Vaso di Pandora

Esperienza di formazione in PM presso le CT Redancia

Poco prima dell’arrivo del Covid, ho avuto la fortuna di essere chiamato a svolgere un’attività di supervisione presso le Comunità Terapeutiche del Gruppo Redancia.

Su sollecitazione del dott. Giovanni Giusto, direttore scientifico del Gruppo, ho avuto la possibilità di partecipare a tre Gruppi di Psicoanalisi Multifamiliare (GPMF) presso tre distinte Comunità Terapeutiche: la prima era una CT per giovani da 14 a 18 anni, di cui la maggior parte autori di reato, la seconda per giovani e meno giovani di dimensioni contenute, la terza, simile alla seconda, ma di dimensioni più ampie.

Tutte e tre erano accomunate dal fatto che io non conoscessi, oltre che pazienti e familiari, anche gli operatori, eccezion fatta per il responsabile della seconda CT e per una dei componenti dello staff della terza.

Nonostante ciò, tutte e tre le esperienze sono risultate nel complesso soddisfacenti e, in alcuni momenti, molto significative.

I gruppi sono stati diversi: il primo, molto frequentato sia dai pazienti che dai genitori, è risultato un vero gruppo di psicoanalisi multifamiliare, nel senso che ho sentito molta motivazione dal lato dei pazienti e dei familiari e una buona esperienza acquisita da parte degli operatori.

Il secondo è stato più difficile: c’è stata una partecipazione più settoriale, nel senso che alcune famiglie erano ben rappresentate, altre meno e che gli operatori tendevano più ad affidarsi ad un unico conduttore che a farsi carico della conduzione come gruppo di conduttori, però nel complesso, anche attraverso alti e bassi, ha permesso ai componenti di alcune famiglie molto patologiche di riannodare un dialogo da molto tempo interrotto. Alla fine si è stabilito un buon clima, con la speranza che l’occasione della mia presenza, come opportunità di fermata e di riflessione approfondita, segnasse, per tutti, la possibilità di un nuovo inizio.

Nella terza comunità, mi sono sentito in una situazione che rassomigliava a quella sperimentata in Argentina, a Buenos Aires: una realtà molto complessa, piena di situazioni difficili, per la maggior parte con una storia non breve alle spalle che, nonostante le difficili premesse, ha saputo animarsi di emozioni genuine, da parte di pazienti e familiari e di interventi empatici, da parte degli operatori.

Da queste esperienze, sono uscito rinfrancato: il gruppo di PM aveva dato prova di grande vitalità, tanto da riuscire a sviluppare una capacità di riflettere in tutti e tre i difficili contesti in cui lo avevo visto all’opera.

Devo aggiungere che ho avuto la sensazione chiara di quanto potesse essere utile, sia ai pazienti e ai genitori che agli operatori, iniziare a partecipare ad un dispositivo che è risultato in grado di aiutare ciascuno a riconoscere dentro di sé quello di cui ha bisogno e che, viceversa, aveva sempre messo da parte, finendo per non riconoscerlo.

Purtroppo, con l’insorgere del Covid, nel mese di marzo del 2020, questa attività che si era svolta dal vivo nelle tre Comunità Terapeutiche in questione, si è interrotta.

Nei primi mesi del 2021, la direzione delle Comunità Redancia ha deciso di ricominciare a svolgere la funzioni di formazione con l’aiuto della tecnologia, tanto che il dott. Giusto mi ha proposto di riprendere, da remoto, il lavoro di supervisione-condivisione del lavoro di introduzione e gestione del gruppo di PM, all’interno delle varie Comunità.

All’inizio, ho pensato ad un lavoro classico di supervisione, non essendo possibile partecipare direttamente ai gruppi. Ne ho effettuate un paio in due differenti Comunità, ma non ne sono rimasto soddisfatto e, temo, neppure gli operatori a cui erano state rivolte. Mi sono reso conto, successivamente, che con questo tipo di gruppi era come se mancasse qualcosa se la supervisione fosse consistita nel lavoro, comunque importante, di presa in considerazione di quanto esposto dai terapeuti a proposito di come si fosse svolto il gruppo dal loro punto di vista.

Al contributo diretto di pazienti e familiari non era possibile accedere; allo stesso modo, la maniera in cui l’interazione tra gli uni e gli altri avesse determinato il clima e gli scambi che si fossero verificati non poteva che essere riferito soltanto parzialmente.

A questo punto mi sono detto che sarebbe stato più interessante partecipare direttamente al singolo gruppo, in ognuna delle Comunità Terapeutiche, svolgere un Ateneo conciso con gli operatori della Comunità coinvolta in quella occasione e stimolare quegli stessi operatori a individuare due o tre temi di carattere generale, che lo svolgersi di quel gruppo avesse sollevato e riproporli come introduzione alla discussione a carattere generale, a cui avrebbero partecipato tutti gli operatori delle Comunità Redancia interessati alla PM, che si sarebbe svolta, in ogni occasione, successivamente alla partecipazione, da parte mia, ad uno dei gruppi che si sarebbero tenuti presso una delle CT Redancia.

Così è andata, anche per la sensazione di sicurezza nei miei mezzi che mi è stata data dal dott. Giusto. Mano a mano che l’esperienza andava avanti, mi sono sentito più sicuro e convinto che quello fosse il modo di intervenire da parte mia, sia per quanto riguarda i pazienti e i loro familiari, sia per quel che concerne la formazione degli operatori.

Ci sono parecchi elementi di novità in questo modo di procedere:

  1. È possibile partecipare ad un GPMF, preferibilmente dopo aver acquisito una esperienza adeguata, senza conoscere preventivamente pazienti, familiari e operatori o conoscendo soltanto qualcuno di questi ultimi; aggiungo soltanto che io mi sono ritrovato a fare questa esperienza dopo molti anni di lavoro in questo campo, una volta acquisita la convinzione di poter riuscire a “mettere in moto” e a “gestire in maniera adeguata” un gruppo di questo tipo nelle condizioni più disparate; questa riflessione rimanda al fatto che Jorge Garcia Badaracco ci ha insegnato la PM in questo modo, dal 2000 in poi, quando sono iniziati i nostri incontri, pochi anni dopo essere tornato, da esterno, a fare gruppi dentro gli OP Borda, per i maschi e Mojano, per le femmine, nel 1995; esperienza che lo ha condotto a denominare i gruppi multifamiliari: gruppi di psicoanalisi multifamiliare, cioè gruppi che possono essere tenuti in qualsiasi tipo di istituzioni, sia in quelle che prevedono il ricovero del paziente, dove i gruppi erano nati, che in quelle che non lo prevedono (ambulatori, CD);
  2. Il susseguirsi di queste esperienze in tante diverse comunità e nella riunione generale, composta mediamente da quaranta operatori, in cui si è chiamati a confrontarsi partendo da elementi concreti per riandare agli elementi teorici sottostanti, mi ha fatto riflettere molto sulla particolare natura di questo modo di lavorare; in particolare sul gruppo che sembra configurarsi come un organismo in grado di iniziare ad esistere, se opportunamente stimolato in questo senso, ma che, in seguito, sembra dotato se non di vita propria, però di una particolare capacità di sviluppo, collegata, a mio parere, ai movimenti condotti dai conduttori e dai facilitatori; questi ultimi, infatti, parafrasando quello che è il mio ricordo di quello che era stato il comportamento di JGB all’interno dei gruppi che abbiamo condiviso, permettono la crescita e la maturazione del gruppo nella misura in cui sanno “ritirarsi” progressivamente dal ruolo centrale loro assegnato. Fino ad assumere, progressivamente, il ruolo, prima di coordinatori e, infine, di membri del gruppo, che intervengono, in genere, con le stesse modalità in cui intervengono tutte le altre persone presenti al gruppo stesso.

L’esperienza condotta secondo questo schema:

a) gruppo in una CT Redancia, a cui partecipo, una tantum, anche io;

b) ateneo ristretto agli operatori di quella CT;

c) individuazione di due o tre temi emersi concretamente nel corso di quel gruppo che rimandano ad elementi teorici più o meno da approfondire;

d) discussione in ambito plenario con tutti gli operatori provenienti dalle CT Redancia interessati a formarsi nell’ambito della Psicoanalisi Multifamiliare,

sembra risultare particolarmente efficiente.

Meriterebbe di essere preso in considerazione per es. da un DSM in ambito pubblico. In quella sede potrebbero essere messi a confronto le differenti modalità attuative di questo tipo di gruppi nei differenti Servizi in cui si articola e permettere di svolgere un proprio processo di crescita ad ognuno degli operatori. I costi attuativi possono risultare estremamente contenuti, senza rinunciare alla necessità di mettere a frutto nel migliore dei modi l’incontro tra gli operatori in formazione che conducono l’esperienza e la persona con più esperienza che può attivare la sua funzione formativa proprio attraverso lo strumento alla cui gestione è chiamato a fornire ai meno esperti il frutto di una sua maggiore esperienza.

L’attività delle “assemblee degli operatori” possono trasformarsi in dei veri e propri gruppi di psicoanalisi multifamiliare, in particolare per quanto riguarda l’instaurarsi in ognuno dei partecipanti di una capacità di concentrarsi su qualcosa che lo riguarda specificamente ma che può “interessare” anche gli altri.

Ancora una volta, in questo caso in un’attività nata come formativa per qualcuno, in realtà ci si può rendere conto che possa risultare formativa per tutti, anche per il formatore, ma non sulla base di una formula teorica quanto sull’esperienza della condivisione della possibilità di mettere in moto, all’interno di ognuno, di quegli stessi meccanismi di cui andiamo alla ricerca quando proviamo a costruire un gruppo di psicoanalisi multifamiliare, con pazienti e familiari, in quel caso, mentre qui partecipano esclusivamente operatori.

Siamo poi così diversi? Gli esponenti di queste categorie sono tanto differenti oppure tra gli esponenti di famiglie patologiche e i rappresentanti di famiglie che patologiche non dovrebbero essere o, per lo meno, non esserlo più, la differenza non è poi così marcata?

Mi verrebbe da pensare che la differenza sia più quantitativa che qualitativa, da un lato non dimenticando l’opinione di Freud sulle “serie complementari”, dall’altro ripensando a quanto avvenuto in un gruppo che si è tenuto recentemente a Perugia, durante il Congresso ISPS, a cui hanno partecipato pressoché esclusivamente operatori di diverse nazionalità. In quella situazione l’intervento iniziale da parte di un operatore, che ha raccontato un sogno effettuato la notte prima del gruppo, ha ottenuto che si sviluppassero parecchi interventi, da molte persone diverse, tra le dieci e le quindici, nel corso dei quali ognuno ha manifestato quanto il tema dei rapporti con i propri fratelli, all’interno della propria famiglia fosse stato e fosse ancora difficile da vivere. Come a dire che, se stimolati da una considerazione appropriata, evidentemente, tutti possono riuscire a trovare la forza di esprimere, in quello o in altri campi, lo stato della propria sofferenza.

Io penso che il gruppo di psicoanalisi multifamiliare abbia in sé la capacità di costruire un clima tra le persone che permette di comunicare attraverso le emozioni: l’instaurazione di un “linguaggio emotivo” che avvicina i partecipanti e permette loro di ritenere l’altro meno differente da sé di come lo considera in genere e, perciò, più in grado di comprenderlo e manifestare il segno tangibile della propria comprensione, intervenendo a sua volta e presentandosi per come è senza scegliere quale parte mostrare di sé e quale no.

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Commenti su "Esperienza di formazione in PM presso le CT Redancia"

  1. Grazie Andrea della condivisione della tua importante ricerca e riflessione mi colpisce, in particolare , quanto esprimi e promuovi riguardo alla capacità del conduttore di ritirarsi progressivamente dal ruolo centrale fino a diventare nel tempo membri del gruppo che intervengono ,in genere, come tutti gli altri .

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  2. Lo stile partecipativo, condivisivo, comprensivo, confidenziale e compassionevole che descrivi incarna l’essenza dell’intervento in comunità terapeutica rendendo merito e ragione del valore della psicoanalisi multifamiliare nelle residenze psichiatriche qualunque sia la loro denominazione.
    Per farlo bene ci vogliono però persone come Te, disponibili e capaci di includere ospiti, operatori e parenti.

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  3. Nell’articolo che ci riconduce alla capacità/necessità di autoriflessione sempre in ogni contesto … e allora arrivano risorse di parola e comunicazione… perché di base siamo sulla stessa barca e sullo stesso mare … di base

    Rispondi

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