Vaso di Pandora

Burocrati

La pandemia li ha fatti uscire allo scoperto come le lumache dopo un giorno di pioggia.
Impegnatissimi, chiusi nei loro uffici o nelle loro case diventati uffici, ben lontani dalla realtà di tutti i giorni e dai bisogni prevalenti fanno un indubbio sforzo indirizzato anche onestamente per produrre moduli, interviste, richieste dati, formulazione di strategie magari in ritardo ma comunque sensate.
Alcuni miei collaboratori, dirigenti di struttura, mi hanno fatto notare il fatto che molti pazienti hanno incominciato a lamentare la scarsa vicinanza con gli operatori determinata da queste incombenze alternative alla cura del paziente ospitato in comunità: “Dr.ssa è sempre al telefono o al computer… perché non parla un poco con me?”.

Qualcuno in passato, mi pare Benedetto Saraceno, aveva parlato di tempo specifico dedicato alla persona sofferente di disturbo mentale.

Con questa riflessione si intendeva sottolineare la necessità di riservare un cospicuo spazio mentale ai nostri assistiti. Questo spazio rappresenta la sostanza del nostro lavoro e garantisce i risultati attesi.

L’emergenza covid19 giustifica solo parzialmente la distrazione da questo compito fondamentale.

Parlino delle attività specifiche coloro che le conoscono per averle praticate, gli altri imparino ad ascoltare e semmai a condividere e supportare gli esperti veri adattando il loro lavoro senz’altro prezioso alle reali necessità.
Questo ci/vi dovrebbe insegnare l’attuale rivoluzione pandemica.

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Commenti su "Burocrati"

  1. In teoria il burocrate ( bureau= ufficio,kratos= potere) dovrebbe facilitare con le sue competenze , competenze reali e non di faccendiere,la realizzazione di fini collettivi e utili alla società diffusa: dovrebbe operare secondo competenza,imparzialità e razionalità….insomma al servizio dei cittadini e degli utenti dei vari servizi.
    In realtà,come evidenzia Gianni Giusto,questo avviene ben di rado ed io ,che ho lavorato per molti anni nelle istituzioni,ho sentito spesso come l’”apparato burocratico” consumasse la maggior parte delle energie per salvaguardare il proprio potere in gran parte disgiunto dell’operare per raggiungere obiettivi socialmente condivisi e ragionevolmente utili.
    La situazione della Pandemia ha evidenziato come il “ re sia nudo” …..farraginosità burocratiche,lentezze nel programmare progetti di cura efficaci ed efficienti.quindi
    I bisogni degli utenti sono ancor più disconosciuti.Credo che un po’ di responsabilità la abbiano anche i tecnici,i clinici che insieme agli stessi pazienti ed alle associazioni Dei malati e dei famigliari non confidano a sufficienza nel loro potere deterrente,di denuncia e di progettazione che parte dall’essere sul campo del lavoro clinico tutti i giorni : la prassi gramsciana così lontana dal mondo degli apparati burocratici , ad es quelli che per molti anni ho frequentato a livello regionale, lenti ,di rado competenti e fondamentalmente ostili alla risoluzione dei problemi, fatte alcune eccezioni tra le quali voglio ricordare qui il periodo ,purtroppo breve, di Micossi alla sanità ligure.

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    • Grazie Antonionpee aver ricordato Piero Micossi che ci ha prematuramente lasciato con il quale ho condiviso visioni e valori che hanno portato alla creazione di Hss ora Kos spa

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  2. Ringrazio il Prof. Ferro per l’ottimo richiamo gramsciano. Sarà un caso se per commentare i mala tempora che corrono ci affidiamo non più alla psicologia o alla psichiatria tout court, ma ad uno studioso “esterno” esperto di “economia politica”, fine politologo e filosofo? O specialista in scienze sociali, se vi pare. O forse è vero che le istituzioni sono incorreggibili dall’interno. Cioè sono riformabili soltanto dall’esterno, vale a dire che occorrono personalità, competenze, punti di vista provenienti da discipline apparentemente diverse da quelle in questione? Non ricordo chi l’avrebbe detto, ma insomma, prendetela per buona.
    Allora, approfitto dell’occasione per provare a riflettere sul concetto che – non possiamo non essere gramsciani – dentro. Giusto per riallacciarmi alla citazione del Prof. Ferro, mi pare pertinente per il nostro discorso chiederci parafrasando Gramsci: il predominio dei cattivi burocrati (alias “centralismo burocratico”) è reale? E in tal caso in che cosa realmente consiste? Tocca qui citare sempre l’idea Gramsciana che – …le manifestazioni morbose di (certo) centralismo burocratico sono avvenute per deficienza di iniziativa e responsabilità nel basso, cioè per la primitività politica delle forze periferiche…-. Nel nostro caso per “forze periferiche” potremmo intendere tutte le federazioni che raggruppano gli operatori sanitari che a vario titolo operano attorno all’organizzazione dei servizi territoriali della salute mentale sul suolo nazionale, ad esempio. Operatori sanitari la cui “attività effettuale” appare “disgregata, localistica, senza indirizzo d’insieme”. Ma aspetto ancora più importante è, secondo me, l’idea gramsciana secondo la quale se predominio dei burocrati esiste – l’influsso era sentito e subìto da scarsi gruppi intellettuali, senza legame con le masse popolari, ed è – appunto questa assenza di legame che caratterizza anche la situazione attuale; cioè la “supremazia” dei burocrati è dovuta al fatto che le categorie professionali hanno delegato a questi di fatto la competenza delle decisioni. Determinando in tal modo l’assenza della necessaria – …organica unità tra teoria e pratica, tra ceti intellettuali e masse popolari, tra governanti e governati -. Allora in cosa deve consistere la critica al “centralismo burocratico”? Come deve essere questa critica perché non si riduca soltanto ad uno sterile esercizio retorico di una ristretta cerchia di intellettuali volenterosi e idealisti o per dirla con Gramsci: come possiamo evitare che tutto si riduca a – un processo razionalistico, deduttivo, astrattistico, cioè proprio degli intellettuali puri -. Qui potremmo collegarci al tema della pandemia: allora, il contrasto ai burocrati inetti così come la lotta contro il coronavirus di turno non si fanno, temo, semplicemente disapprovando il “mondo” così com’è con un richiamo esteriore all’etica o con un rimprovero di stampo moralistico se vogliamo alle sue degenerazioni. Di sicuro questa pandemia come certa “burocràzia” sono anche il risultato di un “sistema” e dei suoi membri che rivelano tante volte un atteggiamento refrattario ai temi della responsabilità etica ed “estetica”, per così dire; tuttavia una critica etica alle – brutture del mondo – probabilmente non è sufficiente, non in questo frangente, almeno. La critica al sistema deve essere prima di tutto certamente – teoretica per essere radicale -. Però la critica teoretica per avere – un fondamento determinante deve essere empiricamente condizionata -, cioè per essere efficace la critica al sistema deve avere un’incidenza culturalmente utile, cioè deve avere delle ricadute concrete sulla quotidianità e sul rinnovamento delle persone sia come individui sia come gruppi. Urge allora che diventi fondamentale il principio gramsciano del – coinvolgimento di intellettuali e masse popolari – insieme. Ecco che ritorna ancora l’esigenza “dell’unità organica tra teoria e pratica”. Vale a dire che occorre che il “problema” sia sentito concretamente non soltanto dagli addetti ai lavori o dagli intellettuali idealisti, ma da tutti i cittadini a qualunque ceto appartengano. Non sembri allora così bislacca l’idea che la lotta ai burocrati e ai virus si fa attraverso una “coordinata assunzione di responsabilità personale”. Quest’ultima espressione sta a significare non soltanto che i burocrati sono con tutta evidenza una degenerazione del principio democratico della rappresentanza così come i virus sono il frutto della degenerazione di un ecosistema sistematicamente violato e “contaminato” dall’azione irresponsabile dell’uomo, ma rivela altresì tutta l’ambiguità e l’evanescente confine che sussiste tra l’azione collettiva e quella individuale. Come se ne esce? Si accettano consigli! (Vedi anche “Quaderni del carcere”)

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  3. Verissimo, e ne so qualcosa per quotidiana esperienza diretta. Le emergenze e le minacce inducono una collettività a irrigidire la propria organizzazione, e ciò rende più rilevante il ruolo dei funzionari che ne occupano gli snodi, indipendentemente dalla loro eventuale competenza tecnica. Quanto poi ciascuno di essi sia spinto da onesta intenzione di risolvere i problemi oppure da desiderio di potere, rientra nelle variabili individuali. In ogni caso, prevale il richiamo a schemi prefissati, a norme fisse, a protocolli: perfino, a volte, paradossalmente confondente.
    Il richiamo a Gramsci mi incoraggia ad azzardare un paragone con una realtà decisamente più grossa: quando la rivoluzione dei soviet è stata minacciata dall’Occidente, ha reagito con quello che Trotzskij definiva “il crescere del burocratismo”: infittirsi ossessivo di regole e controlli, potere alle segreterie.

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  4. Ora mi sento in alto mare, ho più forte la nausea verso gli attacchi politici favoriti dalla mancanza di certezze e dal bisogno, vedo sempre più distante una possibilità di contatto costruttivo (beh lo era da un bel po) più vicino il desiderio che tutto sia in una mano sola bella coerente (come il ponte….meno regole più potere e via). Meno burocrazia più azione. Non pensiamoci, facciamo il nostro e aspettiamo che il potere sia più favorevole al nostro bisogno. Al mio bisogno. Che guaio . Ho paura e questa volta non del virus ma di quello che sento avvenire. Non un risveglio di responsabilità individuali e collettive, che sappiano tollerare differenze ed agire poi ma attacchi. E l’invocare cambiamenti. Come se questi avvenissero per mano di Dio e non umana. E siccome avvengono per mano umana mi sembra di poterne essere legittimamente spaventata.

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    • Puntuale e pungente al solito Roberta
      Condivido che c’ è un rischio ,a nel
      Mio commento al ponte suggerivo il rispetto della legalità
      Significa avere regole e pesi con contrappesi che garantiscano L democrazia impedendo però
      L’esercizio della discrezionalità che consente l’esercizio di un potere personale senza rischio.
      As esempio il rispetto dei tempi previsti per istruire e processare una pratica : oltre quei tempi consensualmente definito deve esserci una sanzione per chi lavora male e Non un premio indiretto che costringe Noi poveri sudditi ad abbozzare e a subire
      Questo vara Roberta è il punto al dì la di disquisizioni pseudo intellettuali.
      Se un medico sbaglia terapia e procura un danno Va sanzionato; se un giudice sbaglia.Sentenza lo stesso, se un funzionario ritarda una pratica idem

      Rispondi
      • E che le commissioni non si moltiplichino per equilibrare le presenze politiche e che ci si disgusti delle ‘conoscenze’ personali per farsi sentire anche se nel giusto, che uno sia invogliato a non essere anarchico perché persuaso di un ascolto interessato verso una ricerca, non verso un interesse in qualche modo vincolato.
        Che ruolo dobbiamo avere noi in alto mare come storicamente tanti si sono smarriti?
        Caro Gianni mi viene in mente la cecità mostrata in passato proprio quando ci siamo conosciuti nel lavoro da chi allora aveva l’egemonia del consenso. Cecità poi svanita ma da me non scordata.
        Credo che il fondamento dei rapporti di lavoro sia un profondo interesse per il proprio lavoro E questo resiste . Ma non se il contesto lo rende vano, solitario e doloroso.
        E allora ancora spero in un non incattivilimento dei rapporti rigidità e rabbia ma in un qualche pensiero comune verso una resistenza o se ve più di moda relilienza che ci porti avanti

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  5. Dopo l’analisi di Lino è difficile pronunciarsi.
    Propongo perciò una lettura semi seria.
    Ritengo che i burocrati della Signora Alisa (come fa di cognome?), non diversamente da altri par loro, debbano in qualche modo giustificare la loro esistenza in vita e primariamente i loro lauti stipendi. Non è facilmente accettabile che inviino indicazioni di protocollo due mesi dopo che la loro applicazione è stata pensata e agita dai fanti al fronte. Meglio tacere del resto come, solo per fare un’esempio, la dissennata programmazione iniziale dei tamponi.
    Inoltre, con grande compassione per loro, appare evidente che nelle loro confortevoli dimore o nei loro uffici si annoiano mortalmente, tra conference calls e telefonate per organizzare il delivery del giorno. Si potrebbe anche ipotizzare che siano gravati da invidia per chi fa le cose e che, del tutto inconsapevolmente, si adoperino per intralciarli al fine di poter dire che siamo tutti incapaci e ignoranti allo stesso modo.
    Di certo però, sottoponendoci ad un diluvio di mail e prescrizioni, si impegnano indefessamente ad impedirci di lavorare e a spezzarci i nervi sino allo sfinimento. Forse pensano, a fin di bene, che per proprietà transitiva anche i covid, stremati da tanto accanimento, si decidano ad abbandonare il pianeta, sancendo il definitivo trionfo della burocrazia sul buon senso.

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  6. volevo solo sottolineare che il problema di fronte al quale ci troviamo deriva da un’impostazione che tanti ne ha creati anche prima dell’era covid.

    Mi riferisco all’assunto (o all’assurdo) che le norme amministrative e tecnico-professionali riguardanti le strutture residenziali debbano avere un’unica matrice.

    Si tratta di un tipico esempio di come la struttura amministrativa non è a supporto dei pazienti e della clinica ma diventa un fattore che condiziona la cura.

    E’ evidente che una procedura di dimissione che riguarda una casa di riposo per anziani non autosufficienti di 100 posti ma anche un appartamento con 4 giovani pazienti psichiatrici non può funzionare per entrambe le cose.

    Quando si parla di sanità ospedalocentrica ci si riferisce anche a contraddizioni di questo tipo. L’ospedale è il luogo delle differenziazioni e delle specializzazioni, il territorio è il coacervo dell’indifferenziato e dell’indefinito.

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