Vaso di Pandora

A proposito del libro di Milone

Ho letto il libro di Paolo Milone e la recensione di Andrea Narracci: concordo con Narracci che l’autore propone una visione sostanzialmente pessimistica e senza speranza delle persone sofferenti e di chi se ne fa cura. Ci sono pero’ due considerazioni che la lettura del libro mi ha evocato e che mi fa piacere sintetizzare per avere un parere dei lettori.

La prima riguarda il fatto che la posizione dell’autore, a ben vedere, rappresenta a pieno la “natura” della posizione della “Psichiatria”. Questa posizione esprime un assetto operativo basato su un equivoco di fondo: la confusione tra osservare e “diagnosticare”, confusione che non permette di distinguere quanto l’ “osservare” riguardi il tentativo (spesso doloroso e sempre complesso) di comprendere una situazione umana, e quanto il “diagnosticare” riguardi il sistema di catalogazione della stessa situazione umana, sistema che è nella mente di chi la osserva, ma non di chi la vive. E’ una confusione gravida di conseguenze, che costringe le persone “curate” sia in una posizione che non gli appartiene ( perché appartiene a chi li sta “curando”), sia in categorie inevitabilmente con una valenza statistica che individualmente non ha senso (…che in italia mangiamo tutti un pollo a testa, a me non me ne frega niente se sto tra quelli che non ne mangiano nessuno o sto tra quelli che ne mangiano due!!!). E tutto questo riguarda anche la “cosiddetta” diagnosi psicoanalitica. Non voglio demonizzare la diagnosi , ma solo evidenziarne i limiti che, se non ricordati, producono danni gravi.
In sintesi Milone propone un’impostazione psichiatrica che è inevitabilmente piatta perché, come tu dici, descrive i comportamenti e non la storia delle relazioni o di come si è imparato a relazionarsi. E questo riguarda paradossalmente anche la psichiatria anti-istituzionale che, pur con tutti i meriti che le vanno riconosciuti, rischia di proporre una lettura altrettanto piatta, anche se a partire dalla ricerca delle cause.

La seconda considerazione riguarda una certa “onestà” che, nonostante la non condivisibilita’ della sua posizione di fondo, traspare nell’autore. Sto chiaramente uscendo dal piano dei “contenuti” ed entrando nel piano del modo di porsi rispetto al lavoro con la sofferenza mentale. Un’onesta’ che ritrovo nel modo in cui Milone esprime un buon contatto con se stesso quando parla della voglia di allontanarsi da un colloquio pesante, o dall’angoscia di entrare in reparto la mattina o del ricorso alle contenzioni fisiche che, pur nella loro violenza esplicita, vengono evitate con modalità altrettanto violente, ma implicite (…e per questo più violente, come la sedazione farmacologica o la “compiacenza” verso gli atteggiamenti del ricoverato che rimanda al turno di lavoro successivo i provvedimenti per una situazione che sta “montando”…..). E’ un’onestà psichiatrica, certo, ma pur sempre onesta’ che è una base di partenza importante per cominciare a distanziarsi dalla posizione difensiva psichiatrica. Quando introdussi i gruppi di PMF nel reparto in cui lavoravo, constatai che i colleghi più ricettivi non erano quelli portatori di contenuti psico… qualcosa, ma quelli più “onesti” con se stessi e coretti con pazienti e colleghi ….e questo anche se erano fondamentalmente psichiatri!

…comunque, in conclusione: ma come ha fatto Milone a lavorare in reparto senza un supporto personale? Io senza le letture di Winnicott, Matte Blanco e Benedetti, ai tempi dei miei anni in manicomio mi sarei perso… e senza la mia analisi personale in SPDC sarei impazzito…! Bah!

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Commenti su "A proposito del libro di Milone"

  1. Osservazioni stimolanti. Sulla prima: la confusione fra osservare e diagnosticare ha evidentemente a che fare con la posizione della psichiatria, sempre in equilibrio instabile fra scienze naturali e scienze umane, fra erklaren e verstehen, fra oggettivazione – reificazione e intersoggettività. L’approccio oggettivante e scientistico ha da sempre trovato la sua giustificazione nella speranza di trovare una correlazione fra sofferenza mentale e sostrato neurobiologico: ciò che pareva possibile solo a condizione di identificare “malattie” psichiche, entità altrettanto solidamente rocciose come quelle somatiche. Dopo un promettente inizio con la identificazione dei disturbi psicoorganici, fra cui la mitica paralisi progressiva, questa via si era sostanzialmente chiusa, lasciando smarrito e sfiduciato chi ancora oggi non trova nuovi orizzonti. Forse da qualche anno se ne sono aperti di nuovi: filoni di ricerca fra cui l’esempio più noto è quello dei neuroni specchio mostrano la possibilità di collegare l’approccio relazionale – intersoggettivo alla ricerca neurobiologica, e in questo sta il loro grande interesse.
    Condivido poi il rilievo sull’onestà: quanto lavorano come Milone e con pari frustrazione, ma non hanno il coraggio di metterlo nero su bianco?

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  2. Condivido le osservazioni del collega e queste mi portano a riflettere su come il lavoro di psichiatra non possa prescindere da una adeguata formazione coerente con i principi di umanità,comprensione e condivisione per arrivare alla reciprocità.
    Vedo con rammarico una scadente risposta delle scuole di specializzazione ; non ci sono più i Demartis, Petrella, Rossi, Conforto , Zapparoli che ci hanno accompagnato nei nostri percorsi e infatti abbiamo estrema difficoltà a trovare personale adatto alla psicoterapia residenziale .
    Mi pare ci sia una certa involuzione con una conseguente banalizzazione del nostro lavoro.
    Spero non sia perchè sto invecchiando ……

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  3. banalizzazione e insieme spettacolarizzazione che fanno male al lettore ( e sembra non siano pochi visto anche l’inserto del venerdì di repubblica) e inducono poco al pensare a questo mestiere che si richiede una manutenzione complessa per non irrigidirsi in modalità perverse. Certo una formazione che sia ampia che comprenda non solo aspetti tecnici anche efficaci ma un substrato culturale filosofico umano che appunto sapevano dare i maestri che veramente insegnano.

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  4. Trovo che le riflessioni che genera Milone siano espressione della buona riuscita letteraria del libro. Il suo “verismo” ci ha sorpreso e scombussolato, proprio quando ha toccato le corde delle nostre contraddizioni. De Santis parla di osservare e diagnosticare. Nel fondo sono due fasi di uno stesso processo. Il punto sta nel modo di usare gli strumenti. Se per suonare insieme o per fare a chi suona più forte. Nel campo delle improvvisazioni jazz le due posizioni sono facilmente riscontrabili.
    Sull’onesta di Milone sono d’accordo. E aggiungerei anche il coraggio di esporsi.
    Certo che nello stesso anno escono due libri di successo che ci fanno riflettere su come lavoriamo: uno è di uno psichiatra, Milone, e l’altro di un paziente, Mencarelli. Messi insieme sono due opere letterarie che indicano la via da percorrere. La psichiatria, e ancora di più i servizi di salute mentale, vanno ripensati a fondo. E servono spiriti liberi, visionari, artistici. Vengano i romanzieri, i musicisti, i pittori, gli attori ad aiutarci. Forse, se stiamo così in difficoltà, vuole dire che anche i vecchi maestri hanno un po’ fallito.

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