, anzi nemmeno. Forse trattavasi di incitamento, un incoraggiamento paterno/materno, per così dire, a farla finita con certo scempio di umanità. E allora diciamo che attualmente si tratta soltanto di assicurare delle condizioni più umane agli “infermi di mente” autori di reato e “speriamo che me la cavo”, voglio dire speriamo che non si tratti alla fine di assicurare soltanto degli alloggi più confortevoli e una bella palestra ai “detenuti”, tutte cose bellissime, si capisce, ma che invece dovranno costituire il primo passo verso un più “fulgido futuro” di “riabilitazione e cura”.
    Dell’articolo del Prof. Corleone sottolineo anche la questione della “pericolosità sociale” il cui istituto “andrebbe” assolutamente rivisto (come ulteriore passo per sanare la fatidica contraddizione in cui si arrabattano Sanità e giustizia dai tempi dell’avvento del TSO, almeno) perché rimane nonostante i progressi conseguiti “concetto ancora vago e incerto”. Non dico che il giudizio prognostico non vada riservato al giudice (sebbene in un mondo perfetto lo rimetterei esclusivamente al perito in quanto si presuppone che sia l’unico a capirci qualcosa della psicologia del paziente-reo, ma questa è un’altra storia) ma almeno che non si escluda una maggiore integrazione se non proprio l’attribuzione di un ruolo maggiore al perito. Qui il punto è anche che verosimilmente essendo la “pericolosità sociale” questione prettamente sistemica non può essere nemmeno lasciata per la sua complessità alla sola figura dello psichiatra che da solo, secondo me, non può dare al giudice indicazioni con un sufficiente margine di certezza (da qui anche probabilmente la difficoltà più che l’ “incompetenza” lamentata in certi casi dal Prof. Giusto). Più apprezzabile sarebbe il “metodo combinato”, che cerca di tener conto dei dati personali dell’analisi clinica unitamente a quelli sociologici e statistici. Il limite di tale metodo è rappresentato dai costi, considerato il fatto che il giudice dovrebbe avvalersi di un collegio peritale composto da psichiatri, psicologi, sociologi antropologi eventualmente ecc.. Insomma, per fare le riforme serie ci vogliono i soldi, temo! :sigh:

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